Il caso è questo: tutte le volte in cui l’Amministrazione finanziaria inviava una comunicazione al contribuente dove precisava l’eventuale pretesa fiscale, tale atto di per sé non era impugnabile, ciò in quanto a detta dell’Amministrazione Finanziaria quella comunicazione non rientrava nell’elenco dei provvedimenti impugnabili ex art. 19 D.L.vo 546/1992.
In poche parole la stessa Amministrazione finanziaria aveva stilato, unilateralmente, una risoluzione ministeriale contenente un elenco di atti che erano ricorribili in Commissione Tributaria. L’interpretazione normativa dell’Amministrazione finanziaria si basava sulla considerazione che fino a quando non il contribuente non avesse ricevuto un atto definitivo (cartella esattoriale o avviso di accertamento) tutti gli altri atti non potevano qualificarsi come atti definitivi e, pertanto, avere un carattere di imperatività (al pagamento).
C’è voluta la Cassazione per insegnare ai burocrati ministeriali che innanzi tutto gli atti ricorribili non sono un numero chiuso e che nel nostro sistema giuridico la manifestazione di volontà, sia che essa contenga una volontà di natura prettamente amministrativa, avente o meno carattere autoritativo, ovvero privata, non sono riconducibili ad una categoria di atti predeterminata, per l’appunto non costituiscono un numero chiuso. La manifestazione di volontà dell’Ente, infatti, può esprimersi attraverso una serie indefinita di atti, perfino con il silenzio (si pensi alle ipotesi di silenzio-assenso o silenzio-rifiuto).
La Cassazione è intervenuta statuendo che sono impugnabili autonomamente tutte quelle comunicazioni definite bonarie, ciò in quanto la citata pretesa può essere impugnata senza necessità che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 (Cass. 11.05.2012 n. 7344, la sentenza integrale è correlata a questo articolo).
C’è voluta una Banca, che ha avuto la forza economica di sostenere tre gradi di giudizio, per fare asseverare un principio giuridico che all’università è posto a base di esami basilari quali il diritto amministrativo ed il diritto privato…
La cosa che fa rabbia in tutto questo è che noi cittadini abbiamo speso tre gradi di giudizio per arrivare a fare statuire un principio giuridico di così palmare evidenza. A noi cittadini la declaratoria di un principio come quello appena stabilito dalla Suprema Corte ci costa una quantità indefinita di soldi, in strutture, stipendi, carta, servizi e via dicendo… chi paga per tutto questo? Che fine fa il funzionario che si ostina a sostenere l’assurdo a volte fino all’inverosimile… l’Amministratore Delegato ed il Presidente dell’Agenzia delle Entrate non pagano per l’inefficienza dell’Organizzazione amministrativa degli Enti che presiedono…
Cari cittadini, impugnate e contestate … di fronte a queste assurdità non è necessario aspettare che vi notifichino la cartella esattoriale: se vi arriva un avviso bonario per una TARSU già pagata o per la quale avete già venduto casa e la pretesa tributaria si riferisce ad anni successivi alla vendita… impugnate tutto… Non possiamo attendere che le pretese tributarie si cristallizzino in una cartella esattoriale prima di procedere per vedere definitivamente abolita la pretesa con la cancellazione del credito dal bilancio dell’Ente che si ostina a tentare di ottenere qualcosa che non è dovuto…
Corte di Cassazioe, sezione tributaria, sentenza 7344/2012