Il bombardamento di immagini ai quali ormai siamo esposti ci ha reso ciechi, ciechi nell’anima e nella mente. E ora non riusciamo più a fare a meno di questo susseguirsi di visioni, ma al tempo stesso non sappiamo più guardare: è come se avessimo perso sia la sostanza che la forma.
Si è persa lo sostanza: in questo mondo di immagini in successione, di continue proiezioni superficiali sulla nostra retina, non si può che aver perso di vista la profondità di un mondo concreto anche se meno colorato; così la superficie si trova a nascondere tutto ciò che vi è dietro, il significato e l’atmosfera.
Si è persa la forma: non c’è più nemmeno la ricerca delle immagini, sono ormai le immagini che cercano noi, ci inseguono, sono ovunque e troppe per poterci permettere di soffermarci a guardare.
Così come, ad esempio, si è persa l’atmosfera della sera, ormai invasa da luci blu dei televisori, allo stesso tempo si è persa l’atmosfera, se così si può chiamare, delle persone, delle singole persone, nascoste dalla loro superficie. Questa superficie che è diventata più facile e immediata da osservare, questa superficie confusa dall’omologazione con le altre superfici, tutte uguali, tutte che pretendono l’attenzione a scapito della personalità, sempre meno sviluppata perché solo un’appendice dietro la facciata superficiale.
Ciechi nell’anima
Per capire di cosa si sta parlando, si pensi per un attimo al Brasile; non serve esserci andati per sapere quante immagini e colori accolgono il turista per le vie del centro, e quanto invece sia triste e grigia la realtà nel profondo; a pochi metri dai turisti drogati di colori vi sono bambini drogati di colla; e tra le risate del turista sopraffatto dalle immagini di allegri balli, dietro l’angolo si consumano orrori di violenza, di criminalità, di povertà. Una povertà che non conosce più neanche l’acqua non per bere, ma per vivere; dove anche la malattia non risparmia chi non ha risparmi per acquistare medicine. In Brasile si muore nella fetida sofferenza, mentre mille colori ne nascondono l’odore, troppo lontano, anche se in realtà così vicino.
Le favelas, teatri di tragedie, hanno case multicolorate, e ingannano l’occhio con i mille colori.
Lo stesso accade da ormai molto tempo in tutto il mondo. Le veloci immagini in movimento della televisione sono usate prima dai genitori per distrarre i bambini e poi dal “sistema” per distrarre i genitori.
Nel passato l’oppio dei popoli erano le religioni, nel mondo occidentale odierno l’oppio sono le immagini, probabilmente visioni di nuovi dei.
Oggi non ho tempo per ragionare su quello che accade nel mondo che mi trovo a vivere, c’è un programma più interessante dei miei pensieri in televisione. Io invece volevo fare una ricerca, ma navigando mi sono perso tra mille canti di sirena mentre il tempo passava e senza rendermene conto oggi non ho più tempo per pensare, mi tocca rimandare ad un’altra volta.
Anche la notte ora fa fatica a portare consiglio, chi resta sveglio nel suo letto non è detto che stia pensando, sempre più spesso ha semplicemente i neuroni sovra stimolati dalle mille immagini virtuali e dalla luce blu, nostro nuovo Sole.
Infatti le luci blu dei televisori, dei computer e dei videogames sono percepite dall’occhio come simili alle luci del giorno, non permettendo al cervello di produrre melatonina, la quale si produce nelle ore serali e che aiuta a prendere sonno; questi bassi livelli di melatonina disturbano il sonno abbassandone la qualità.
Ciechi nella mente
Ma come si è arrivati a questo?
Si è partiti da un mondo da scrutare e si è arrivati ad un mondo da captare. E’ finita l’era delle esplorazioni e si è arrivati a quella dei curiosoni… ma per caso. E’ finito l’approfondimento, la lettura è stata sostituita dallo sfogliare; del resto in un mondo nel quale si può raggiungere qualsiasi luogo con un click; qualsiasi informazione con il web, non vi è da stupirsi che sia passata la voglia di farsi domande: dove la risposta è troppo facile da ottenere non vi è più gusto a domandare. Siamo quindi nell’epoca che scorre sulle superfici, troppo veloce per soffermarsi a riflettere, a guardare, a capire. In questa era le parole lasciano spazio alle immagini, le personalità lasciano spazio alle mode. Immagini veloci, come la moda, che non danno il tempo alla costruzione dei pensieri, alle costruzioni di mondi saldi interiori.
In questo mare di figure e figurine fragili come la carta, in questo fiume di allucinazioni indotte e auto-indotte, tra mille corpi, luci e oggetti, non può che trovare terreno fertile il consumismo; mille consumi si desiderano, uno dopo l’altro, senza riuscirne a capire realmente il motivo, senza riuscire a provare un vero desiderio per solo uno.
E a questo consumistico desiderio indotto non può che accompagnarsi al materialismo: non riuscendo più a cogliere l’anima delle cose l’uomo si sofferma sul materiale.
Ma anche il materialismo finisce per risentire della perdita di un vero desiderio: che senso ha risparmiare per comprare l’oggetto dei propri sogni, se ora ve ne sono così tanti?
Ritrovare la forma e la sostanza
Non è da escludere che tutto ciò possa avere ripercussioni anche sulla nostra organizzazione neuronale e bisognerebbe domandarsi se adesso sarà possibile tornare indietro, se sarà possibile riorganizzare i nostri cervelli moderni; ma sicuramente quello che si potrebbe fare e perlomeno non aggravare la situazione, e provare a spegnere gli occhi per tornare a guardare.
Così è forse negli altri sensi che si potrebbe trovare una soluzione? Provare ad ascoltare di più, provare a soffermarsi sugli odori, tornare a sentire i diversi sapori, e a non temere il tatto. Possibile ma difficile anche questa soluzione, perché purtroppo la fast-era sta mettendo in pericolo tutte le nostre sensazioni: ai suoni del paesaggio ha preferito l’Ipod; gli odori della natura li ha prima smantellati per poi sostituirli con chimici fetori e artificiali olezzi; al sapore ruspante ha dato un goloso insapore e al tatto ha collegato malizie e orrore. E allora che fare?
Da bambina mi chiedevo spesso se Beethoven sarebbe riuscito a comporre le sue musiche se avesse avuto uno radio, la risposta che mi sono data è: certo, se l’avesse tenuta spenta.
E allora spegniamo la radio, non solo per acutizzare l’udito, ma per sentire le nostre canzoni. Andiamo alla ricerca di odori e sapori, non solo per diventare bravi nel loro riconoscimento, ma per riscoprire le sensazioni. E torniamo ad abbracciare non solo per sviluppare il tatto, ma per comprendere il significato di un vero abbraccio. Infine chiudiamo gli occhi, non solo per pensare, ma per tornare ad osservare tutto ciò che fa parte del nostro mondo.
E lì dove siamo costretti a guardare non dimentichiamoci mai di pensare.