Le cronache del sisma in Emilia hanno riportato alla ribalta l’antica vicenda del terremoto che si verificò a Ferrara nel 1570 e il ruolo svolto allora da Pirro Ligorio, il celebre architetto di Villa d’Este a Tivoli nonché successore di Michelangelo nella direzione della fabbrica di San Pietro in Vaticano e invitato a Ferrara nel 1568 come antiquario di corte. Oltre a descrivere con accuratezza e intelligenza quegli eventi, Ligorio progettò anche la prima casa antisismica che si conosca.
Come Segretario della Edizione Nazionale delle Opere di Pirro Ligorio, ho avuto l’onore di promuovere la pubblicazione del Libro di diversi terremoti, edito nel 2005 a cura di Emanuela Guidoboni, la più grande studiosa di storia dei terremoti.
Il diario ligoriano ricostruisce le vicende dal novembre 1570 al gennaio 1571, ma sappiamo che le scosse durarono fino al 1574. Rimasero danneggiate il 40% delle abitazioni, oltre a quasi tutti i maggiori edifici pubblici e le chiese. Dal disastro la città non si risollevò più, e fu un duro colpo anche per gli Este (a fine secolo lo Stato passerà alla Chiesa).

“Cascarono merli e camini….”
A partire dal 1° novembre 1570, festa di Ognissanti, Ligorio descrive una serie di segni premonitori: tuoni e strepiti, “muggiti per l’aria”, pozzi improvvisamente intorbidati. Ma ecco la suggestiva descrizione del terremoto, iniziato nella notte del 16 novembre: “Scosse dunque la città grandemente […] et tirava tanto spesso che pareva molte artigliarie, impituosamente […] smosse le mura delle case, cascarono merli et camini con tanta rovina che pareva che ’l cielo cadesse et la terra insieme mancasse. Sendo passata la scussione, ogni huomo corse alle fenestre, et l’aere si vedeva caligenoso, et ogni huomo stava suspeso. [Il giorno successivo] scosse talmente la città il moto de la terra che i merli et i camini ch’erano rimasti interi rovinarono anchora, et tutte le muraglie creparono, et parte delle cime de’ camini, cadendo su li coperti et parte nelle strade, sfondarono le case istesse dalle cime per insino all’ultimi solari; didentro le stanze, cadendo anchora molte cappe de’ cammini, sbattendo i muri insiemi principali, infransero tutti i tramezzi delle stanze, creparono in cotale modo i muri originali et li mezzani: la quale squassatione fu tale che frollò ogni edificio et lo rese languido et caduco. Fu questo caso strepitosissimo et tremendissimo, ma era assai piacevole al rispetto di quello che seguì, alle tre hore incirca, assaltando di nuovo la città con horrendo suono et incredibile moto, tanto che pareva che la terra, ad uso di onda di mare, si muovesse et si gomfiasse et piegasse l’edificii con molto strepito et scussione che infranse ogni edificio per tutta la città: quanto era maggiore et alto fu sforzato a cederne parte alla rovina, et mentre le fabriche cadevano in qualche parte, grave horrore, profonda mestitia ricoperse l’animi et l’intelletto, si sentivano gridare il popolo tutto “Gesù Gesù!” ad alta voce, per che pareva che la città fusse andata in profondo, et per ciò che d’ogni banda dalle piazze si sentivano le altissime vociferationi, et per tutto pareva sentire cose che profundassero; et nell’aere quel vapore che uscì fuori della terra s’accese in fiamme, et cadeva nebia puzzulente di vapore d’acqua rarefatto et spento dal ventoso et igneo, et ventoso et secco. Bollevano l’acque del Po fiume, bollevano quelle del Castello Tialdo et quel del Castello Vecchio, et strepitavano…” (ff. 73v-74).

 

Un territorio definito “a basso rischio sisimico”
La prosa ligoriana coniuga magistralmente la commozione narrativa con l’acutezza di osservazione e la capacità icastica di lettura. Si tratta, a mio avviso, di un autentico vertice della letteratura scientifica cinquecentesca. Ha scritto Emanuela Guidoboni che si tratta di una “lingua personalissima, ondeggiante, talvolta idiomatica, non di rado si sfilaccia in derivate e subordinate senza fine; a volte è invece stringatissima e sottile, di raffinata bellezza, come quando si fa strumento di descrizione visiva: ‘codate di ardenti faville razzanti’, o acustica, come quando tratta a lungo del suono del terremoto, paragonato a una ‘alterata cythara che per tutte le corde suona discordantemente’ “.
Nella cronaca ligoriana si descrivono le giornate successive fino al gennaio 1571, quando “tirò il moto della terra” cinque-dieci-venti volte al giorno, continuando poi con minore intensità fino a tutto il 1574 e registrando oltre duemila scosse, secondo gli osservatori.
Appare dunque incredibile come sia stata rimossa tale dolorosa vicenda sismica, fino a far classificare a basso rischio sismico il territorio ferrarese-modenese. Proprio da questa rimozione-sottovalutazione discende la mancanza di accorgimenti antisismici in quell’area: accorgimenti che, se fossero stati imposti per legge, sicuramente avrebbero contrastato gli effetti del sisma, riducendo drasticamente crolli e perdite umane.

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Progetto di casa antisismica di Pirro Ligorio (disegni; Torino, Archivio di Stato; da E. Guidoboni 2005)


La casa antisismica dell’architetto Ligorio
Ormai è diventata celebre la casa antisimica disegnata da Ligorio in alzato e in pianta: una casa costruita con pietre e mattoni, articolata in sei vani (cinque dei quali rafforzati agli angoli) caratterizzata all’esterno da poderosi rinforzi angolari e da doppie arcate di mattoni con chiave di volta lapidea a protezione delle aperture sottostanti (da notare anche, sopra le finestre, l’ulteriore doppia protezione di una archeggiatura molto ribassata di mattoni e di un’architrave di mattoni con concio lapideo centrale).
Questo è il commento didascalico di Ligorio al suo progetto, considerato come risposta ai punti deboli degli edifici tradizionali: “conviene fare delle fortezze sopra de’ vani et nelle cantonate […]. I muri è di necessità ligarli con possenti ferri acciò che non squassano et, sebene tremano tutti insieme, si sostentano […]. Per tanto tutti li muri grossi, et con honesta sostanza, et ben legati insieme nelle cantonate o con opera di muro, con chiavi di marmo o di ferro, tutti sono immovibili. Tutti li muri qual si vogliono che sono fatti senza difesa nelle cantonate, tutti si sciolgono et fanno separationi o per solutione o per rotture. Tutto l’intento deve havere l’artefice di fare i muri con legamenti, legare essi colle pietre, legare le cantonate colle grossezze et colle chiavi di ferro o di gran sassi per che queste sono le retine che mantengono le cantonate; per ciò che tutti li cantoni, che hanno li loro debiti ripieni o li suoi ferri ascosi dentro, possono chiamarsi sicuri: per questo gli antichi facevano doppie le cantonate in questa guisa che sono disegnate queste stanze per dimostratione” (ff. 60-61).

 

Istruzioni per l’uso
Ligorio riepiloga così le opere di consolidamento da lui ossevate nelle costruzioni antiche: “Così, dunque, sicurissimi sono negli edificii gli archi di tegole bipedali, et quando sono doppii sono assai megliori, sopra delle porte, delle fenestre et dell’altri vani, sì come si faranno le dimostrationi nel disegno. Giovano li rinforzi delle parastate delle cantonate per che queste serrano et tengano insieme li cantoni delle pariete. Tutti li muri di lateritia, o terra cotta, fatti perpendicolari, sono più forti et più stabili, et meglio resistono all’impituosi scontri delli portentosi muovimenti, et sono atti a fare firmamento, et questi et gli archi sudetti, perciò che essi archi nelle reciproche percosse resistono impiedi, sì come, oltre a Plinio, li comenda Vitruvio; et si vedono in fatto nelle antiche fabriche, nella Casa Augustana, nelle Therme di Agrippa, in quelle di Nerone, in quelle di Tito […], come in altre reliquie delle eccellenti fabriche di Roma, et fuori di essa. Sicurissimi sono dunque, negli edificii, gli archi sopra de’ vani de tutti li luoghi […] Et dicono tutti i degni auttori che i muri lateritii ricevono minor danno sendo ben ligati […]. Et il lateritio tengono per più perpetuo, per che resiste alle dette percosse et al fuoco et al tempo” (f. 59v).
Ma credo che per la sua casa Ligorio si ispirasse in particolare a un edificio da lui attentamente rilevato (i suoi rilievi vennero poi ripresi dal grande Palladio): le cosiddette “Mura di S. Stefano” presso Anguillara, un edificio a tre piani pertinente forse alla Villa di Caio Cecilio. I suoi disegni restitutivi del rudere presentano evidenti riscontri con la casa antisismica, dalla struttura esterna con rivestimento laterizio ai vani interni con rinforzi negli angoli.

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Rilievo della Villa romana delle “Mura di Santo Stefano”, presso Anguillara, realizzato da Pirro Ligorio (disegni; Oxford, Bodleian Library). L’edificio presenta lo stesso accorgimento dei rinforzi angolari nei vani interni


Fra ragione e religione
L’impressionante durata del terremoto attirò l’attenzione di molte corti italiane che chiesero un aggiornamento costante sulla situazione attraverso i loro informatori. Furono pubblicati anche quattro trattati per indagare le cause dell’evento e persino, come scrivono Folin e Guidoboni, “sonetti e poesie ispirate all’ ‘orrore estremo / di triplicate scosse in un sol giorno, / che il mondo in sé fesse ritorno’. Il terremoto fu interpretato da un lato come segno dello sfavore divino nei confronti di Ferrara e dei suoi sovrani, dall’altro come un evento che metteva in crisi teorie consolidate, sollecitando i “filosofi naturali” (gli scienziati del tempo) a riflettere sulle cause dei terremoti”.
Ligorio osservò, fra l’altro, che il terremoto aveva agito con particolare violenza in alcuni territori “bonificati dalli principi Estensi et levati l’antichi stagni”. Si trattava peraltro di uno degli argomenti della polemica anti-estense. Ci fu anche, come ricorda Emanuela Guidoboni, chi suggerì al governo “di inondare nuovamente tutta la campagna prosciugata, compresa Ferrara, tornando a riempire così quei luoghi vacui sottostanti, oggetto di tante paure, al fine di porre termine al terremoto, che si riteneva causato da tale squilibrio”. L’ipotesi potrebbe apparire non priva di fondamento, se si pensa che ancora oggi non è possibile escludere eventuali rischi sismici connessi a opere di megaingegneria idraulica (si pensi ad esempio al prosciugamento ottocentesco del lago del Fucino come possibile con-causa del sisma del 1915).
Ligorio più volte sembra di aderire con convinzione alla teoria del terremoto come esito della provvidenziale collera divina, condividendo apparentemente la politica papale avversa al duca Alfonso II, figlio di una eretica (Renata di Francia) e protettore degli ebrei. Ma credo che si tratti soprattutto di una enfatizzazione della propria adesione al cattolicesimo ortodosso da parte di uno studioso che intendeva pubblicare il suo volume sui terremoti superando possibili obiezioni censorie, e che sperava comunque di ritornare nella Roma dei papi; gli stessi accorgimenti vengono usati da Ligorio in molti dei suoi volumi antiquari a proposito della falsità e peccaminosità dei miti antichi (miti bensì da lui profondamente condivisi culturalmente). Ma Ligorio era sicuramente convinto, come scrive Emanuela Guidoboni, che “i terremoti, pur derivati dal disegno di monito per un ravvedimento morale, non di meno sono campo della ragione e dell’umano capire: infatti come i terremoti accadono, dove e quali danni fanno è pertinenza della razionalità umana. I diversi piani di queste considerazioni, religioso e razionale, si ritrovano anche in altri trattati del tempo, ma i termini ragione e razionale sono usati nel manoscritto di Ligorio con una forte consapevolezza. L’uomo, dotato di ragione e di libero arbitrio, può provvedersi, ‘se provedere si puote’, contro le forze dei terremoti ‘per recarsi sicuri nelli alberghi et per vietare in parte alcuni pericoli’ (f. 58). Legittimo è quindi difendersi dai terremoti, trovare i rimedi, escogitare costruzioni per resistere alla violenza delle scosse”.

 

Il precursore illuminista
Ma in definitiva, se vogliamo sintetizzare questo lungo dibattito, il sisma era una fatalità “provvidenziale” oppure un fenomeno “naturale” che poteva in qualche modo essere contrastato? Purtroppo la teoria della “provvidenzialità” sarà prevalente fino allo spaventoso terremoto di Lisbona del 1755 che – oltre a causare 60.000 morti nella capitale dell’impero portoghese – colpì l’Europa occidentale, l’Algeria il Marocco e perfino le Antille.
Manifestatosi a novembre come quello di Ferrara – e per di più nella festa di Ognissanti, lo stesso giorno in cui a Ferrara s’erano avvertiti i primi segni precursori – il terremoto distrusse le chiese più importanti, fra cui la straordinaria S. Maria della Divina “Provvidenza” (!) ideata dal nostro Guarino Guarini con una pianta a profilo “ondulatorio” (!). Se le coscienze cattoliche furono profondamente turbate nella capitale di questo vastissimo impero cristiano, fu bensì impressionante il dibattito internazionale dei pensatori dell’Illuminismo, come Voltaire e il giovane Kant, che misero definitivamente in crisi la teoria “provvidenziale” cercando un nuovo approccio scientifico e filosofico, dal quale discesero anche le ricerche per una ingegneria antisismica.
Vorrei dire, in conclusione, che la casa antisismica ligoriana con la sua impostazione di ingegneria razionale anticipa di quasi due secoli il dibattito scientifico settecentesco. Non a caso Ligorio, evidentemente consapevole di ragionare in modo innovativo, dichiarava che il suo progetto “forsi un giorno potrà giovare a un altro secolo” (f. 59v).
Segnalerei infine l’importanza della ricerca antisismica in area italiana, legata ai due eventi sismici del 1693 nella Sicilia sud-orientale e del 1783 tra Messina e la Calabria. Se dopo il 1693 si cercarono accorgimenti antisismici empirici (vedi ad esempio i palazzi ricostruiti a Catania con grossi pilastri angolari), il 1783 generò una intensa produzione di progetti e trattati di architettura antisismica, che segnarono in questo campo il primato europeo della cultura scientifica del regno di Napoli, riprendendo le precoci intuizioni del napoletano Ligorio.

 

Nota bibliografica
Il trattato ligoriano è pubblicato nel seguente volume della Edizione Nazionale delle Opere di Pirro Ligorio (coordinata da M.L. Madonna): Libro di diversi terremoti, edizione del codice Torino 28, a cura di E. Guidoboni, De Luca editori d’arte, Roma 2005.

Una importante riflessione sulle vicende del recente terremoto è quella di M. Folin, E. Guidoboni, La sequenza sismica del 1570-1574: un evento importante per la storia della città, in “Ferrara – voci di una città”, rivista on-line, 2012, n. 33

Per lo studio ligoriano del monumento di Anguillara, vedi soprattutto M. Lyttelton, Pirro Ligorio’s Description of the Villa of Caius Caecilius near Anguillara, in R.W. Gaston (a cura di), Pirro Ligorio Artist and Antiquarian, Silvana, Milano 1988, pp. 121-158.

Per notizie sulle pubblicazioni ligoriane, si vedano i seguenti siti:
http://www.culturaimmagineroma.it/

http://www.delucaeditori.com/?subcat=41&go=ricerca&cat=4

 

Nota su Pirro Ligorio
Nasce a Napoli nel 1513 o 1514 da nobile famiglia. Nel 1534 si trasferisce a Roma, lavorando come pittore e poi come architetto. Nel 1549 entra al servizio del cardinale Ippolito d’Este come “antiquario” e direttore di scavi: a partire dal 1550 progetta a Tivoli la grandiosa Villa d’Este (realizzata tra il 1563 e il 1573), capolavoro del giardino italiano, più volte emulata nei giardini europei per la sua sistemazione a terrazzamenti e l’impressionante concentrazione di fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e musiche idrauliche. Sotto Paolo IV (1555-59) soprintende alle maggiori imprese edilizie papali, tra cui il Casino che verrà portato a termine sotto Pio IV (1559-65) con un ricchissimo programma decorativo: la “Casina di Pio IV” viene concepita come un complesso sogno antiquario, insieme Accademia e Museo, cittadella, simbolo di una cultura globale (enciclopedia, cioè “educazione in circolo”). Nel 1560-65 completa il Cortile del Belvedere in Vaticano con un teatro semicircolare all’antica e il “Nicchione” ispirato al Santuario della Fortuna di Palestrina. Nel 1560 viene nominato cittadino onorario di Roma (vent’anni dopo lo diverrà di Ferrara). Nel 1562-64 realizza la Palazzina di Pio IV sulla via Flaminia e inizia il nuovo Palazzo della Sapienza. Nel 1564 subentra a Michelangelo nella fabbrica di S. Pietro, affiancato dal Vignola. Nel 1569 si trasferisce a Ferrara, antiquario ducale alla corte estense. Mentre lavora alla stesura delle ultime versioni dei Libri delle Antichità, progetta nuovi ambienti e nuove decorazioni nel Castello estense, oltre a disegni di scenografie, tornei, apparati effimeri. Muore il 26 ottobre 1583.

 

L’Edizione Nazionale delle Opere di Pirro Ligorio
La Commissione per l’Edizione Nazionale delle Opere di Pirro Ligorio (istituita nel 1989) ha promosso la pubblicazione dell’imponente produzione manoscritta ligoriana. I codici, che testimoniano un vasto impegno di ricostruzione storico-archeologica del mondo antico, sono conservati per la maggior parte presso l’Archivio di Stato di Torino e la Biblioteca Nazionale di Napoli (altri codici importanti sono presso la Bibliothèque Nationale di Parigi e la Bodleian Library di Oxford).

Gli studi ligoriani sull’antico cominciano a essere pubblicizzati nel 1552 (incisione del Circo Flaminio, Pianta di Roma moderna); del 1553 sono la prima Pianta di Roma antica e il Libro delle antichità di Roma, nel quale si tratta de’ Circi. Theatri et Anphitheatri; del 1561 è la grande pianta prospettica di Roma antica, la più scenografica ricostruzione dell’Urbe prima di Piranesi. Parallelamente veniva avviato il grandioso piano dei Libri delle Antichità, le cui prime versioni sono contenute nei codici di Parigi e di Oxford e la cui prima sistemazione verrà messa a punto negli anni ’60 nei dieci codici di Napoli: tre di questi Libri delle antichità sono dedicati alla numismatica greca e romana, due alla epigrafia greca e romana e cinque ad altre tematiche antiquarie (vestiti, mitologia, pesi e misure, fiumi e fonti, sepolcri).

Trasferitosi a Ferrara nel 1569, Ligorio rielabora gli studi precedenti allestendo una decina di grossi volumi sulle monete greche e romane, sulle famiglie, sulle magistrature, sugli uomini illustri, sulle epigrafi, sulle ville tiburtine. A questi Libri delle antichità vanno aggiunti il Libro dei Terremoti e tre trattati di minore mole dedicati al Significato del Dragone, alla Nobiltà delle antiche arti e a Varie antichità.

Di particolare interesse è la Enciclopedia del Mondo antico in18 volumi (articolati in ventiquattro Libri, ciascuno dedicato a una lettera dell’alfabeto): si tratta di una innovazione importante, con pochi precedenti nell’antichità e nel medioevo.

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