Presentato in selezione ufficiale alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes – dove ha vinto il premio Label Europa Cinemas – e ancora privo di un distributore italiano, El taaib (Le repenti) è il tredicesimo film di Merzak Allouache, autore cardine del nuovo cinema nordafricano.
Cantore delle contraddizioni e dei nervi scoperti della contemporaneità algerina, il regista ha affrontato sin dagli esordi (Omar Gatlato, primo film girato nel 1976, grande successo di pubblico) temi spinosi quali la rivoluzione culturale del 1988 (L’Après Octobre), la paranoia del fondamentalismo e la perversa fascinazione del potere (Bab-El Oued City), il destino dei “beur”, figli degli immigrati algerini in Francia ai tempi del boom economico degli anni Cinquanta (Salut Cousin), l’anormalità di un luogo devastato da una guerra infinita (L’Autre Monde), il malessere ed i turbamenti provocati da una società in continuo disfacimento (Bab-El Oued), l’orizzonte tragico degli harragas, i brûleurs che bruciano i propri documenti per fuggire ad un destino di miseria (Harragas).
Un’amnistia per i terroristi islamici
In Le repenti, Allouache racconta con il consueto stile teso ed espressivo, vigoroso ed incisivo, in bilico tra documentarismo e “distaccata partecipazione”, una pagina di storia recente non ancora raccontata su grande schermo. Nel 1999 una legge del governo algerino ha proclamato l’amnistia nei confronti dei terroristi islamici, permettendo loro di essere assolti e tornare ad una normale vita civile a patto di consegnare le armi, abbandonare i rifugi in montagna e farsi registrare dalla polizia. Scopo dello stato era quello di porre fine agli attentati, alle bombe e ai massacri perpetrati dai jihadisti. Una pax a tutti gli effetti, nel nome del programma di “concordia civile” promulgato dal presidente Bouteflika. Rachid è un “taaib”, un “pentito”. Ha scelto di deporre le armi. È quasi troppo attonito ed impassibile per esser stato un terrorista. Riabbraccia i genitori, taglia la barba ed i capelli, trova lavoro in un caffè, “costretto” alla normalità dal poliziotto che lo ha preso in custodia. Dovrà testimoniare, fare dei nomi. E intanto dorme in un tugurio, vittima del pregiudizio del proprietario del bar e della sete di vendetta degli abitanti del suo villaggio, che lo ritengono responsabile di un massacro accaduto in zona. Di fronte al caffè dove lavora, c’è una farmacia. È lì che Rachid riconosce Lakhdar. È da qui che il film si incrina sui sentieri del thriller cupo ed inquieto, perché Rachid intravede un’opportunità di fuga e di guadagno: sa qualcosa di molto importante per Lakhdar – un uomo ormai in totale dissoluzione – e la sua ex moglie Djamila.
Una pace sociale molto delicata
«Nel 1999, quando sono tornato in Algeria dopo sette anni d’assenza, ho trovato un Paese nel bel mezzo di un ottimismo straordinario, di un’euforia irreale. La violenza cominciava a scemare, una politica di “concordia civile” era stata proposta ai cittadini algerini, per permettere – apparentemente – una fine totale degli scontri», ha dichiarato Allouache. «La popolazione ha scoperto improvvisamente un nuovo termine: “el taaib”, ovvero “il pentito”. In un Paese ferito, lo stato ha incoraggiato le persone a dimenticare, a riconciliarsi… Ho cercato di immaginare come i familiari delle vittime avrebbero potuto perdonare i presunti assassini dei loro cari, soprattutto dopo che centinaia di terroristi hanno abbandonato la clandestinità proclamandosi innocenti. È stato proprio in questo periodo “euforico” che ho letto su un giornale un trafiletto in cui un uomo raccontava di essere stato contattato da un pentito, pronto a proporgli, in cambio di una forte ricompensa, un macabro scambio. L’uomo, scioccato, aveva risposto inviando una lettera al giornale. Poi più nulla… Cos’era successo? Questa vicenda mi ha colpito così tanto che ho cercato di immaginarne il seguito nell’Algeria di oggi dove, nonostante dei nuclei terroristi continuino ancora ad operare, la gente sembra affetta da una strana forma di amnesia collettiva e permanente. Quell’ottimismo artificiale è svanito, in certe regioni la violenza è ancora presente, con il corollario di ulteriori repressioni e restrizioni delle libertà personali. Con questo film ho voluto semplicemente immaginare quale sarà il futuro della “concordia civile” dopo tutto questo odio.»
Vent’anni di lacerazioni
La crisi in Algeria scoppia nel 1991, quando vengono annullate le elezioni legislative che segnano la vittoria del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) sul partito al potere, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Nel 1992, un gruppo di funzionari civili e di militari costringe il presidente Chadli Bendjedid alle dimissioni. Viene dichiarato lo stato di emergenza: la Costituzione è sospesa, il FIS è sciolto ed il governo del paese affidato ad un Alto consiglio di stato, presieduto da Mohammed Boudiaff. I fondamentalisti islamici pianificano i primi attentati, cui il governo risponde con una dura repressione. Dopo l’assassinio di Boudiaff, la presidenza è affidata ad un collettivo di cinque persone con a capo Ali Kafi. La vita sociale è ormai destabilizzata: scuole, mercati, ospedali sono gli obiettivi costanti dei jihadisti. È il 1994 e nuovo presidente diventa il Ministro della Difesa Liamine Zeroual, con il proposito di raggiungere una conciliazione nazionale. Strategia che si rivela inutile, perché il terrore continua e nonostante Zeroual vinca le successive elezioni (ammantate da dubbi sulla trasparenza del voto), il GIA (Gruppo Islamico Armato) e l’AIS (Armata Islamica di Salvezza) investono città e piccoli paesi con cruenti attentati. Neanche la legge sull’arabo classico come lingua ufficiale riesce a rasserenare gli animi – ardenti sono infatti le proteste della popolazione berbera. Si arriva così al piano di concordia civile del 17 settembre 1999: in quella data il 98,63 per cento dei cittadini vota sì al referendum proposto dal presidente Abdelaziz Bouteflika, che prevede l’amnistia o sconti di pena come la libertà condizionata per gli estremisti islamici non responsabili di fatti di sangue (stragi, stupri, attentati in luoghi pubblici), purché depongano le armi e si consegnino alle autorità. Una strategia considerata fondamentale dal governo in carica per porre fine alla spirale di violenza che dal 1992 ha provocato oltre 100.000 morti, tantissimi scomparsi e quasi un milione di persone fuggite all’estero. Con le elezioni politiche del 2002 le forze del FLN tornano al potere conquistando la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Alì Benflis è confermato primo ministro, salvo poi essere rimpiazzato nel 2004 da Ahmed Ouyahia. Nel settembre 2005, il suffragio universale viene nuovamente sollecitato per trasformare la legge sulla Concordia civile in una “Carta per la Pace e la Riconciliazione nazionale”, pietra angolare della politica di Abdelaziz Bouteflika.
Il ciclone della Primavera araba
Negli ultimi anni le ambiguità algerine non sembrano essere ad una svolta. Se la politica economica ha proclamato dei punti cardine essenziali (estinzione del debito pubblico, crescita del PIL, centralità nella politica estera nordafricana), il Paese maghrebino non è certo passato indenne al ciclone della Primavera Araba. La disoccupazione, l’aumento del prezzo dei generi alimentari e la corruzione provocano focolai di protesta: i manifestanti chiedono le dimissioni di Bouteflika ed un generale ricambio generazionale alla guida del governo. Gi studenti e gli attivisti dell’RCD (Raggruppamento per la Cultura e la Democrazia) chiedono la fine dello stato d’emergenza, in atto da 19 anni, che consente alla polizia di adottare misure speciali. Le loro richieste vengono accolte il 22 febbraio 2011, seppure le manifestazioni proseguano dando spesso vita a scontri tra sostenitori e oppositori del governo. Bouteflika ha risposto alle piazze promulgando la prima legge finanziaria algerina dopo la Primavera Araba. La promessa era stata un abbattimento della disoccupazione; il Ministro dell’Economia Karim Djoudi, ha presentato come punti chiave l’erogazione di fondi destinati alla solidarietà nazionale ed il blocco per cinque anni della trasferibilità degli alloggi sociali. La tensione è però costante ed è arrivata fino al 10 maggio scorso, data delle elezioni parlamentari che hanno confermato un dato preoccupante: l’astensionismo. I seggi sono stati disertati. Gli osservatori Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) hanno affermato che tutto si è svolto normalmente. Eppure il FLN è ancora partito di maggioranza e l’Alleanza Verde dei partiti islamici parla apertamente di frode elettorale. Opinione confermata dalla Commissione Nazionale di Sorveglianza sulle Elezioni Legislative, che ha vigilato sulla trasparenza delle operazioni di voto. «Il risultato elettorale non ha alcuna credibilità», si legge nel rapporto del Cnisel. Le nomine del nuovo governo sono previste per fine giugno. L’impressione è quella di un Paese lacerato, che alla violenza del terrore interno ha sostituito il dominio incontrastato del potere politico e delle lobby del petrolio.