Con un investimento iniziale minimo di 32 mila euro per socio e un prestito bancario di 60 mila, in meno di 10 anni il Gelato Grom oggi è arrivato a fatturare 23 milioni di euro e a conquistare il mercato mondiale. La burocrazia italiana? Per Federico un falso problema, l’Irap piuttosto è una tassa costrittiva e di difficile comprensione per gli imprenditori stranieri.
La domanda iniziale d’obbligo è: come avete fatto?
A volte non ci sembra vero! Però, ad essere sincero, ci siamo posti la stessa domanda poco più di un anno fa, quando abbiamo iniziato a scrivere la nostra storia, e ci siamo resi conto di conoscere la risposta: dobbiamo molto al nostro incontro ed alla fortuna di avere caratteri e competenze – Guido di agricoltura, comunicazione e marketing e io di organizzazione aziendale e finanza – complementari. Condividiamo un’educazione comune, quella che ci ha permesso di lavorare con determinazione alla realizzazione del nostro sogno, senza risentire dell’influenza di quanti, soprattutto all’inizio, ci guardavano con scetticismo. Abbiamo continuato a studiare e ad inseguire un obiettivo infinitamente perfettibile – fare il gelato più buono del mondo! –, cercando di scegliere con attenzione collaboratori “perbene”, che condividessero la nostra passione. … il tutto condito da un costante impegno quotidiano!
La seconda, se vogliamo ancora più scontata, è che cosa ha fatto del gelato Grom un marchio mondiale?
La qualità delle materie prime: nel mondo del gelato, come in quello della ristorazione, a fare la differenza è la capacità di fare la spesa. E se la domanda è scontata – e non lo è! –, purtroppo in molti casi non lo è la risposta.
Quanto avete investito in comunicazione e pubblicità?
Abbiamo scelto di non acquistare spazi pubblicitari: preferiamo investire ogni risorsa nella nostra azienda agricola Mura Mura e nell’acquisto delle materie prime: tutto inizia da lì.
Della comunicazione, invece, si occupa personalmente il mio socio, Guido Martinetti, e in questo caso il principio che non può mai venire meno è quello della coerenza con il prodotto: il nostro gelato è riconosciuto come naturale e pulito e la comunicazione deve rispecchiarne le qualità ed essere chiara, pulita e trasparente.
In un momento di crisi mondiale come quello che stiamo vivendo il marchio italiano nel mondo vende ancora?
Il fascino che il Made in Italy esercita nel mondo è rimasto forte e immutato. Anzi, per quanto riguarda il nostro settore, quello del food, questo è un ottimo momento per esprimere potenzialità tipicamente italiane – dalla creatività ad un patrimonio culturale enogastronomico quasi unico al mondo – già sfruttate con successo, ad esempio, dalla moda o dall’industria del design. Nel sud est asiatico, dove mi sono recato recentemente in viaggio, l’attrazione per “l’italianità” è palpabile (… e lusinghiera!).
Passare da una produzione locale (italiana) a quella mondiale (ora siete arrivati anche in Giappone) è costato in termini di qualità del prodotto? Più precisamente: il gelato acquistato a Tokyo ha la stessa qualità e lo stesso sapore di quello di Torino?
Sì, perché produciamo la miscela liquida, che viene mantecata fresca ogni giorno nei diversi punti vendita – compresi quelli all’estero –, nel nostro laboratorio di Mappano, vicino a Torino. Una scelta che abbiamo fatto proprio in funzione del mantenimento e del controllo degli standard di qualità e che ci permette, ad esempio, di comprare la frutta solo da agricoltori e consorzi con cui abbiamo una stretta collaborazione e che ci garantiscono prodotti di eccellenza assoluta.
I grassi idrogenati consentono al gelato di conservare lo “scheletro”, la struttura, più a lungo e questo avrebbe dei vantaggi estetici. Secondo i cultori del “bio”, sarebbero assolutamente da bandire. Lei che ne pensa?
Abbiamo fatto alcune delle scelte più significative delle nostra storia proprio di fronte al contrasto tra estetica e qualità o naturalezza.
La prima volta alla Mostra del Gelato di Longarone, ancora prima di aprire il nostro primo negozio, quando ci hanno fortemente sconsigliato di utilizzare il bancone a pozzetti – preferibile dal punto di vista della trasmissione del freddo – perché il gelato “andava messo in mostra”, e meglio ancora se arioso, voluminoso e di colori improbabili (chissà cosa ci avrebbero detto se avessero visto allora il nostro gelato al pistacchio, che è verde pastello, perché senza clorofilla aggiunta!). La seconda qualche anno più tardi, quando abbiamo fondato l’azienda agricola, Mura Mura, dopo aver compreso che il mercato della frutta privilegia l’estetica (pezzatura, sovracolore… ) di un prodotto a scapito del gusto.
Abbiamo bandito nel gelato l’uso di ogni additivo chimico, di coloranti, dei grassi idrogenati e di ogni prodotto non proveniente dalla materia prima, dalla madre terra, a beneficio della salute nostra, primi consumatori del nostro prodotto, e di tutti i nostri clienti.
Quali suggerimenti vi sentite di dare ai giovani imprenditori italiani (che non sia scappate dall’Italia)?
Per prima cosa vorrei proprio smentire il mito del “successo facile” all’estero: l’Italia offre le stesse opportunità di altri paesi e non c’è bisogno di scappare, quanto di fare le cose con etica e professionalità. Penso che il pregiudizio negativo su quanto può dare l’Italia sia uno dei primi da sfatare… e un giovane che voglia fare impresa dovrà prepararsi a sfatarne molti. Vorrei che questo fosse il mio consiglio: diffidare di chi tenta di sottrarci fiducia e cercare invece chi ci sprona. Un consiglio più pratico, poi, è quello di reinvestire tutti gli utili: rende molto credibili di fronte alle banche.
Tasse e burocrazia sono i nostri mali peggiori? Quali le più grosse difficoltà che avete incontrato?
La burocrazia, intesa come difficoltà tipicamente italiana, è un falso problema: ogni paese ha il proprio apparato burocratico, che bisogna conoscere bene per lavorarvi al meglio. Più ostico, piuttosto, è il discorso legato alla tassazione del lavoro: l’IRAP è una tassa costrittiva e di difficile comprensione per gli investitori stranieri, così come il cuneo fiscale così ampio, a sfavore sia degli imprenditori che di tutti i dipendenti.
Martedì 16 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato il secondo disegno di legge sulla semplificazione; che cosa vi sentite di suggerire a questo o al prossimo governo per aiutare l’imprenditoria italiana?
L’etica dovrebbe essere alla base di ogni successo, politico o imprenditoriale. Dare il buon esempio potrebbe essere un primo importante passo in avanti per l’intera collettività e l’immagine di credibilità necessaria per potenziali investimenti esteri.
Domanda scema… Perché il gelato porta il nome solo di Federico?
… perché suona bene! È corto, facile da ricordare e quasi un’onomatopea. L’idea di usarlo è stata di Guido: “su un prodotto food di qualità bisogna mettere il nome”… e il mio faceva al caso suo! Io all’inizio titubavo, lavoravo come manager finanziario e non pensavo ad un futuro nel mondo del gelato. Di fatto, è stata una prova di amicizia e di lucidità imprenditoriale. Nel corso degli anni ce ne sono state molte altre, da parte di entrambi… e così torniamo alla sua prima domanda!