Che la XVII legislatura potesse partire con molta difficoltà noi italiani superstiziosi lo avremmo dovuto capire da subito. Ma venerdì e numeri 17 a parte (chissà quanti gatti neri avranno attraversato le strade di Roma ai vari parlamentari in arrivo) partiamo dall’unica certezza che in questo momento abbiamo: dal 28 febbraio il capo dello Stato é entrato nel trimestre bianco e non può sciogliere le Camere.

  Siamo in una situazione di stallo, il Pd ha vinto ma non ha i numeri per governare, il Movimento 5 stelle è il vincitore morale ma non ha la maggioranza che vorrebbe. Di alleanze non se ne parla e molti dicono che sarebbe meglio tornare alle urne.

Più facile a dirsi che a farsi, perché pur con le difficoltà iniziali il Parlamento riesca ad insediarsi, non c’è di fatto un Presidente della Repubblica che possa poi scioglierlo in caso di impossibilità di formare un esecutivo.
Meglio allora prima eleggere il capo dello Stato, ma chi? Con quali accordi?
Ci troviamo in una situazione in cui se il presidente della Repubblica uscente non riesce a nominare un capo del governo, non può neanche farci tornare alle urne.
Che succede Oallora a questo punto?
La prima ipotesi e anche la più accreditata (anche se mentre scriviamo si susseguono le fumate nere per l’elezione dei due presidenti di Camera e Senato) è che il Parlamento bene o male sia insediato; eletti i presidenti dei due rami, vengono istituite tutte le commissioni diventando così operativo.
Il Capo dello Stato inizia poi le consultazioni il che significa non prima del 19-20 marzo.
A questo punto si aprono strade diverse. Una prima variabile è che il Presidente della Repubblica concluda le consultazioni senza riuscire a dare alcun mandato esplorativo, perché non vi sono le condizioni per formare un governo. Rimarrebbe allora in carica l’attuale esecutivo per l’ordinaria amministrazione, mentre al Presidente della Repubblica non rimarrebbe che aspettare la sua naturale scadenza (15 maggio).
A questo punto il presidente della Camera entro il 15 aprile dovrebbe diramare le convocazioni del parlamento in seduta congiunta per l’elezione del Presidente della Repubblica (i parlamentari di Camera e Senato, integrati dai rappresentanti delle regioni votano tutti nell’Aula della Camera) che generalmente vengono fissate dopo 15 giorni e 15 giorni prima della fine del mandato del presidente uscente.

Dimissioni di Napolitano?
La seconda variabile è rappresentata dalla possibilità che Napolitano non rimanga fino alla metà di maggio a guardare la nebbia infittirsi, decidendo di accelerare la fine del suo mandato con le dimissioni. Qui si aprono altre possibilità. Andiamo per ordine e cerchiamo di seguire le ipotesi.
Il Presidente Napolitano dà mandato esplorativo ad un candidato presidente del Consiglio e si dimette. Le Camere sarebbero così costrette ad anticipare la seduta congiunta per eleggere il Capo dello Stato e solo dopo votano la fiducia, perché il nuovo governo deve giurare nelle mani del Presidente della Repubblica, vecchio o nuovo che sia. Ma sarebbe una ipotesi molto “sgarbata” da un punto di vista istituzionale da parte di Napolitano, spiega Sandro De Nardi, associato di istituzioni di diritto pubblico all’università di Padova.
Molto più probabile allora che il Capo dello Stato si dimetta solo dopo aver sperimentato l’impossibilità di formare un governo, soprattutto per correttezza nei confronti del successore.
La seconda ipotesi è rappresentata dalla possibilità che il mandato, meramente esplorativo, si risolva in un nulla di fatto poiché l’incaricato non riesce sciogliere la riserva in maniera positiva. A questo punto rimane in carica sempre il governo uscente anche se dimissionario per l’ordinaria amministrazione.
Anche in questo caso il governo Monti si dovrebbe presentare in Parlamento ogni volta con i suoi provvedimenti nella speranza di vederli passare, perchè in caso di bocciatura non ci sarebbe molto altro da fare: il governo è gia dimissionario, inutile ricorrere al Colle che è in scadenza. Insomma, una bella sceneggiatura, degna del miglior Kafka. Ecco perché in caso di impossibilità di formare un governo, si vocifera che Napolitano voglia ricorrere alle dimissioni per tagliare i tempi (almeno quelli).

Monti presidente del Senato?
Si vociferava che Monti dovesse essere eletto Presidente del Senato, diventando la seconda carica dello Stato, lasciando però di fatto il governo in carica senza guida non essendoci un vicepresidente del Consiglio costringendo il consiglio dei ministri ad essere presieduto dal ministro più anziano. Una ipotesi prontamente stoppata dallo stesso Napolitano “E’ importante che in sede europea, e nell’esercizio di ogni iniziativa possibile e necessaria specie per l’economia e l’occupazione, il governo conservi la guida autorevole di Mario Monti fino all’insediamento del nuovo governo (per la cui formazione inizierò le consultazioni di rito mercoledì 20). L’abbandono, in questo momento, da parte del presidente Monti, della guida del governo, genererebbe inoltre problemi istituzionali senza precedenti e di difficile soluzione. Apprezzo pertanto il senso di responsabilità e spirito di sacrificio con cui egli porterà a completamento la missione di governo assunta nel novembre 2011.”
Intanto la prima giornata di lavori si è conclusa con un nulla di fatto, come da previsioni.
Di variabili e possibilità ce ne sarebbero ancora tante, perché noi italiani, si sa siamo creativi ma, rimane un’interrogativo: a che serve cambiare tutto se poi non si riesce a sbloccare niente?

Sciogliere una sola camera
Lo stesso articolo 88 della Costituzione, che impedisce al Capo dello Stato di sciogliere le Camere nell’ultimo semestre del suo mandato, al primo comma riporta: “il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”.
Si parlerebbe in questo caso sempre del nuovo presidente e non di Napolitano, che una volta eletto, verificata l’impossibilità di formare un governo, potrebbe anche decidere di sciogliere una sola delle due Camere, in questo caso il Senato dove non esiste una maggioranza, salvando quindi la legislatura che potrebbe andare avanti almeno per cambiare la legge elettorale.
Ma anche questa eventualità secondo De Nardi, non sarà esercitata dal nuovo presidente sempre per una questione non solo di garbo istituzionale perchè far rivotare solo il Senato significherebbe “forzare” la stessa maggioranza della Camera, ma dai profili costituzionali incerti.
Inoltre, chiarisce De Nardi, quella previsione è stata scritta quando le due Camere avevano una durata differenziata (il Senato durava 6 anni e la Camera 5); da quando hanno invece la stessa durata (cioé dal 1963) c’è chi ritiene che quella facoltà non sia più utilizzabile essendo venuto meno il presupposto stesso dell’articolo 88 Cost. “Personalmente – ha concluso De Nardi – credo che quella prerogativa presidenziale possa essere utilizzata ma solo per l’eventualità che, per ragioni strettamente interne ad un ramo del Parlamento, lo stesso non sia in grado di funzionare in concreto; di certo non può essere utilizzato solo perché i due rami hanno una diversa maggioranza politica”. Si tratterebbe allora non solo di uno sgarbo, ma di un passaggio con problemi costituzionali seri.
Certo è che se queste sono le premesse, dove tutte le ipotesi e le varianti analizzate possono sciogliersi solo politicamente, risulta difficile capire dove si troverà l’accordo politico per fare una legge elettorale.
Forse il XVII continua a portare sfortuna dalle nostre parti.

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