Il Documento di Economia e Finanza 2011, presentato lo scorso 13 aprile dal Ministro Tremonti, sta percorrendo il suo iter all’interno delle varie commissioni, chiamate ad esprimere un parere consultivo in vista dell’esame dell’Aula, che al Senato è calendarizzato per martedì 3 maggio, mentre alla Camera la mozione della maggioranza a sostegno del Def è passata per venti voti di scarto. Tra i banchi delle opposizioni mancavano 40 deputati.
I pareri sarebbero dovuti pervenire entro lo scorso giovedì 21 aprile: su questo punto si sono accese le proteste dei rappresentanti dell’opposizione, che hanno lamentato l’impossibilità di valutare attentamente un documento così lungo (circa 450 pagine leggibile in allegato diviso in tre sezioni) e importante in una sola seduta. In alcune commissioni, dunque, la decisione è slittata alla settimana attuale.
Nel merito del contenuto, non sono mancate le critiche sotto vari aspetti.
I partiti di opposizione hanno puntato il dito verso la genericità degli strumenti previsti ai fini del raggiungimento degli obiettivi preposti. In particolare, ha suscitato critiche la politica dei tagli lineari, che penalizzerebbe in modo eccessivo alcuni settori quali l’istruzione, la ricerca e la sanità.
In merito al Programma Nazionale di Riforma, che elenca una serie di misure volte a favorire la crescita economica, i rappresentanti dell’opposizione hanno fatto notare come questo non contenga nulla di programmatico, in quanto riporta semplicemente alcune intenzioni del governo, ad esempio per quanto riguarda la riforma della fiscalità in senso federale o la revisione del sistema universitario.
Se il parere contrario nei confronti del DEF da parte delle opposizioni era scontato, stupisce invece la reazione di alcuni esponenti della maggioranza. Mercoledì scorso, nell’ambito della Commissione Affari Costituzionali, il Senatore Lauro (Pdl) ha espresso, nonostante il successivo voto favorevole, “un giudizio fortemente negativo” sul documento, che “si presenta come una rassegna compilativa e le sezioni di cui è composto non sono collegate né orientate alle finalità di crescita economica”. Infine, ha definito “risibile” l’impegno a raggiungere un livello di deficit prossimo al pareggio entro il 2014, sottolineando il “carattere aleatorio della proclamazione”.
Un altro intervento polemico è arrivato dal Sen. Possa (Pdl), presidente della Commissione Istruzione Pubblica e Beni Culturali.
Durante la seduta di giovedì scorso, a proposito della razionalizzazione della spesa nel settore della ricerca, ha dichiarato che “alla luce dell’impatto finanziario che avranno le azioni di Governo, si ipotizza che non potranno esserci misure particolarmente incisive dato il vincolo di effettuare minori spese”.
A suo parere il DEF riporta “una commistione tra passato, presente e futuro, senza un’adeguata quantificazione delle misure attinenti a ciascuna fase” e dunque rimarca “la necessità di disporre di dati concreti (…) in modo da consentire una valutazione complessiva delle politiche settoriali e un’analisi più dettagliata dell’incidenza che la spesa pubblica determina per tali comparti sul PIL”.
Il timore è che le misure previste deprimano ulteriormente il settore della ricerca, non consentendo inoltre al nostro Paese di centrare gli obiettivi europei per il 2020, anno in cui gli investimenti in ricerca, pubblici e privati, dovrebbero raggiungere l’1,53% del PIL.
Il Sen. Possa, tuttavia, è andato oltre gli aspetti attinenti ai lavori della sua Commissione, criticando in sostanza il meccanismo decisionale che ha portato all’adesione del nostro paese al “Patto per l’Euro” di fine marzo, “qualificato come ‘un Trattato nel Trattato’ destinato a modificare la struttura costituzionale europea”, come afferma Tremonti nella premessa del DEF.
Possa lamenta dunque “l’assenza di qualsiasi controllo democratico su tale procedura”, manifestando il proprio “sconcerto per gli effetti del Patto, che determineranno una più vasta e rapida devoluzione di potere dagli Stati all’Europa”. Il riferimento attiene all’impegno dell’Italia, sottoscritto dal Ministro dell’Economia, volto ad inserire nella carta costituzionale il vincolo della disciplina di bilancio, modificando l’articolo 81 sulla copertura economica delle nuove leggi.
Da tali dichiarazioni appare chiaro che la coesione della maggioranza sul tema della politica economica del governo non è salda come si vuole far credere. Sempre la scorsa settimana, in concomitanza con le riunioni delle commissioni, il Ministro dei Beni Culturali Galan si era fatto portavoce di un dissenso, a suo dire diffuso tra alcuni ministri, verso la politica dei tagli lineari. “Con Tremonti si perdono le elezioni”, afferma Galan, spiegando che la tenuta dei conti pubblici non rappresenta certo un argomento utile in campagna elettorale e insistendo sul fatto che “il centro delle decisioni del governo non può stare a via XX Settembre ma deve tornare a Palazzo Chigi”.
Nei giorni successivi il Presidente del Consiglio e vari esponenti della maggioranza hanno espresso la loro fiducia nei confronti di Tremonti, ma il problema rimane evidente.
La difficile conciliazione tra necessità elettorali e obiettivi economici di medio – lungo periodo non è una scoperta di oggi, ma è senza dubbio resa più complessa sia dalla situazione economica italiana, caratterizzata da rischi di instabilità e scarsa crescita, sia dal momento politico.
A preoccupare gli esponenti della maggioranza non sono tanto le prossime elezioni amministrative, che probabilmente si giocheranno su temi diversi dall’economia, ma le politiche del 2013.
Se il governo, sotto la guida economica di Tremonti, dovesse perseguire in modo irremovibile gli obiettivi sul disavanzo che si stanno per consegnare alla Commissione Europea, saranno probabilmente necessarie ulteriori manovre restrittive della spesa, paragonabili per entità agli sforzi compiuti negli anni ’90 finalizzati all’ingresso nella moneta unica.
Uno scenario simile porterebbe certamente all’accantonamento di alcune prerogative del governo, in primis la promessa riforma fiscale ed il relativo abbassamento delle aliquote.
In termini elettorali, dunque, la politica economica fortemente “europeista” di Tremonti potrebbe trasformarsi in un boomerang sul fronte dei consensi.
Le voci di dissenso che iniziano a circolare nella maggioranza denotano un ulteriore aspetto, riguardante la fiducia che effettivamente si ripone sia nelle azioni concrete sul bilancio che sulle proposte di riforma prospettate nel DEF.
Se, infatti, le misure delineate portassero effettivamente ad una crescita sostanziale del PIL ed al miglioramento della competitività italiana sui mercati internazionali, il problema dei conti pubblici risulterebbe molto attenuato.
In altre parole, con una crescita sostenuta, il rapporto debito/PIL diminuirebbe anche in presenza di manovre più accomodanti, soprattutto in termini di spesa pubblica, rendendo più agevole la campagna elettorale del 2013. Il punto più critico, che inizia a preoccupare anche alcuni esponenti della maggioranza, è dunque l’incertezza sull’efficacia delle misure ed il rischio di un conseguente ristagno economico anche per gli anni a venire, che potrebbe pesare in modo decisivo sulle scelte di voto degli italiani.
Un rischio troppo grande per la coalizione di governo poiché, per dirla con le parole del Ministro Galan di giovedì scorso, “le elezioni non le perde Tremonti da solo ma le perdiamo tutti noi.”
Def parte I
Def parte II
def parte III