I Puritani
di Vincenzo Bellini
interpreti: Mariola Cantarero, John Osborn, Scott Hendricks, Riccardo Zanellato.Netherlands Philharmonic Orchestra, Coro dell’Opera olandese, direttore Giuliano Carella.
regia di Francisco Negrin, scene di Es Devlin, costumi di Louis Désiré
Blu-ray disc Opus Arte OA1091D

Messa in scena per la prima volta a Parigi nel gennaio del 1835, al Théâtre Italien, l’ultima opera di Bellini conobbe allora un grande successo grazie a un cast stellare, formato da Giulia Grisi, Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini e Luigi Lablache, cantanti che divennero poi celebri proprio come “quartetto dei puritani”. Le impervie difficoltà della scrittura vocale hanno reso I Puritani un’opera di difficile realizzazione, e proprio per questo è da ammirare questa edizione (senza tagli) registrata all’Opera di Amsterdam nel febbraio del 2009, dove tutti i cantanti paiono all’altezza della sfida. A partire da John Osborn, nei panni di Arturo, con la sua voce leggera e duttile, capace di cogliere ogni sfumatura espressiva del suo personaggio, con un colore talvolta scuro (come nella canzone del trovatore), senza sforzo negli acuti (anche sul Fa dell’aria «Credeasi, misera», dove pochi tenori riescono ad avventurarsi). Ugualmente a suo agio in tutta la gamma è l’Elvira del soprano spagnolo Mariola Cantarero, che sfoggia un’eccellente tecnica, grande flessibilità, e non dispiace nemmeno per quel carattere più metallico che vellutato della sua voce. Assai convincenti anche Scott Hendricks nei panni di Riccardo, Riccardo Zanellato, un Giorgio Walton nobile e autorevole e Fredrika Brillembourg, che sfoggia una bellissima voce nella piccola parte di Enrichetta. Intrigante, come sempre, la regia di Francisco Negrin che impernia tutto sulla follia di Elvira, con una progressione che ha il suo culmine nel secondo atto, ma che permette al regista messicano (cresciuto artisticamente in Francia, ora attivo in Spagna, celebre per le sue regie händeliane) di reinterpretare la vicenda eliminando il lieto fine, e inventando un esito emotivamente e teatralmente molto efficace: Arturo viene infatti ucciso con un colpo di fucile, e l’arrivo del messo, come deus ex machina con la notizia della sconfitta degli Stuardi e il decreto di amnistia, appare come un pensiero Elvira, che resta sola in scena, mentre il coro (e l’amato Arturo) vengono occultati dietro un fondale rossastro, come una scia di sangue. Lei ascolta queste voci di giubilo come fossero solo immaginarie, e poi crolla sul corpo esanime di Arturo. Nello spettacolo, esaltato dalle belle riprese video in alta definizione, l’epoca storica (il Seicento inglese, al tempo delle lotte tra i puritani, seguaci di Cromwell, e i partigiani degli Stuart) è suggerita solo dai costumi (di Louis Desiré), mentre le scene (di Es Devlin) sono concepite come una muraglia metallica, claustrofobica, con pareti borchiate (sono versi della Bibbia in alfabeto Braille, ma sembrano fori di proiettili) che richiamano il mondo chiuso e intollerante del fanatismo religioso, e la violenza che cova sotto ogni rigido controllo. L’orchestra è guidata con grande cura da Giuliano Carellam, che sottolinea le ricercatezze armoniche e timbriche della partitura e ne coglie le venature romantiche.

 

luluLulu
di Alban Berg
interpreti: Patricia Petibon, Michael Volle, Franz Grundheber, Tanja Ariane Baumgartner, Pavol Breslik, Thomas Piffka, Cora Burggraaf, Thomas Johannes Mayer, Heinz Zednik, Andreas Conrad.
Wiener Philharmoniker diretti da Marc Albrecht
regia di Vera Nemirova, scene di Daniel Richter, costumi di Klaus Noack
Blu-ray Disc EuroArts 2072564
Spettacolo di Vera Nemirova presentato con grandi consensi di pubblico e di critica al Festival di Salisburgo 2010. La regista bulgara ha lavorato a stretto contatto con Daniel Richter, artista assai noto in Germania, che ha disegnato una scenografia spoglia, uno spazio con porte immaginarie, arredato in maniera essenziale, ma capace evocare atmosfere di decadenza e di morte, di costituire uno sfondo ideale, raggelato per una vicenda dalle tinte forti, dominata da sesso, omicidi e suicidi, prostituzione e amore lesbico, scandali finanziari e corruzione politica. Spiccano, sul piano visivo, i grandi dipinti realizzati da Richter (nella scena di apertura ad esempio un enorme ritratto della protagonista), alcune istallazioni dalle forme geometriche (come il grande mobile nero a forma di piramide che campeggia al centro della scena nel secondo e nel terzo atto, e che diventa come una gigantesca cassettiera nella quale si nascondono gli spasimanti di Lulu), i magnifici costumi disegnati da Klaus Noack. Colpisce in particolare il guardaroba di Lulu, che entra in scena in lingerie bianca e con due ali, poi spazia dall’alta moda all’intimo sexy, agli abiti più fantasiosi, ai costumi piumati da showgirl, sempre con una predilezione per il bianco immacolato. A indossarli è Patricia Petibon, già protagonista della Lulu messa in scena da Olivier Py a Ginevra e a Barcellona (dvd Deutsche Grammophon), che cattura l’attenzione anche con i suoi capelli rossi, l’incarnato pallido, il corpo agile, la silhouette adolescenziale, le occhiate improvvise, spiritate, che creano una maschera di candore infantile e insieme di follia. La sua voce argentina ha suoni taglienti, talvolta spigolosi, e acuti molto vibrati, ma anche un’estrema duttilità espressiva che la rende capace di esprimere umori diversi, e un profondo tormento interiore. La direzione di Marc Albrecht sfrutta al meglio la brillantezza timbrica dei Wiener Philharmoniker e il suono caldo dei loro archi, per imprimere all’opera una forte tinta romantica e sensuale, per coglierne le sottigliezze orchestrali e il lirismo lacerante che la pervade. Bravissimi Pavol Breslik nei panni del pittore, e Franz Grundheber in quelli del vecchio Schigolch. Minaccioso, angosciato, umanissimo Michael Volle nel doppio ruolo di Schön e di Jack lo squartatore. Sicura e corposa la voce di Thomas Piffka nei panni di Alwa, possente e piena di carattere quella di Thomas Johannes Mayer nel ruolo del domatore e dell’atleta. Insieme nobile e fragile, trepidante di amore per Lulu, la contessa Geschwitz di Tanja Ariane Baumgartner.


Kagel_Sden_kairosMauricio Kagel: Süden

Un film in dvd di Solnicki Gastón
Dvd Kairos KAI0013172
Nel 2006, due anni prima della sua morte, Mauricio Kagel era stato invitato a Buenos Aires per un festival a lui dedicato, una serie di concerti in cui fu chiamato a dirigere l’orchestra filarmonica di Buenos Aires, ma anche a lavorare con alcuni gruppi di giovani musicisti, l’Ensamble Süden, della Compañía Oblicua e anche dell’italiano Divertimento Ensemble. Kagel era nato nella capitale argentina, ma dal 1957 si era trasferito definitivamente in Germania. Quei giorni di festival, che sconvolsero un po’ la vita musicale di Buenos Aires, assunsero quindi un profondo significato per il compositore, furono per lui un omaggio commovente, molto sentito, come dimostra questo film, realizzato per l’occasione dal regista Gastón Solnicki. Vi si coglie il lato umanissimo del compositore, la sua generosità, il profondo senso dello humour, la visione ironica del mondo che lo circondava, la sua capacità di catturare l’interesse anche di quelli che si mostravano scettici di fronte alla sua musica e alla musica contemporanea in generale. Molte delle riprese sono state fatte durante le prove dei concerti, e giocano anche sugli sguardi stupefatti e complici dei musicisti. Ci sono frammenti della Kammersymphonie (1973), di Quodlibet per voce femminile e orchestra su testi di chansons francesi del XV secolo (1988), di Schattenklänge (1995), di Der Turm Zu Babel (1995). E ancora estratti da Unguis Incarnatus Est (1972) per pianoforte e clarinetto basso, concepito come una parafrasi di un tema lisztiano, l’incipit di Nuages gris; da Mare Nostrum (1975), caustica rivisitazione della storia delle colonizzazioni (una popolazione amazzonica conquista l’Europa e sottopone a conversione forzata i selvaggi europei, dipinti come persone disoneste, sporche e petulanti); dalle Dieci marce per perdere la vittoria (1979) parodia di una banda militare in chiave antimilitarista; dal ciclo della Windrose (1989) che fa rivivere le sonorità e le atmosfere di una Salonorchester attraverso un sofisticato mix di ballabili e stili diversi; da … den 24. xii. 1931 (1991) «ritagli di notizie per baritono e strumenti» dove il compositore celebra la propria data di nascita mettendo in musica frammenti di notizie pubblicate quel giorno sui quotidiani. Fino a un breve happening come Eine Brise (1996), «azione fugace» per 111 ciclisti chiamati a pedalare intorno al Teatro Colón nel momento più solenne e formale del festival.

Billy_Budd_opus_arteBilly Budd
di Benjamin Britten
interpreti: John Mark Ainsley, Jacques Imbrailo, Phillip Ens, Ben Johnson, Ian Paterson, Jeremy White, Matthew Rose, Darren Jeffery, Alasdair Elliott, John Moore, Colin Judson, Richard Mosley-Evans
London Philharmonic Orchestra, e coro di Glyndebourne diretti da Mark Eider
regia di Michael Grandage, scene di Christopher Oram
2 dvd Opus Arte OA 1051
La videografia di Benjamin Britten si arricchisce con una nuova, notevole edizione di Billy Budd, filmata a Glyndebourne nel 2010. Seconda opera marinaresca di Britten, dopo Peter Grimes, scritta su libretto di Edward Forster e Eric Crozier, tratto dall’omonimo romanzo di Melville, è ambientata nel 1797, nel periodo della guerra contro la Francia. Tutta la vicenda si svolge a bordo del vascello inglese “Indomitable”, sul quale è imbarcato il giovane e prestante Billy Budd, accusato ingiustamente dal maestro d’armi Claggart di voler guidare un ammutinamento. Il capitano Vere, convinto della sua innocenza, lo mette a confronto con il suo accusatore. Ma Billy preso dal panico e dalla balbuzie, non riusce a discolparsi e colpisce Claggart uccidendolo. La corte marziale lo condanna all’impiccagione. Britten fu molto affascinato dalla figura del giovane marinaio, eroe integro e un po’ naïf, contento di essere arruolato e capace di accettare con rassegnazione il suo destino. Claggart è invece l’emblema del male, una specie di Jago roso dall’invidia per la bellezza di animo e di aspetto di Billy, da un oscuro rancore (dove non sono da escludere sottintesi omosessuali) che lo spinge a escogitare di tutto pur di distruggerlo. Al di fuori di questo conflitto tra bene e male, che si riflette musicalmente nella contrapposizione di due precise aree tonali (si bemolle maggiore e si minore), si colloca la figura figura del capitano Vere, uomo riflessivo e giusto che però, al momento di decidere le sorti del giovane, non riesce a fare altro che applicare una legge spietata. Originariamente divisa in quattro atti, incorniciati da un prologo ed un epilogo (nei quali appare il capitano Vere, vecchio, che ricorda questa storia assalito dai dubbi e dai rimorsi), l’opera fu poi compattata da Britten, nel 1960, in solo due parti, per accentuare la continuità drammatica e anche per eliminare alcune difficoltà nella parte tenorile di Vere, che aveva scritto per l’amico Peter Pears. Ed è questa la versione messa in scena a Glyndebourne. Mark Elder alla guida della London Philharmonic Orchestra coglie con finezza la varietà di atmosfere espressive della partitura, il suo trascolorare dai momenti eroici (sottolineati da un abile uso del coro e degli ottoni) alle scene pittoresche della vita a bordo, alle evocazioni poetiche dell’immensità del mare, ma sottolinea soprattutto la tensione che si accumula scena dopo scena (come «un’onda che cresce» direbbe Melville), fino a climax di straordinario impatto emotivo. La regia di Michael Grandage, al suo primo cimento operitico, suggerisce davvero poco il mare, crea piuttosto una dimensione claustrofobica, tutta realizzata in spazi chiusi, sottocoperta, che rende bene la crudeltà, la spietatezza della disciplina di quel mondo marinaresco. I protagonisti e il coro sono diretti con estrema cura, anche nei dettagli dei gesti e delle espressioni, che risultano sempre molto convincenti nei primi piani del video. Scrupolosissima anche la ricostruzione storica nelle scene di Christopher Oram, che riproduce i ponti interni di una nave di epoca napoleonica, sempre immersi in una luce cupa. Il baritono Jacques Imbrailo incarna bene la doppia naura, ingenua ed eroica del protagonista, con il suo canto pieno di pathos e la sua rabbia improvvisa e afasica. La parte di Claggart, che ha una caratterizzazione musicale simile a quella del Grande Inquisitore, è affidata al basso Philipp Ens non sempre impeccabile vocalemnte, ma malefico al punto giusto.Il tenore John Mark Ainsley è un capitano Vere di grande duttilità vocale, che coglie bene la sua natura più introversa che autoritaria.

Janet_Baker_warnerJanet Baker
documentario; Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, Orfeo e Euridice di Christoph Willibald Gluck
3 dvd + 2 cd Warner Classics 2564-66202-7
Considerata una delle più grandi cantanti inglesi della seconda metà del Novecento, Janet Baker, nata nello Yorkshire nel 1933, aveva iniziato la sua folgorante carriera dopo essersi affermata al Kathleen Ferrier Award nel 1956. Ammirata soprattutto nel reperotrio händeliano (Rodelinda, Tamerlano, Ariodante, Orlando), in ruoli mozartiani, in alcune opere di Britten (Albert Herring, Owen Wingrave), la Baker diede l’addio alle scene nel 1982, pubblicando lo stesso anno un libro di memorie intitolato Full Circle, un diario dettagliato dell’ultimo anno della sua carriera artistica. Insieme al documentarista Bob Bentley, trasformò poi queste memorie in un interessante film autobiografico, nel quale si alternano interviste (sulla sua vita privata, a fianco di Keith, marito devoto e manager che la seguiva in ogni suo spostamento; su questioni musicali; sul suo legame con Glyndebourne, dove iniziò la sua carriera come corista), le prove (come quelle, estenuanti, per la registrazione BBC di Maria Stuarda alla English National Opera), frammenti di spettacoli, un recital alla Carnegie Hall (durante un tour americano nel gennaio del 1981), diverse arie (di Donizetti, di Gluck e dal Dream of Gerontius di Elgar). Il box è completato con le sue due opere di addio al palcoscenico: Maria Stuarda, messa in scena al London Coliseum, e Orfeo e Euridice, a Glydebourne (qui presente sia in cd che in dvd). La prima è un’edizione memorabile (benché cantata in inglese) affidata alla regia, tradizionale e essenziale, di John Copley. La Baker sfoggia tutto il uso splendore vocale, per le qualità tecniche, la sensibilità espressiva, la varietà di accenti, di inflessioni, di sfumature, facendo di Maria Stuarda una figura regale e dolente. Accanto a lei altre stelle di prima grandezza come Rosalind Plowright (nei panni di Elisabetta I), David Rendall, John Tomlinson, Alan Opie, e sul podio Charles Mackerras che dirige con grande chiarezza e energia, seguendo con acume musicale ogni recitativo. Con analoga intensità, ma minor smalto vocale, il mezzosoprano inglese ha affrontato l’Orfeo di Glyndebourne, con molte licenze stilistiche e con una recitazione molto drammatica ma talvolta sopra le righe. Né brillavano al suo fianco la diafana Euridice di Elisabeth Speiser e l’Amore di Elizabeth Gale. Anche Raymond Leppard dirigeva la London Philharmonic Orchestra calcando spesso la mano. Rispettoso degli ideali classici era solo l’allestimento di Peter Hall, con i suoi sapienti contrasti di colore, e quel mix tra uno scenario di purezza attica e le vivide scene infernali, movimentate da demoni trasformati in buffi gattoni pelosi.

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