Presidente dell’Ordine dei commercialisti di Milano a metà degli anni ’70 e presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti nel 1991, Giuseppe Bernoni per i suoi primi 50 anni di attività ha festeggiato con il libro “Una vita per la professione. Cinquant’anni di ricordi e incontri di un commercialista milanese”.
Dott. Bernoni, Lei ha festeggiato con un libro 50 anni di attività, come è cambiata la figura del commercialista in questo lungo arco di tempo?
La figura del Dottore Commercialista in questo arco di tempo è cambiata notevolmente a causa della maggior complessità economica-giuridica e rilevanza della competizione esistente; in questi ultimi tempi anche della crisi economica-finanziaria.
Come considera le ultime riforme che hanno riguardato la vostra professione?
Le ultime riforme sono state considerate dalla categoria da un lato conforme a quanto già era stato realizzato anticipando i tempi, su indicazione del Consiglio Nazionale, d’altro lato alcune riforme vengono ritenute non in linea con le aspirazioni della categoria.
Le nuove società di professionisti, come ho detto, sono da oltre cinquant’anni attese dalla categoria e permetteranno, se ben realizzate, uno sviluppo notevole. Non è chiaro nella nuova normativa il senso dei soci di capitale che andrebbero ben determinati e chiariti nella loro realizzazione concreta.
Lei è stato un precursore dell’associazionismo, come giudica nel dettaglio le nuove società tra professionisti?
Le nuove società professionali non sono state definite in modo soddisfacente e non sono state realizzate in conformità alla nostra proposta del Congresso Nazionale di Napoli. Inoltre non sono ancora state decretate le attuazioni previste dalle tre riforme di questi ultimi anni in ordine all’abolizione di parte o tutta la vecchia legge del ’39; le attendiamo per meglio definire i contenuti delle nuove società multi professionali.
Rispetto ad altri Paesi, in Italia gli studi associati continuano ad essere in numero ridotto? Una questione “culturale” o un mercato diverso?
In effetti in Italia, rispetto alle esigenze del mercato e alla situazione competitiva attuale, gli studi associati esistenti sono un numero ancora limitato. La ragione è dovuta principalmente all’esasperato individualismo dei professionisti e questo vale anche in altri settori imprenditoriali.
Se fosse stato il legislatore cosa avrebbe fatto cosa non avrebbe cambiato?
Se fossi stato il legislatore innanzi tutto avrei favorito il cambiamento della mentalità dei professionisti e dei piccoli e medi imprenditori. Un’attenzione maggiore anche al lavoro in team. Fare squadra oggi si impone per poter svolgere il proprio ruolo adeguato ad un mercato sempre più difficile e concorrenziale. Avrei certamente realizzato una normativa sulle società professionali ma con un’attenzione maggiore alle persone del professionista e dei clienti e alla necessità di realizzare strumenti idonei mettendo in secondo piano l’aspetto del capitale. Perché modificare anche la mentalità imprenditoriale? Per favorire aggregazioni tra imprenditori per costituire entità più adeguate all’attuale competizione globalizzata.
I commercialisti sentono la crisi? Cresce il numero dei disoccupati o quantomeno dei sottopagati nella vostra professione?
Sì, tutte le categorie sentono la crisi e quindi anche i dottori commercialisti. Ma a mio avviso la crisi colpisce meno quei colleghi giovani che si sono preparati e lavorano e studiano in modo sistematico e con adeguate motivazioni avendo acquisito l’attitudine a lavorare in team. Oggi comunque per il professionista singolo e isolato è più difficile lo sviluppo.
Farebbe una nuova riforma delle professioni? Se si che cosa riformerebbe?
Sì, la riforma delle professioni andrebbe fatta pensando, come ho detto, ai professionisti e ai clienti e non al capitale. Stimolerei le integrazioni, le aggregazioni, le associazioni tra professionisti anche con facilitazioni di carattere fiscale onde realizzare studi multidisciplinari in grado di effettuare concorrenza alle entità straniere in ambito globalizzato estremamente competitivo.
In Italia si pagano troppe tasse o sono troppo pochi quelli che le pagano?
La risposta è che entrambe le cose sono veritiere. A mio avviso ciò che si dovrebbe realizzare, ma non è stato fatto in cinquant’anni (al di là di tutte le discussioni che si sentono sul tema), un Testo unico chiaro e semplice, riducendo le incertezze interpretative per consentire un regolare adempimento del dovere fiscale in tranquillità e rispettoso della normativa fiscale. Evitando ciò che è accaduto fino ad oggi, cioè l’emergenza continua, con il sistematico intento di raschiare il barile per portare a casa mezzi finanziari allo scopo di quadrare il bilancio. Il legislatore non ha purtroppo nemmeno rispettato lo statuto del contribuente al quale non si è curato di conformarsi. Il legislatore dovrebbe evitare di introdurre ulteriori condoni restituendo tempestivamente i crediti d’imposta ai contribuenti, pur continuando a colpire coloro che non rispettano la normativa. Ma alla base occorre un periodo di tranquillità fiscale ove contribuente e amministrazione finanziaria possano svolgere un lavoro efficace e rispettoso reciprocamente: leggi chiare e evitando modifiche come avvenuto finora.
Solo così i contribuenti potranno, insieme ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, svolgere il loro ruolo in un ambito di reciproca fiducia.
Il Paese, si sente purtroppo ripetere spesso, è sull’orlo del baratro; per uscire dalla crisi, per finanziare servizi basilari come la scuola e la sanità servono soldi. Dove andare a reperire le risorse secondo lei?
Reperire risorse non è una novità, lo sanno tutti che sarebbe necessario ridurre le spese e gli sprechi. Se tutti, incominciando da coloro che amministrano la cosa pubblica, utilizzassero un po’ più di sobrietà e di attenzione a questi basilari aspetti molti mezzi finanziari potrebbero essere utilizzati per finalità essenziali.
Immaginando di essere il prossimo ministro dello sviluppo economico, quali le misure che prenderebbe subito?
Se fossi il prossimo ministro dello sviluppo economico vorrei poter operare in un ambito ove la stabilità politica fosse regola e mi consentisse per cinque/dieci anni di realizzare ciò che al paese necessita con persone che si dedicano esclusivamente al bene comune applicando rigore ed equilibrio e riducendo tutti gli sprechi possibili immaginabili. Nel contempo ridurrei progressivamente il debito pubblico onde porci in condizione di non essere più aggrediti dalla pericolosa ed invadente speculazione internazionale.