Lo strano caso occorso al Consorzio della chiusa di Casalecchio, che da 50 anni preleva l’acqua del Reno senza una concessione e senza pagare canoni da 18 anni, ha dell’incredibile. L’ennesimo esempio di mala amministrazione che mette in fila, per mezzo secolo, una dietro l’altra, una serie di anomalie burocratiche (“errori”? “sviste”? “dimenticanze”?) che oggi certamente creano qualche imbarazzo alla Regione Emilia-Romagna che dal 2000 è l’ente deputato al rilascio della concessione di prelievo di acqua pubblica dopo avere acquisito questa competenza dall’ex ministero dei Lavori Pubblici anch’esso rimasto silente per molto tempo.

Abbiamo chiesto alla Regione il motivo per cui l’ente è rimasto in silenzio per tanti anni ma nessuno ha potuto rispondere alla domanda. Non ha potuto spiegarcelo Ferdinando Petri, dirigente preposto al servizio tecnico di bacino, competente per il rilascio della concessione, in servizio dall’agosto 2011, che ha dichiarato di non conoscere i motivi per i quali l’ufficio (che lui dirige), non ha mai dato una risposta, fino ad oggi, alle reiterate richieste del Consorzio per ottenere la concessione. “Sono cose complesse – spiega – ed io non sono a conoscenza di quello che hanno fatto i miei predecessori!”.

Concessione e revoca
Una cosa è certa: tra gli incartamenti della Regione la confusione regna sovrana. Sarà per questo che Petri, dopo aver rilasciato al consorzio (il 10 febbraio 2012, esattamente dopo 50 anni) la formale concessione di derivazione, decide di revocarla pochi giorni dopo (il 29 febbraio) in autotutela. La revoca in autotutela significa che la Regione si è accorta di avere fatto un errore grossolano nel rilasciare quella concessione e quindi fa un poderoso passo indietro.
Il ritiro della concessione, chiarisce un documento della stessa amministrazione del 30 aprile scorso firmato dal direttore generale ambiente, difesa del suolo e della costa della Regione Emilia-Romagna, Giuseppe Bortone, deriva dalla necessità“ di sottoporre il procedimento ad ulteriore e approfondita istruttoria al fine di dare idonea soluzione alle problematiche emerse successivamente”. “Pertanto – conclude Bortone – al momento non c’è alcun atto di concessione rilasciato dalla Regione al Consorzio, né alcun rinnovo ed il procedimento risulta pendente”.

Una situazione “molto complessa”
Eh già, son situazioni molto complesse! Eppure ancora una volta la soluzione arriva nel giro di pochi giorni. Perché il 10 maggio, esattamente dieci giorni dopo il documento firmato da Bortone del 30 aprile, una conferenza di servizi regionale, convocata per la valutazione di impatto ambientale del progetto (presentato dal consorzio) di una centrale idroelettrica nelle immediate vicinanze della chiusa di Casalecchio, autorizza la costruzione dell’impianto che produrrà, già dall’inizio del 2013, energia con l’acqua del Reno. “La procedura di Via – spiega Alessandro Maria Di Stefano, responsabile del servizio valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale della Regione – ha assorbito tutte le procedure burocratiche pendenti, compresa l’istruttoria per il rilascio della concessione”. In pratica ci fa capire che i nodi dell’istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione al prelievo sono stati sciolti all’interno della stessa conferenza dei servizi che, in una sola seduta, oltre ad autorizzare la costruzione della centrale ha contestualmente chiuso il capitolo concessione, dipanando una matassa cinquantennale. La spiegazione, ad onor di buon senso, lascia perplessi anche perché la concessione per il prelievo di acqua dovrebbe essere l’atto iniziale sul quale poi, eventualmente, basare gli eventuali ulteriori progetti per l’uso dell’acqua pubblica come per esempio quello della costruzione della centrale idroelettrica alla Canonica. Ma volendo sorvolare, per un momento, su queste perplessità e cercando di capire, quantomeno, le modalità con le quali è stata sanata la posizione del Consorzio, anche qui, ci troviamo di fronte a parecchia confusione. Una marea di carte che contengono indicazioni contrastanti tra di loro.

I conti che non tornano
Il 24 gennaio, in vista della concessione subito revocata di febbraio, il dirigente Petri richiede al Consorzio il pagamento di complessive circa 134mila euro a titolo di indennizzo, un risarcimento forfettario per il prelievo abusivo di acqua dal 2001 al 2011; mentre richiede in anticipo il pagamento del canone per l’anno in corso (il 2012) quantificato il 17.966 euro. Totale 150mila euro, euro più, euro meno, che il consorzio si riserva di pagare in quattro comode rate semestrali. La prima (di 69mila euro, comprende il pagamento del canone 2012 e la prima rata dell’indennizzo richiesto) è stata già versata il 31 gennaio scorso. Per le altre bisognerà aspettare la scadenza delle rate (luglio 2012, gennaio e luglio 2013).
Ma nel documento del 30 aprile firmato da Bortone – che è gerarchicamente superiore al funzionario Petri – le indicazioni, sono completamente discordanti. Il direttore generale, infatti, spiega, che le somme dovute non sono più 134mila più le 17 mila di canone per il 2012, ma sono diventate 258mila e sono richieste non a titolo di indennizzo ma a titolo di canoni per il prelievo di acqua dal 2001 al 2011. Qui, non c’è nessuna menzione al canone 2012. Bortone conferma che la somma incassata ammonta a circa 69mila euro. “L’ammontare richiesto – spiega Bortone – corrisponde alla somma richiesta per il pagamento dei canoni arretrati dal 2001 al 2011”. Attenzione: adesso non si parla più di indennizzo ma di canoni arretrati. Ed è una cosa molto diversa perché, a differenza dell’indennizzo, i canoni si prescrivono in 5 anni per cui non sono più esigibili quindi quelli antecedenti il 2007: totale circa 160mila euro secondo il prospetto fornito dalla Regione.
Altra anomalia: il “canone” indicato da Bortone e riferito al 2011 (25mila euro) è decisamente più alto di quello richiesto da Petri per il 2012 (17mila euro). Forse per quest’anno, magari in ragione della asserita “sanatoria”, la Regione ha deciso di fare uno sconto al consorzio volendo sorvolare sul fatto che per 20 anni l’ente consortile – senza una regolare concessione e senza pagare canoni – ha prelevato l’acqua del fiume Reno e l’ha anche rivenduta ai suoi consorziati incassando ogni anno a titolo di contributo 280mila euro, più o meno quanto la regione chiede per il prelievo di 10 anni. Ma ai contributi dei consorziati bisogna aggiungere altri introiti derivati dal solo fatto che il consorzio gestiva il “rubinetto” della chiusa di Casalecchio.

 

Gli affari del Consorzio
“Nei periodi di maggior bisogno d’acqua – spiega Antonio Ferro presidente di Coldiretti Bologna e vicepresidente del consorzio della bonifica renana – come per esempio d’estate quando nei canali c’è poca acqua e i campi hanno maggior bisogno di essere irrigati, ci rivolgiamo abitualmente al Consorzio della chiusa per chiedere che ci rilasci un po’ di acqua per potere irrigare. Per questo servizio paghiamo loro circa 10mila euro all’anno”. Ma gli affari del Consorzio della chiusa con l’acqua pubblica non finiscono qui. Con l’acqua del Reno, infatti, Hera spa, multiutility consorziata all’ente bolognese, fa funzionare la centrale idroelettrica del Cavaticcio che, a pieno regime, frutta circa 200mila euro all’anno. La produzione di energia idroelettrica del Cavaticcio, però è andata sempre scemando, negli anni. Se nel 2000 infatti il Cavaticcio produceva 1700 MWh all’anno, nel 2006 e nel 2008 la produzione è scesa a zero. Deve essere stato un brutto colpo per il Comune di Bologna che ha creduto molto in questo impianto al punto da investire all’epoca (siamo all’inizio degli anni Novanta) più di 10miliardi delle vecchie lire di cui 2miliardi di finanziamenti europei, per costruire l’impianto che poi ha ceduto alla multiutility Hera spa di cui è il principale azionista.
Nonostante l’esempio del Cavaticcio, il business dell’energia stuzzica ancora l’appetito imprenditoriale del consorzio che, insieme alla Sime Energia, socio del consorzio dell’ultim’ora, presenta nel 2010 il progetto di una nuova centrale idroelettrica alla Canonica. Quella che ha appena superato, con esito favorevole, la valutazione di impatto ambientale nonostante fino a luglio 2013 – data del saldo del famoso risarcimento da parte del consorzio – l’istruttoria per il rilascio della concessione risulti ancora pendente. Tutto il frettoloso procedimento che ha portato all’ok è spiegato dentro il cosiddetto rapporto ambientale che rappresenta il documento conclusivo dell’iter. Ma anche qui, a quanto pare, non c’è molta chiarezza. Abbiamo chiesto a un docente di idraulica di aiutarci ad interpretare i tecnicismi di questo documento ma anche lui ha avuto delle difficoltà. “Il rapporto ambientale – sostiene Alberto Lamberti, docente di idraulica all’università di Bologna – di solito contiene quanto meno uno stralcio del progetto di cui si discute, in questo caso della costruzione della centrale idroelettrica, di modo da permettere ai tecnici che avranno questo documento tra le mani, di capire di cosa si stia parlando. In questo caso non c’è traccia del progetto e questo rende la lettura del documento poco chiara”.

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