ROMA. Capolavori di Fattori, Signorini, Lega, Cabianca, ma anche Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, racconteranno l’età dei Macchiaioli e le influenze che il movimento più importante dell’Ottocento italiano ebbe sulle generazioni successive, fino agli albori del XX secolo, in una grande mostra allestita dal 16 marzo al 4 settembre negli spazi del Chiostro del Bramante.
Esposte 110 opere, che nel corso del tempo hanno fatto parte delle collezioni storiche più importanti e ora, per lo più in raccolte private, vengono riunite insieme per la prima volta. La mostra, che si intitola I Macchiaioli. Le collezioni svelate è stata prodotta e organizzata da Dart-Chiostro del Bramante e da Arthemisia Group, e curata da Francesca Dini, che ha scelto un taglio in grado di approfondire, attraverso opere capitali, il ruolo della Macchia nel contesto artistico nazionale ed europeo, nonché di ricostruire il collezionismo dell’epoca. I capolavori esposti rappresentano infatti la punta di diamante di ricchissime raccolte di grandi mecenati, come Banti, Carnielo, Bruno, Giussani e altri ancora. Il percorso espositivo è articolato in nove sezioni, ciascuna delle quali intitolata appunto alla collezione di provenienza. Senza andamento cronologico, puntando piuttosto a indagare temi, contenuti, personaggi di questo rivoluzionario movimento, la rassegna propone opere quali Il Ponte Vecchio a Firenze di Telemaco Signorini, fortunosamente recuperato da Borgiotti sul mercato inglese, e non più visto da decenni, Il giubbetto rosso di Zandomeneghi, Marcatura dei cavalli in Maremma e la mai esposta Ciociara (Ritratto di Amalia Nollemberg) di Giovanni Fattori, Place de la Concorde e Campo di neve di Giuseppe De Nittis, accanto al Ritratto di Alaide Banti in giardino di Cristiano Banti. E la mostra parte proprio con la “galleria privata” di questo ricco collezionista che fu anche pittore e che spesso svolse opera di mecenate a favore dei propri compagni di strada, raccogliendo opere dei suoi amici artisti in difficoltà. Non a caso nella preziosa raccolta di Cristiano Banti si potevano ammirare come in poche altre i primi tentativi e gli esordi della Macchia. Ecco dunque che in questa sezione figureranno opere quali Il Mattino (Le monachine) del 1861-1862 di Vincenzo Cabianca, Raccolta del fieno in Maremma (1867-1870) di Giovanni Fattori, I promessi sposi di Silvestro Lega (1869), Ritratto della Marchesa Vettori (1865 ca.) di Giovanni Boldini e il suo Ritratto di Alaide Banti in giardino (1875 ca.). Parte di questa splendida raccolta è andata ad arricchire la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Altro nucleo della rassegna di particolare rilevanza e’ quello incentrato sulla collezione di Edoardo Bruno, un ricco imprenditore torinese che trasformò un’ala della sua dimora rinascimentale alle porte di Firenze in una quadreria costituita da 140 dipinti, tra i quali figuravano Cucitrici di camicie rosse (1863) di Borrani, icona della pittura macchiaiola, Le gramignaie al fiume (1896) di Cannicci e Uliveta a Settignano (1885 ca.) di Telemaco Signorini, rimasto sino a oggi inedito. Il punto di forza della collezione erano, tuttavia, i grandi quadri di Fattori come L’appello dopo la carica (1895), Incontro fatale (1900) e Marcatura dei cavalli in Maremma (1887), opere accomunate da un forte dinamismo. Opere mai viste di Fattori anche nella sezione dedicata alla raccolta del fiorentino Gustavo Sforni, collezionista, intellettuale, pittore e mecenate, vero e proprio cultore dell’opera del padre della Macchia, di cui amò collezionare i piccoli formati, quelle struggenti tavolette dipinte dal vero che accostava alle opere di arte orientale (in mostra un prezioso kakemono del pittore giapponese Maruyama Okyo del 1780 circa) e medievale. Per la prima volta dunque di Giovanni Fattore si potranno ammirare Le vedette del 1863-1865, Cavallo sotto il pergolato del 1875-1880 e Ritratto di donna – La rossa del 1882-1885.