In occasione del bimillenario della morte di Augusto la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, in collaborazione con Electa, ha organizzato un ricco programma di eventi a partire dall’area monumentale del Foro Romano e del Palatino, luoghi legati indissolubilmente alla figura di questo grande imperatore.
La settimana scorsa è stata presentata al pubblico la Villa di Livia, moglie di Augusto, situata a Prima Porta, dopo una serie di interventi di valorizzazione come il riallestimento dell’Antiquarium, il restauro di dipinti, mosaici e paramenti lapidei, e la risistemazione del Lauretum, il famoso giardino noto per il miracolo della gallina fatta cadere da un’aquila tra le braccia della nobile consorte. Il 18 settembre è stato invece aperto il rinnovato Museo Palatino, struttura che custodisce alcune delle più belle testimonianze dell’età augustea, così come sono state reinserite nel percorso archeologico la Casa di Augusto e la Casa di Livia. La visita archeologica delle strutture architettoniche e degli affreschi è possibile solo su prenotazione e per gruppi per tutelarne la conservazione. Le case sono state chiuse svariati anni per restauro delle pitture e interventi conservativi vari. Sarà possibile ammirare per la prima volta anche gli affreschi dei locali interpretati come biblioteche private e sale di ricevimento. Dal 24 settembre sarà invece possibile ammirare l’intervento conservativo della fronte della monumentale natatio delle Terme di Diocleziano, dove sarà riaperta la visita al Chiostro piccolo allestito con la ricostruzione degli Atti degli Arvali e dei Ludi Saeculares, culti rifondati da Augusto. Il 1 ottobre nel Foro romano sarà accessibile l’antico percorso del Vico Iugario, attraverso la Basilica Iulia, che collegava il centro della città al Tevere in corrispondenza dell’isola Tiberina. L’area era stata chiusa negli anni Ottanta in occasione di importanti scavi archeologici. Infine, dal 14 novembre al 2 giugno al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo sarà in programma la mostra “I fasti e i calendari nell’antichità”, in ricordo della riforma del calendario fatta da Giulio Cesare padre adottivo di Augusto.
La conquista del potere assoluto
E’ il 44 a.C. Giulio Cesare viene assassinato con quarantaquattro coltellate. “Che io possa ottenere gli onori e la posizione di mio padre, che rivendico”. Con queste parole Ottaviano scende in campo per vendicare la morte del dittatore, suo prozio e padre adottivo, e per rivendicarne l’eredità di potere. Ottaviano, sebbene abbia solo diciannove anni, colpisce tutti per determinazione e carattere. Ha inizio una lotta per la successione che durerà ben tredici anni.
Il futuro princeps capisce che in questo momento è fondamentale mantenere viva la memoria di Cesare. Nel luglio del 44 decide quindi di celebrare i ludi Victoriae Caesaris, durante i quali sarebbe apparsa in cielo una cometa, il sidus Iulium, segno dell’avvenuta divinizzazione del dittatore. Fa subito mettere una statua di Cesare nel Foro e vi pone sulla testa una stella; ordina che lo stesso sia fatto per tutte le statue del dittatore. Arriva a mettere una stella sul suo stesso elmo. Due anni dopo ufficializza il culto di Cesare. Se Cesare era così diventato un dio della religione romana, Ottaviano, di conseguenza, era passato da semplice Cesari filius (figlio di Cesare) a Divi filius (figlio del dio). Era cioè diventato il figlio di un dio. Questa filiazione divina, che rafforzava il legame tra i due uomini, è propagandata attraverso un vero e proprio linguaggio delle immagini che ritroviamo su sculture, dipinti, architetture, monete e nelle opere dei poeti dell’epoca. Le immagini ovviamente sono quelle legate a Cesare e alla gens Iulia: Enea, Venere, Alessandro Magno. In quanto suo figlio infatti ne condivideva anche gli antenati eroici. Tutto ciò contribuiva a dare un’area di eccezionalità alla sua persona e legalità alle sue pretese. Ottaviano deve allo stesso tempo mostrarsi all’altezza di tale successione, per meriti verso lo Stato e per qualità. A tal fine gli vengono offerte dal Senato e dal popolo alcune statue celebrative: ancora diciannovenne gli viene dedicata una statua dorata equestre, posizionata vicino la tribuna degli oratori e cioè nel punto più simbolico della città. Questo gesto stava a significare che Roma riconosceva nel giovane già un’affermata forza politica. Gli viene inoltre offerta una statua celebrante la vittoria riportata a Nauloco su Sesto Pompeo (36 a.C.). Qui è raffigurato, secondo un modello tardo classico, nudo, con il piede sulla sphera e tenente con le mani lancia e aplustre. La sphera rappresentava l’Ecumene, ossia tutto il mondo abitato. Anche a Cesare, guarda caso, era stata eretta una statua simile in Campidoglio. La statua di Ottaviano voleva quindi indicare come lui si candidasse al potere assoluto che aveva detenuto suo padre, Cesare. Sulla tribuna degli oratori gli viene dedicata una colonna commemorativa munita di rostri, celebrante sempre la vittoria su Pompeo, ma sulla cui sommità è posta una statua che lo rappresenta con indosso non la toga romana, ma la clamide greca come i sovrani ellenistici e come Alessandro Magno. Insomma, nel cuore di Roma gli erano state dedicate tre statue realizzate secondo i modelli usati per i sovrani ellenistici. Modelli, in contrasto con la tradizione romana, che in Oriente miravano a celebrare le virtù divine del sovrano rappresentato. Nel caso di Ottaviano miravano a celebrarne i trionfi in quanto Divi filius e ad annunciarne la candidatura al Principato. Il messaggio trasmesso da queste statue quindi non parlava dello Stato, ma di Ottaviano e delle sue ambizioni di potere. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sfruttamento politico delle immagini. La sua figura da subito viene avvolta da un’aura di predestinazione. Si inizia a credere che avesse poteri sovraumani fin da bambino e che fosse stato predestinato dalle stelle alla salvezza dello Stato, una sorta di signore inviato dal cielo. Il suo segno zodiacale, il Capricorno, diventa uno dei simboli augustei più diffusi e il giorno della sua nascita viene celebrato come festa ufficiale in quanto giorno di prosperità. Ben presto Ottaviano viene considerato il favorito di Apollo, divinità sinonimo di moralità e disciplina: era sotto la sua protezione che aveva combattuto e vinto la battaglia di Filippi, nel 42 a.C., contro i Cesaricidi. Inoltre, la sua famiglia era da sempre legata al dio: il primo tempio dedicato ad Apollo a Roma era stato costruito da un membro della gens Iulia ed era stato lo stesso Cesare a dare nuovo splendore ai ludi Apollinares. Si diceva addirittura che fosse stata una palma miracolosa a decidere la sua adozione da parte di Cesare e che a Livia, poco dopo le nozze con Ottaviano celebrate nel 38 a.C., un giorno un’aquila aveva fatto cadere in grembo una gallina con un ramo d’alloro in bocca. L’allora era una pianta legata ad Apollo. Da questo ramo sarebbe nato l’albero da cui i futuri Cesari coglievano le foglie per le corone celebranti i loro trionfi. Insomma, era tutto perfetto per farsi riconoscere quale preferito del dio. Inizia così ad usare come sigillo l’immagine della sfinge, simbolo del regnum apollinis profetizzato dalla Sibilla, e a indossare sempre più spesso la corona d’alloro. Sul Palatino farà costruire un tempio di Apollo (28 a.C.) comunicante con la sua dimora privata, come se fosse l’ala di rappresentanza della dimora reale. Anche qui il modello è quello ellenistico.
La Res Publica restituita
Il 31 a.C. Ottaviano sconfigge Marco Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio. Il 30 a.C. conquista Alessandria. La vittoria sull’Egitto consegna ad Ottaviano il potere assoluto. Si diffonde la convinzione che l’esito del conflitto sia stato deciso dall’intervento personale di Apollo il Purificatore. Il dio si era in questo modo opposto alla luxuria e al libertinaggio dell’Oriente, alla hybris di Antonio, e si apprestava ora, in qualità di dio della pace e della conciliazione, ad inaugurare una nuova età, l’età dell’oro. Un’epoca celebrata dai poeti dell’epoca e che ha lasciato all’Umanità intere testimonianze che hanno plasmato indelebilmente la cultura occidentale. Un’epoca in cui il potere, a Roma, si trovava finalmente nelle mani di un solo uomo: Ottaviano. La sua vittoria è celebrata nel 29 a.C. tanto in Occidente quanto in Oriente. La sua immagine è esaltata. Il suo nome inserito nel Carmen Saliare. Vengono decretate libagioni in suo onore durante tutti i banchetti. Il Foro, luogo simbolico per eccellenza, diventa il palcoscenico dell’esaltazione non solo della sua persona ma di tutta la famiglia Giulia. Qui consacra il Tempio del Divo Giulio, una tribuna adornata con i rostra delle navi egizie catturate e la nuova Curia; qui gli sono dedicati un arco trionfale e quattro colonne adornate con rostri; qui tutto doveva ricordare il vincitore. Ovunque si spargono i simboli di questa vittoria epocale: delfini, tritoni, Vittoria su globo, Capricorno, rostri, navi. La battaglia di Azio era diventata un episodio mitico fondante il potere imperiale e ne era nato un nuovo linguaggio figurativo. Un linguaggio comprensibile a tutti perché fatto di immagini univoche e di facile lettura. Tutti riconoscono in Ottaviano il salvatore dello Stato ma da lui ora si aspettano di capire come lo voglia ristabilire. Ottaviano da parte sua capisce di dover escogitare una formula che renda la monarchia ben accetta soprattutto alla nobiltà. La possibilità che ridare il potere ai senatori è da escludere. Imposta quindi una politica di collaborazione con la vecchia classe dirigente. Questo nuovo orientamento è chiaro già nel 28 a.C., con la consacrazione del Tempio di Apollo sul Palatino. Nella decorazione del Tempio le immagini esaltano la figura del dio, il vincitore rimane dietro le quinte. Ottaviano è poi protagonista di un gesto considerato un unicum: fa ritirare circa ottanta statue e monumenti equestri d’argento che gli erano stati dedicati in città, e con quei soldi colloca offerte votive nel Tempio. Ma il gesto più clamoroso è la restitutio del 27 a.C., quando, durante una seduta, restituisce ufficialmente lo Stato al Senato e al Popolo. Nelle sue Res Gestae ricorda l’evento scrivendo che “dal quel momento fui il primo per considerazione e influenza, ma non avevo maggiore potere di coloro che erano miei colleghi nelle varie magistrature”. Si mostrava come un primus inter pares. Ma non era così nella realtà dei fatti in quanto manteneva il potere nelle proprie mani, grazie al controllo dell’esercito, a privilegi onorari, cariche vitalizie e alle sue enormi finanze. Insomma attua una soluzione che soddisfa tutti: lui deteneva il potere assoluto, la vecchia aristocrazia aveva invece la possibilità di collaborare con il nuovo regime. Inaugura quindi uno stile più austero ponendo fine alle autocelebrazioni: ora solo gli altri potevano celebrare il sovrano. Il 27 a.C. il Senato gli tributa, ovviamente con la sua approvazione, tre onorificenze: una corona civica e ramoscelli di alloro vengono affissi rispettivamente sopra la porta e sugli stipiti della sua casa, e un clipeus virtutis celebrante le sue qualità viene appeso nella Curia.
La corona civica era di quercia, l’albero caro a Giove e spesso nelle raffigurazioni augustee la troviamo associata all’aquila, animale sacro al dio. Alloro, corona civica, aquila e clipeus virtutis diventeranno simboli del potere monarchico. Gli è infine concesso l’onore di attribuirsi un epiteto. Si dice che inizialmente Ottaviano pensasse di farsi chiamare Romolo ma questo nome era un richiamo troppo esplicito alla monarchia. Sceglie quindi l’epiteto Augustus, dal verbo augere che vuol dire accrescere. D’altronde lui era colui che aveva accresciuto e arricchito l’impero. Fu una scelta geniale perché Augustus voleva anche dire sublime, sacro e in questo modo contribuiva a rivestire la sua persona di un alone di sublimità. La nuova immagine del sovrano portò alla creazione di un nuovo tipo di ritratto, che diventerà quello ufficiale, ispirato ai canoni classici dal momento che le forme classiche erano considerate la forma suprema di raffigurazione umana. In questo modo i canoni classici aiutavano a sublimare Augusto, chiarendone il suo ruolo di supremazia. Tutti ammirando il suo ritratto avrebbero visto qualcosa di bello e senza età, di sublime e sovrannaturale. Tutti avrebbero capito che stavano ammirando Augusto.
L’ultimo giorno della sua vita, chiese uno specchio, si fece sistemare i capelli e, chiamati i suoi amici, chiese loro se avesse ben recitato la commedia della vita:
“Se la commedia è stata di vostro gradimento, applaudite e tutti insieme manifestate la vostra gioia”.
Augusto morì a Nola il 19 agosto del 14 d.C. all’età di quasi settantasei anni. Il suo corpo, una volta giunto a Roma, fu portato a spalla dai senatori fino al Campo Marzio dove venne cremato. Le sue ceneri furono deposte nel Mausoleo dai personaggi più influenti dell’ordine equestre in tunica, senza cintura e a piedi nudi. Era l’estremo saluto al primo grande imperatore di Roma.