Quando François Hollande ha iniziato la sua campagna nessuno avrebbe mai scommesso sulla sua vittoria. Succeduto a Dsk travolto dallo scandalo, si proponeva come uomo normale. Una definizione in fondo populista alla stregua delle altre. Cosa significa infatti essere normale? A partire da quale norma? Decisa da chi? E se normale significa “ comune”, risiamo agli slogan berlusconiani e ai manifesti delle sue campagne del “signor Berlusconi”.
Normale allora anche per riprendere il vecchio slogan inventato da Séguela “ la forza tranquilla” della generazione ’80 che aveva sancito la vittoria di Mitterand, ultimo socialista all’Eliseo.
Ma anche peggiore era lo slogan adottato da Hollande: “il cambiamento è adesso” contro “la France forte” di Sarkozy con lo sfondo marino. Qualcuno conosce un politico che non abbia usato lo slogan del cambiamento? E’ il primo che viene in mente appena si inizia un progetto di comunicazione. Tutti vogliono cambiare, beninteso, senza prendersi troppo sul serio, e soprattutto senza rinunciare a niente.
I disegnatori satirici ironizzavano alludendo al dimagrimento del candidato: “proprio ora che avevo imparato a disegnarlo si è dimagrito e devo ricominciare da capo”. Giornalisti in tv lo incalzavano su questo punto molto politicamente rilevante dal punto di vista mediatico ma molto poco realmente politico: “ non è che visto che lei è dimagrito in realtà non è più se stesso e quindi mente alla nazione?”
La grande novità che ha segnato l’elezione di Hollande, probabilmente, oltre al fatto che si tratta del primo presidente socialista dopo 17 anni, è che tutto il pesante apparato di comunicatori, spin doctor, media, sondaggi e sondaggisti, attenzioni meticolose a verità fino al dettaglio più infimo, siano servite a ben poco. Rimarrà celebre probabilmente il suo ricorso all’anafora durante il confronto tv con Sarkozy seguito da 16 milioni di francesi. Ha ripetuto: “moi président de la République” una ventina di volte una dietro l’altra, al punto che i rapper si sono affrettati a mettere una base afro sotto la frase e lanciare le clip in rete.
Durante quel confronto quattro giornalisti tra i 22 e 29 anni, nella redazione di Owni un sito di informazione, hanno creato il “Véritomètre”. Una sorta di macchina della verità in diretta e su Twitter. Appena uno dei due candidati citava un numero (dal debito pubblico, alle centrali attive in Francia, alle truppe in Afghanistan), la redazione del Véritomètre verificava l’informazione, incrociava le fonti, se aveva dei dubbi chiedeva ad altri utenti, e nel giro di pochi minuti twittava il responso: correct, incorrect, imprécis. 54 tweet, quasi uno ogni tre minuti. Un esperimento eccellente di giornalismo (che peraltro vedeva più esatte le fonti di Hollande) che da noi avrebbe esiti clamorosi, ma molto probabilmente inutile sul piano della vittoria o meno del candidato.
Senza volerlo la spiegazione più plausibile la dà uno dei consiglieri di Sarkozy, Alain Minc che ha ammesso alla Reuters : “ lo abbiamo sottovalutato. O abbiamo sbagliato noi o è cambiato”.
Appunto: non è cambiato in funzione dei media. E’ rimasto semplicemente se stesso, e forse questo era il significato così ambiguo di “normale”. E essere “se stessi” implica per forza un cambiamento. Del resto testimonianza della tenuta di spirito è l’ammissione dello stesso Hollande: “Non sono arrivato né per caso né per ossessione. Sono arrivato perché mi sono messo in questa situazione, e perché me lo sono meritato”.
Ma il vero messaggio – democratico e maturo – è arrivato proprio dai francesi che hanno apprezzato il contrario dell’aggressione verbale e violenta che caratterizza da sempre le campagne elettorali preferendo la trasformazione lenta, la tenuta di spirito, la resistenza agli insulti, oltre che l’ironia di cui Hollande è particolarmente dotato. Tutto questo, sicuramente sul piano della comunicazione politica futura è un dato che deve far riflettere. La capacità di essere se stessi e di uscire dallo spettacolo.
E’ la vittoria del popolo francese. In questo senso va letto anche il messaggio di complimenti dell’ambasciatore americano: “complimenti, per questa ammirevole elezione. La Francia resta un modello per tutti i popoli che aspirano alla democrazia”.
In due turni, in piena crisi economica, a dispetto di valanghe di dati sulle possibili astensioni, l’80 % della popolazione è andata alle urne. Soprattutto a seguito di una campagna su dei temi spinosi e inquinati da battaglie di cifre. Il segnale già c’era stato al momento delle primarie nell’autunno 2011. Si è trattato di un elettorato motivato e impegnato espresso da un panorama mediatico che si sta trasformando, della voglia di politica e della reazione all’arroganza delle politiche di esclusione.
E questa è la vera risposta al concetto di identità come contrapposizione a altre culture che è stato il simbolo della destra. La Francia di Hollande ha risposto con l’identità come apertura.
Ma se le campagne e le sofisticate strategie hanno avuto un peso poco rilevante, al di fuori della comunicazione, il neopresidente della V Repubblica francese deve passare attraverso una serie di sfide reali: superare le fratture che si sono accumulate tra i francesi, dedicarsi alle riforme economiche e sociali, vincere (soprattutto) le prossime legislative per poter avere la maggioranza in parlamento e garantirsi un governo stabile, fronteggiare le speculazioni che sicuramente si affacceranno. Oltre ad avere il compito di non far fallire il progetto, o meglio la “ speranza” socialista che si è riaccesa nell’Europa neoliberista e delle finanze. Di sicuro Hollande non ha diritto all’errore, anche perché in fondo alla strada c’è il successo schiacciante di Marine Le Pen.
La sfida socialista pertanto non è solo francese ma europea, come l’ingresso del partito neo nazista al parlamento europeo ha molto ben mostrato.