No, Francois Hollande non ha fatto tutti quei miracoli. E, se ne avete sentito parlare, se ne avete letto su Facebook o sul blog di Leonardo Coen su Repubblica, sappiate che si tratta di una bufala.
Già, perché da qualche giorno, sul social network creato da Mark Zuckerberg, spopola un testo in cui vengono magnificate le capacità del neo-eletto presidente francese, che in meno di due mesi avrebbe nell’ordine: “abolito il 100% delle auto blu”, mettendole all’asta; “sottratto alla Chiesa sovvenzioni statali per […] 2,3 miliardi di euro che finanziavano licei privati esclusivi”; “varato (con quei soldi) un piano per la costruzione di 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari avviando un piano di rilancio degli investimenti nelle infrastrutture nazionali”; “decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di tutti i parlamentari, e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800 mila euro all’anno”, e con la cifra risparmiata “(circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo garanzia welfare che attribuisce a ‘donne mamme singole’ in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di cinque anni”; e molti altri prodigi.
La notizia, evidentemente, puzza di bufala: non solo perché sui media italiani non si era mai parlato di nessuno di questi provvedimenti (per quanto il giornalismo del nostro Paese possa avere delle falle, sembrava strana una così grande lacuna) , ma soprattutto perché non viene citata alcuna fonte. Il tutto, però, sarebbe rimasto confinato nello scambio di link compiaciuti tra utenti di Facebook poco attenti, se il post non fosse stato ripreso da Leonardo Coen, giornalista di Repubblica, e pubblicato sul suo blog Blog Trotter. Coen è stato subito colto in fallo dagli internauti: non solo per aver praticamente fatto “copia-incolla” di un pezzo non suo, aggiungendo poche considerazioni personali e firmandolo come se l’avesse scritto interamente di proprio pugno; ma anche per non aver controllato minimamente le fonti.
Immediatamente ripresa dal blog Il Disinformatico di Paolo Attivissimo, la vicenda è diventata sempre più clamorosa. Su Wired Italia, Beatrice Mautino ha dimostrato che la maggior parte delle azioni attribuite nel post a Hollande non è – semplicemente – mai stata compiuta (non se ne trova traccia da alcuna parte): e il testo originale (prima di essere diffuso su Facebook) sarebbe frutto dell’ingegno e della fantasia del filosofo della comunicazione e giornalista Sergio Di Cori Modigliani.
Nel frattempo, Coen ha cancellato il post “dello scandalo”, e in un post “di riparazione” ha provato a difendersi sostenendo di aver ricevuto il contenuto del testo copiato e incollato da un amico freelance, via mail. “L’email che ho ricevuto domenica pomeriggio riportava un “pezzo” sulle iniziative del governo Hollande. Le ho lette e le ho ritenute credibili perché riproducevano ciò che già conoscevo, a proposito di lotta ai privilegi, lotta contro gli sprechi e riforme fiscali. Continuo a ritenere che non si tratti di ‘bufala’, ma di un ‘ukase’ politico”. In questo modo, però, Coen ha finito per attirare su di sé, in misura ancora maggiore, gli strali dei commentatori: perché, come si legge sul blog Pazzo per Repubblica, “questa storia non [è] difendibile neppure da chi si professa Pazzo per Repubblica. Ciò che noi contestiamo principalmente a Leonardo è di aver modificato un post in corsa senza avvisare i lettori del blog. Questa è una cosa che non si fa. Non la si fa specialmente in un territorio minato qual è quello della rete, dove ci sono delle regole che vanno rispettate, la cosiddetta Netiquette di cui tanto si parla”.
In sintesi, una bufala diffusa su Facebook è stata ripresa da un giornalista che l’ha scritta sul proprio blog come se non l’avesse copiata; scoperto, quel giornalista ha cancellato il post incriminato, come per cancellare (goffamente) le prove.
Coen ha sostenuto, nella propria arringa difensiva, che “l’unica informazione valida sul web è quella che forniscono i siti dei giornali e delle riviste che possono disporre di strumenti e di redazioni adeguate”. Ma lui ha dato prova dell’esatto opposto. Dimostrando, ancora una volta, che spesso i giornalisti italiani (non tutti) non sono semplicemente in grado di usare Internet.