Presentato “Her” al festival del Cinema di Roma, il film di Spike Jonze (che ricordiamo per “Essere John Malcovic”) è destinato a far parlare e dividere il pubblico. Di sicuro a costituire una referenza indiscutibile della prossima narrazione cinematografica.
In una Los Angeles futura, ma non troppo lontana, dominata dalla tecnologia, Theodore (Joaquim Phoenix) è un uomo divorziato da una donna che fa la scrittrice. Lui, simpatico ma anafettivo al tempo stesso, conduce vita da single condita da sporadiche escursioni romantico sessuali che finiscono a schifio, visto il desiderio ossessivo delle protagoniste di accasarsi.
Theodore sembra riuscire ad attingere al suo patrimonio emozionale solo sul lavoro: scrive per conto di amanti o aspiranti tali, coppie di antica data, nipoti e nonni, contenuti per mail che riproducono artificialmente lettere d’amore o semplici comunicazioni affettive. In altre parole svolge un lavoro antichissimo di scrivano – il computer del quale si serve riproduce lettere scritte a mano – e al tempo stesso di mediatore di sentimenti in un mondo semplificato dalla tecnologia, dove tutto è molto accogliente e costruito per il benessere, ma, come dice il regista Spike Jonze “dove sono tutti più soli”.
In questo sistema di relazioni umane smaterializzate, un Sistema Operativo con voce femminile, entra in contatto con Tehodore dal computer, con l’obiettivo di fargli da organizzatore globale: gestione dell’agenda e degli appuntamenti, smaltimento della mail (“hai 1300 mail, quelle utili sono 83..”), fino alla gestione degli incontri romantici. La voce – proveniente dal cellulare che lui porta sempre con sé, decide di chiamarsi “Samantha” perché suona bene” – evolve presto in una voce con empatia, solidarietà, coinvolgimento, poi sesso e perfino gelosia. In altre parole, il rapporto professionale e tecnologico tra i due diventa amore. Theodore, così, finalmente, entra in contatto con le sue emozioni private ed è capace di esternarle. Samantha, invece, sistema operativo dalle infinite possibilità, aggiunge alle sue competenze un sistema di sinapsi neuronali senza il fardello del corpo. Theodore è sempre con lei, cioè con un’astrazione di donna: nella metro, in treno, in macchina, a casa, a letto, in ufficio. L’unica materializzazione di lei è il piccolo occhio di vetro del cellulare che sporge dalla camicia e l’auricolare nell’orecchio di lui.
“Her” apre allora una serie di obiezioni: la prima è alla norma indiscussa del corpo femminile perfetto e erotizzato che al cinema, come in ogni tipo di rappresentazione, incarni il desiderio maschile. Una sorta di imprescindibile dittatura che ha condizionato e colonizzato per anni il nostro immaginario. Non era così vero che si dovesse ricorrere al corpo sexy di attrice per una commedia romantica. Si può raggiungere il massimo dell’attrazione e dell’erotismo attraverso una serie di assenze. Soprattutto se a non esserci è Scarlett Johansson della quale Spike Jonze ha avuto il coraggio e l’originalità di servirsi solo della voce.
In questo passare continuo dal disumano al troppo umano non solo si capiscono meglio le difficoltà delle relazioni del presente, ma si tratteggiano le relazioni del futuro e si suggerisce che quello che conta è l’essenza dell’amore. Che è un dato molto condivisibile. Ma ciò, può avvenire solo all’interno di alcune regole che appaiono inquietanti e affascinati al tempo stesso: la sola voce è una soluzione possibile all’ingombro del corpo che rinvia continuamente alla questione dell’Altro. Si suggerisce che nel nostro futuro si potrà amare solo in assenza della “storia” dell’altro. E potersi permettere di essere senza storia è una garanzia fornita dalla tecnologie e dalla mediazione che rappresentano.
Non sappiamo infatti Samantha da dove viene, dove vuole andare, non sappiamo che passato abbia avuto e se ha dei progetti. E non possiamo non amarla insieme al protagonista. Poteva anche essere un uomo se Theodore avesse scelto tra le due opzioni fornite dal computer, la voce maschile. Sembrerebbe allora che sia la storia degli individui, il loro karma, cioè la serie di azioni reazioni e progetti, ad essere l’intralcio principale alla realizzazione dei rapporti umani, e il corpo non è che il contenitore.
“Mi sono solo limitato a descrivere quello che vedo intorno a me. Non ho voluto asserire nessuna verità. Anche io continuo a chiedermi molte cose sull’amore e sulle relazioni” ha detto Spike Jonze che ha lavorato sul set con un’attrice che dialogasse con Joaquim Phoenix, per poi aggiungere la voce di Johansson in post produzione.
Di certo “Her” spalanca quesiti ai quali solo lo spettatore può trovare risposte, o forse assieme al regista, può continuare a domandarsi e osservare la verità delle relazioni ai tempi delle tecnologia. Forse se ne possono trarre conclusioni perfino entusiasmanti.