È un manifesto e un’eredità. È uno scritto dolente e acuto che ha la grande capacità di mostrare la luce oltre il buio. È la testimonianza di chi ha visto in prima linea la follia umana dei conflitti e delle guerre, di chi ha vissuto con gli sguardi annichiliti dei superstiti, di chi si è battuto contro la burocrazia e gli interessi delle lobby per tenere in vita almeno la speranza di poter ricominciare in chi ha perso veramente tutto.
Jean-Sélim Kanaan, funzionario Onu di grande esperienza e sensibilità, muore il 19 agosto 2003 quando un camion bomba esplode contro il Canal Hotel di Baghdad. Lo stabile è la sede dell’Onu in Iraq. Restano uccise 23 persone tra funzionari delle Nazioni Unite e cittadini iracheni esperti in cooperazione. Jean-Sélim Kanaan ha 33 anni, lascia la moglie e il figlioletto nato poche settimane prima.
A dieci anni dalla morte, Il Saggiatore ha ripubblicato nella collana tascabili La mia guerra all’indifferenza, con la prefazione della vedova Laura Dolci-Kanaan, funzionaria Onu a Ginevra, e un’introduzione di Adriano Sofri. È una testimonianza fortissima, frutto di un travagliato percorso interiore, capace di mettere a fuoco temi e problematiche relative alla cooperazione internazionale, alla politica diplomatica dell’Onu e ai condizionamenti e alle pressioni esercitati sulle stesse Nazioni unite da alcuni dei Paesi membri. Basti pensare alle direttive di Paul Bremer in Iraq ai tempi dell’amministrazione George W. Bush.
Romano di nascita e di adozione, francese e protestante da parte di madre e per nazionalità, egiziano e copto da parte di padre, Jean-Sélim studia in Italia e all’estero, si laurea e inizia a lavorare in Africa con alcune organizzazioni non governative da cui prende presto le distanze per l’approssimazione con cui vengono portati avanti i progetti. Decide allora di proseguire gli studi e consegue un master ad Harvard. Poi, giovanissimo, entra a far parte dell’Onu.
“Jean-Sélim – racconta Laura Dolci-Kanaan – ha conosciuto la guerra dove anche i civili, la gente comune, sparano contro gli altri, dove ti passano i proiettili a fianco, dove vedi morire persone che conosci. Il dopoguerra non è la stessa cosa. Ci sono situazioni ancora poco stabili, ma è diverso. È un po’ come l’11 settembre: o eri a Ground Zero nel Financial District o nell’Upper West Side. Di sicuro lo choc è stato violento in tutta Manhattan e nel mondo intero, ma quaranta blocchi di distanza equivalgono alla differenza di stare in trincea o fuori”.
Kanaan ha visto la guerra in Somalia e in Bosnia, era a New York l’11 settembre, prima di andare in Iraq. “Jean-Sélim c’era stato dentro, era rimasto traumatizzato, aveva paura e non lo nascondeva – ricorda Laura Dolci-Kanaan -. Aveva una grande rabbia dentro, era la rabbia accumulata per aver visto a Sarajevo una popolazione morire come le mosche per quattro anni in un assedio, anche a causa di un intervento internazionale pasticciato, limitato, che ha messo sullo stesso tavolo di negoziato chi tira il colpo di mortaio e chi lo subisce. Poi finalmente nel 1995 c’è stato l’accordo di Dayton, hanno tirato una riga, sono arrivati cinquantamila soldati della Nato e da lì le cose sono cambiate, come poi sono cambiate nel 1999 quando ci sono stati i bombardamenti e Slobodan Milosevic è stato mandato via”. Ricostruiva Jean-Sélim Kanaan, cercando di porre argini alla follia delle atrocità. Teneva molto al lavoro svolto in collaborazione, ed era convinto che soltanto con il più ampio coinvolgimento si può tentare di gettare nuove basi di intervento e di ripristino di una convivenza civile.
Auspicava per l’Europa un ruolo più nobile e incisivo negli interventi di politica estera soprattutto nelle zone di conflitto.
Nel 1999 Kanaan entra a far parte dell’équipe di Bernard Kouchner per l’intervento Onu di ricostruzione in Kosovo. I rischi che la mafia locale gestisca i lavori facendo lievitare i costi e ritardando la realizzazione delle opere sono molto concreti. Jean-Sélim riunisce gruppi di famiglie e li trasforma in gruppi di lavoro: ognuno di loro diventa responsabile della costruzione delle proprie abitazioni. Il risultato è che in quattro mesi Kanaan finanzia e fa realizzare senza alcuno spreco di fondi circa tremila appartamenti che vengono immediatamente assegnati.
Jean-Sélim sente forte la necessità di dar voce al disagio, anche quello che lo attanaglia quando fa ritorno alla normalità. Una vita quotidiana che scorre lontana dall’orrore, così lontana da non sapere accogliere chi ha visto. A New York, dove viene assegnato subito dopo la missione in Kosovo, sente crescere la rabbia. Alla difficoltà di adeguarsi a una società che sembra ignorare ogni conflitto, si aggiunge il mondo del Palazzo di vetro, quella della burocrazia in grado di impantanare ogni attività, con i funzionari frustrati, più attenti alla propria carriera, ai viaggi e ai ricevimenti che al lavoro. Quel mondo dietro le grandi facciate trasparenti sembra lontano anni luce dalle realtà più drammatiche di cui peraltro si dovrebbe occupare con tempismo, capacità e determinazione. È a questo punto che Jean-Sélim avverte un grosso senso di scollamento che lo porterà a concepire il suo libro, un cahier de doleances, ma anche una lente di osservazione valida ancora oggi per chiunque – pur non essendo un funzionario delle Nazioni unite o un esperto della cooperazione internazionale – voglia imparare a guardare in faccia la realtà animato da una spinta al cambiamento, al miglioramento.
In allegato il link alla cerimonia che si è tenuta il 19 agosto scorso a New York
http://webtv.un.org/search/annual-memorial-service-in-memory-of-the-united-nations-personnel-who-lost-their-lives-in-the-line-of-duty-between-september-2012-and-june-2013/2616762328001?term=memorial
il discorso di Laura Dolci-Kanaan che ha parlato a nome dei familiari di tutte le vittime
e quello del segretario generale Onu, Ban Ki-moon
La mia guerra all’indifferenza
di Jean-Sélim Kanaan
Il Saggiatore collana tascabili
traduzione Chiara Bongiovanni
pagg. 174
prezzo 10 euro
Laura Dolci-Kanaan statement 19 August 2013 memorial
Secretary General ‘s STATEMENT – 2013 Memorial