“Metterci la faccia (da culo)”, “parlare alla pancia” , “votare col culo”, “andare a fare in culo”. Questa è la sintesi delle principali frasi circolate nella comunicazione politica ufficiale e quella dei social network, e nei confusi giorni successivi. Dopo di che il paese si è trovato nell’immobilità. Il peggiore dei cortocircuiti è avvenuto con la comunicazione. È come se due galassie tra loro sconosciute si fossero scontrate una contro l’altra.

Fino al giorno prima delle elezioni, Beppe Grillo il suo blog e le piazze piene, erano stati classificati come “ l’antipolitica”, rimbalzati nei talk show di rito come un fenomeno crescente ma marginale. Si è pensato che il Movimento, convogliando i malumori ma soprattutto molti valori generalmente propri della sinistra, fosse solo un bacino di raccolta di elettorato deluso. Oppure un “voto di protesta”.

I sondaggisti che hanno fatto rilievi a campione su mille persone col telefono fisso, non hanno capito neppure chi fosse il “grillino” tipo. Appunto, un giovane che non guarda la tv, dove ancora si ritiene accada tutto, e certo non ha il telefono fisso. Per cui non sono stati intercettati.

Una delle cose che non sono mai state fatte è stato proprio introdurre seriamente nei dibattiti pubblici i temi proposti da Grillo, se non la eco dell’odio verso la “casta” diventato poi, come al solito, stucchevole argomento di conversazione da parte di stessi appartenenti alla “casta”. Un modo unico per far salire la rabbia.

E non era utile attaccare gli appartenenti alla “casta”, in alcuni casi anche degnissimi professionisti, in un gorgo di accuse reciproche, ma capire come consentire realmente a chi non facesse parte del circuito (o soprattutto non volesse) di accedere agli stessi posti, alle stesse condizioni, abbattendo contestualmente grotteschi privilegi. Questa richiesta non era più un rumore di fondo e non ha mai avuto risposta e anzi la sua forza si diluiva nel dibattito perenne sulla meritocrazia, come quello sulle donne e sui giovani, ma nessuno ha mai operato alcuna forma di apertura. Soprattutto, sempre gli stessi appartenenti alla casta (che spesso sono gli stessi opinionisti che falliscono analisi e previsioni), hanno molte volte dato degli inetti e degli “invidiosi” a chi non ce la faceva, in quella finta Italia liberale, proposta da Berlusconi.

Il meccanismo ora totalmente saltato è di una vertigine senza fine che non accenna ad arrestarsi.

Domenica mattina (9 marzo) in una puntata di Omnibus sulla Sette, Filippo Facci che scrive su Libero ha detto che sul blog di Grillo “ci sono scritte delle indubbie sciocchezze, senza che nessuno entri nel merito. Il che sarebbe possibile, solo che non può proprio dirlo lui dagli house organ del pdl dai quali ha sempre scritto. Ha perfino protestato per la mancanza di democraticità di Grillo, dopo aver difeso Berlusconi e la teoria del complotto dei giudici comunisti per una vita. Ha scritto ai neo eletti grillini: “ora vi decurteranno lo stipendio e vi diranno se potrete andare in televisione (dove non dite mai niente di serio, perché poveretti, non lo sapete) e forse vi diranno anche che cosa mangiare, come vestirvi, a che ora fare le abluzioni”. E non sappiamo più se è un Filippo Facci che ha finalmente scoperto il deputato del Pdl.

Pigi Battista invece diceva che nel blog di Grillo “ c’è molta violenza, ci sono anche frasi antisemite”. Così ecco il commentatore del Corriere della Sera con dieci anni di ritardo, alla scoperta di internet.

Radiopadania, che peraltro riceve finanziamenti pubblici trasmette da anni quotidianamente esternazioni della “Base Padana” con una valanga di frasi violentissime assurde e razziste regolarmente documentate dal blogger Daniele Sensi. Senza che nessuno abbia mai espresso una protesta.

Chi ha diritto a parlare allora? Lo sanno bene anche loro, al punto che l’imbarazzo è tangibile. E a questo Grillo ha già riposto, non trincerandosi nel silenzio, ma parlando ai giornalisti stranieri.

Così diventa un problema di traduzione. E allora emerge che i nostri giornalisti non parlano le lingue e essendo abituati a confrontarsi con le trame di palazzo che hanno generato l’onda anomala (ma era così anomala?) anche nelle sintesi giornalistiche, creano danni.

Così è stata l’intervista di Grillo con la rivista tedesca Focus, in cui è stato interpretato con ipotesi di “governissimo” quello che era chiaramente un paradosso: se fanno tutti come dico, li voterei.

(“Se PD e PDL dicessero: “Legge elettorale subito, via i finanziamenti retroattivi, massimo due legislature e vanno fuori tutti quelli che hanno più di due legislature, così noi appoggiamo qualsiasi governo. Ma non lo faranno mai. Loro bluffano per guadagnare tempo“.)

Così è stata quella sul Time: “If violence doesn’t start here, it’s because of the movement. If we fail, we’re headed for violence in the street”.

La traduzione alla lettera era: “Se non inizia la violenza qui è grazie al movimento. Se falliamo andiamo verso la violenza nelle strade”. E quindi la sintesi del Corriere “Se falliamo noi, violenza nelle strade” sarebbe stata impeccabile ma il senso generale voleva lasciar trapelare una velata minaccia evocata dal comico genovese. E anche Repubblica ha ripreso quel senso lì, e infatti Bersani ha ripreso quel senso lì: “Beppe non deve accendere le micce”.

Ma ha ragione Grillo allora?

L’altro passaggio grottesco è stata l’uscita infelicemente frettolosa della capogruppo grillina Roberta Lombardi sul fascismo e l’accusa fatta a Grillo di aver flirtato con Casa Pound. Una pioggia di indignazione sorprendente è giunta dalla stampa che pure ha vissuto gli orrori di La Russa, le diserzioni di metà delle istituzioni al 25 aprile, dopo aver avuto Alemanno a Roma, i manifesti del duce per le strade e rigurgiti neofascisti dentro e fuori le istituzioni, compresa una deputata che si chiama Mussolini, che è sua nipote, e che difende il nonno ovunque si trovi, con puntate Rai di protesta contro il film Vincere, e la buona memoria del nonno da salvaguardare.

Stefano Cappellini sul Messaggero ha fatto invece un editoriale tenerissimo, da ragazzo di terza media, in cui spiegava che la neoeletta doveva dimettersi per aver scritto quella frase.

Così è stato l’incauto grillino neo deputato e il suo racconto a Ballarò (con davanti a sé un ottimo portatile Mac) sulla questione dei microchip, ripreso e sbeffeggiato ovunque. Ovviamente non esiste un luogo dove si prendono cittadini e si inseriscono microchip come con i cani. Intendeva che le Radio Frequency Identification, diciamo forma evoluta dei codici a barre, è sempre più inserita ovunque dai passaporti, alle carte visa, via via verso forme sofisticate di “costumer care”, che diventano così anche una forma di controllo dei consumi. E forse altro. Cosa che peraltro avviene già attraverso le nostre ricerche su google, i nostri cellulari, e le carte di credito. Un tema complesso, inascoltato dalla politica, mai considerato, interpretato e elaborato da anni da artisti come Marcel lì e Sterlac ad esempio.

Ma che preparazione hanno i giornalisti di Palazzo a cogliere al volo cosa vogliono dire i giovani eletti e la base del movimento se non li hanno capiti finora?

E i neo eletti sono in grado di spiegarsi? Perché se sanno abbastanza di internet, non sanno nulla del vecchio modo di comunicare, con quale però devono pur imparare a fare i conti, non fosse per sbarazzarsene per sempre.

È altrettanto lecito pretendere che i grillini non lancino contro la prima telecamera della Rai abituata a raccogliere il medioevo in onda sulla terra dei temi complessi e delicati come se fosse ovvio che vengano raccolti. Senza neppure saperli spiegare. Per poi insultare e arrabbiarsi come Berlusconi quando non si scrive quello che dice lui. Perché poi è la rete stessa che li sommerge di nuovo: “co’ tutte le canne che me faccio, da mo’ che s’è spento il microchip”, diceva un tweet.

È altrettanto lecito chiedere a Grillo di spiegare meglio quanto fatto emergere dall’inchiesta dell’Espresso, e anche spiegare che se l’informazione e la produzione culturale devono essere gratuite, chi paga chi produce informazione e cultura? Si può chiarire questo punto e se per caso non sia un modo per creare dei nuovi schiavi? Sarebbe bellissimo se si iniziasse a parlare. Chi inizia? Il modo finora è tanto fallimentare quanto straordinariamente affascinante: sta venendo fuori tutto con una nitidezza incredibile.

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