Sono insufficienti le politiche energetiche attivate dall’Italia per ridurre il numero di emissioni in atmosfera. Il sistema green italiano – dai certificati bianchi, alle detrazioni del 55% per chi riqualifica gli edifici esistenti, al fondo rotativo da 600 milioni di euro per l’attuazione del protocollo di Kyoto, ai finanziamenti alle piccole e medie imprese che investono in miglior rendimento energetico, alla cogenerazione, ecc. – non permette di contrarre i consumi energetici e le emissioni, in linea con gli obiettivi nazionali ed europei.
Con queste misure l’Italia produrrà, da qui al 2020 135,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio che diventeranno quasi 140 nel 2030. Troppi! Sforiamo di almeno 10 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2020 e di 20 nel 2030.

Un calcolo da 30 miliardi
Per l’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, basterebbe il 2% del pil mondiale (circa 1.300 miliardi di dollari) per fare diventare ecologicamente sostenibile il pianeta. Proiettando il dato su scala nazionale l’Italia dovrebbe spendere una cifra che oscilla intorno ai 30 miliardi (un po’ più di quanto lo Stato ha incassato di recente dall’Imu) per riuscire a rispettare gli obiettivi nazionali ed europei di efficienza e risparmio energetico. Una spesa elevata che però, per contro, permetterebbe la creazione di circa mezzo milione posti di lavoro.
Lo rivela il primo rapporto Enea, appena pubblicato, sullo stato della green economy in Italia. Il rapporto prende in esame tutte le iniziative mosse sino ad ora verso la sostenibilità ambientale (interventi verso l’efficienza ed il risparmio energetico, dagli edifici alla mobilità, al consumo di suolo al ciclo dei rifiuti) e tira le somme della situazione attuale.
«Abbiamo stimato – spiega Roberto Morabito che ha curato lo studio insieme a Edo Ronchi – che tra il 2010 ed il 2020 il consumo energetico aumenterà di altri 9 milioni di tep e a questi se ne aggiungeranno altri 4 dal 2020 al 2030. In tal modo non riusciremo a raggiungere gli obiettivi nazionali ed europei nonostante negli ultimi anni, anche a causa della crisi economica, i consumi energetici siano rallentati».

L’Europa avanza, l’Italia arranca
Secondo il rapporto Enea, l’Italia è un Paese tradizionalmente caratterizzato da «buoni indici di prestazione energetica in valore assoluto, ma adesso sta perdendo terreno rispetto agli altri principali Paesi europei». In pratica se vent’anni fa le altre potenze europee erano molto più energivore dell’Italia (con un indice di intensità energetica intorno ai 100 Mtep/euro contro i 95 dell’Italia) adesso (dopo una riduzione annua su scala europea dell’1,5% a partire dal 2000) Francia, Germania e Regno Unito hanno migliorato le loro performance, portandole rispettivamente a 95, 92 e 81 Mtep/7euro, mentre l’Italia è ferma a 96.

La Finlandia, il Paese più innovativo
Sul fronte dell’eco-innovazione, nell’Europa a 27, l’Italia è a metà classifica al quindicesimo posto ma precede soltanto gli Stati appena ammessi all’unione. Sarebbe terz’ultima, invece, nella classifica della formazione a 15 davanti solo a Grecia e Portogallo. Primo della classe, sul fronte dell’eco-innovazione, è la Finlandia mentre la nostra vicina, la Spagna, è quinta e precede persino la Germania (7° posto) e la Francia (13°).
«Il posizionamento dell’Italia a metà della classifica sull’eco-innovazione – continua Morabito – indica che l’Italia non va poi così male. Ciò è dovuto anche ad serie di indicatori che hanno dato risultati positivi come la produttività energetica, lo sviluppo del lavoro nelle eco industrie e la crescita esponenziale delle certificazioni di sistemi di gestione ambientale. Il problema non è tanto quello che abbiamo fatto ma quanto quello che ancora va fatto».
Se, da un lato, sono al di sopra della media europea i dati relativi alle certificazioni Iso 14001 (aumentate del 346% dal 2006 ad oggi), per esempio, o gli stanziamenti pubblici (non privati) in Ricerca e sviluppo che con i 300 milioni spesi nell’ultimo anno la collocano al secondo posto soltanto dopo la Germania; molto ancora c’è da fare, sul fronte del consumo di materie da parte delle aziende. Attualmente infatti solo il 7% (contro il 12% della media europea) delle nostre imprese è impegnato in attività che riducono il consumo di materie. Sono pochi anche i brevetti registrati in tecnologie ambientali rispetto alla media europea: l’Italia, nel 2008, ha registrato meno di 500 brevetti. Molto lontani dalla soglia del circa 2mila della Germania.

 

La gestione delle risorse e il fotovoltaico
Anche il dato relativo ai consumi energetici del settore produttivo ci rivela che non siamo un Paese attento alla gestione delle risorse dal momento che solo l8,8% delle aziende italiane (contro il 13,4 di media europea) ha investito per abbattere questi consumi.
«C’è un dato positivo – rilancia Morabito – sul fronte delle energie alternative l’Italia è il primo mercato fotovoltaico al mondo. Tra il 2010 e il 2011 la produzione di questo tipo di rinnovabile è cresciuta di 5 volte e mezzo con un incremento di potenza installata che solo nell’ultimo anno è stato di +9GW. Il problema è che questo boom di produzione non è riuscito a creare una filiera manifatturiera nazionale a supporto di questo mercato. Oggi noi importiamo quasi tutti i materiali per la realizzazione degli impianti eccetto forse che per gli inverter. Questo dipende anche dal fatto, ad esempio, che i produttori di impianti non sono stati incentivati tanto quanto gli utenti finali ossia coloro che quegli impianti li hanno installati».
Anche sul fronte della risorsa idrica l’Italia è un Paese sprecone. Non tanto per consumo pro-capite (circa 200 litri al giorno) quanto per quantità di acqua che si disperde a causa di perdite nella rete di distribuzione: circa un terzo! Per ripristinare il sistema Enea stima che occorrerebbero investimenti per circa 65 miliardi di euro!
Trattiamo male anche i nostri fiumi dal momento che il 19% sono fuori legge perché troppo inquinati e questo nonostante le scadenze impellenti (2015) imposte dall’Unione Europea sulla qualità dei bacini idrici superficiali che potrebbero costarci l’ennesima moratoria in tema ambientale.
C’è ancora molto da fare anche sul fronte del trattamento dei rifiuti dal momento che in Italia è ancora alta la percentuale di quelli che vengono conferiti in discarica: il 49% contro lo 0% di Germania e Paesi Bassi, l’1% di Austria, Belgio e Svezia e il 3% della Danimarca e una media europea (a 27 Stati) del 38%.

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