La schizofrenia politica sull’assistenza agli anziani è da studio psichiatrico: da un lato il Governo propaganda sostegni, dall’altro il governo della Capitale, affidato a Gianni Cicciobello Alemanno, taglia un milione e mezzo di euro dal capitolo dell’assistenza e sceglie di chiudere una casa di riposo tra quelle con il più alto “indice di gradimento”.
L’unica ad avere una lista d’attesa di oltre duecento persone. L’unica ad avere un reparto per il ricovero diurno degli ammalati di Alzheimer. Una delle pochissime dove gli ospiti possono contare su stanze singole con bagno in camera e, allo stesso tempo, su spazi comuni dalla mensa al teatro.
E’ la Casa di riposo degli artisti. Una struttura da quasi 200 posti, senza contare il centro di ricovero, di proprietà dell’Enpals (che ha già stigmatizzato la decisione dell’amministrazione comunale), che pur richiedendo – oggi – diversi interventi di manutenzione, ospita 72 persone amministrate da quattro dipendenti comunali e una settantina di operatori specializzati, inquadrati in cooperative vincitrici di appalto.
La Casa di riposo di via di Casal Boccone, nella zona di Roma Est, secondo i programmi dovrebbe chiudere alla fine dell’anno.
Le origini della scelta
Come si è giunti alla decisione di chiudere proprio questa struttura? L’unica, tra quelle comunali, che sembra godere del massimo apprezzamento. A testimonianza di ciò, in allegato a questo articolo è possibile vedere e ascoltare un “trailer” tratto dal documentario realizzato da Fiorella Di Mambro e Enzo Di Pasquale.
Il meccanismo è l’esempio della stupidità amministrativa: abbiamo un milione e mezzo di euro in meno. Questa casa di riposo è quella che costa di più, dunque se chiudiamo questa abbiamo raggiunto la quadratura del bilancio senza grandi sforzi.
Sono sei mesi che si susseguono manifestazioni di protesta. Fino ad oggi sostanzialmente inascoltate. Il consiglio del quarto Municipio, nella cui giurisdizione rientra la struttura, ha più volte dribblato gli interrogativi e le mozioni dell’opposizione. Nelle ultime settimane Federica Rampini, consigliere del Pd, è diventata di casa (anche se, per lei, non di riposo…) a Casal Boccone e con lei anche uno dei responsabili dell’azienda sanitaria locale territoriale, Luigi Recchiuto, è costantemente impegnato sul tema.
Gli ospiti, dal canto loro, periodicamente respingono gli “assalti” di assistenti sociali inviati dal comune con il compito di convincerli a levare le tende spontaneamente.
Mille euro al mese a chi se ne va
L’amministrazione alemannina ha perfino approvato una delibera che promette mille euro al mese a chi decide di lasciare per tornarsene a casa dai familiari. Forse la somma è frutto di una geniale intuizione dei contabili di Gianni Telodice (ricordate? il personaggio dei quiz della Settimana Enigmistica…) che hanno così pensato di richiamare alla memoria dei non più giovanissimi ospiti la vecchia canzone “se potessi avere mille lire al mese”, naturalmente aggiornata all’euro.
A dire il vero i mille euro sono assicurati soltanto a chi ha un reddito fino a 17.500 euro l’anno. Per chi è più… ricco, l’assegno si riduce proporzionalmente.
La delibera di finanziamento dell’esodo specifica che le risorse economiche necessarie a far fronte alla spesa proverranno dal risparmio realizzato grazie alla chiusura della casa di riposo. Ma allora, facciamo a capirci: se non ci sono i soldi per tenere aperta la casa di riposo, che senso ha risparmiarli da un lato per poi spenderli di nuovo in assegni di assistenza?
Si dirà: la spesa sarà comunque inferiore.
Costi e benefici
E allora vediamola, questa spesa. E vediamo quali sono le incongruenze della scelta.
Il comune paga all’Enpals un milione e 600mila euro l’anno per l’affitto. Potrebbe sembrare un’enormità, ma bisogna considerare alcune cose: anzitutto la struttura potrebbe ospitare concretamente 200 persone. Anche a voler considerare i parametri più rigorosi sul rapporto metriquadri-ospiti imposti da una recente legge regionale del Lazio, la Casa degli artisti potrebbe arrivare tranquillamente a 120 presenze contro le 72 attuali.
Questo significherebbe quasi raddoppiare le rette mensili. La regola per i pagamenti è semplice (e anche in questo caso il meccanismo è esemplare, se paragonato ai costi delle strutture private e più o meno “monacali”): ognuno versa all’amministrazione della casa di riposo il 70 per cento della propria pensione. Di qualunque importo sia. Mediamente, si tratta di somme che oscillano tra i 500 e gli 800 euro a persona al mese che entrano in cassa. Portare gli ospiti a 120 significherebbe quasi raddoppiare gli incassi.
In secondo luogo ci sono i ricoverati al centro diurno di assistenza agli anziani affetti dal morbo di Alzheimer. Attualmente sono 30 persone che già a fine giugno dovrebbero diventare una settantina. Entrano al mattino e vengono ripresi dalle famiglie la sera.
Infine, sempre a proposito delle spese, oltre all’affitto vanno naturalmente considerati i costi di gestione e quelli del personale. I quattro dipendenti comunali ovviamente resteranno con la loro busta paga anche in caso di chiusura, mentre i 70 delle cooperative andrebbero a spasso.
Su questo punto è Luigi Recchiuto a richiamare l’attenzione su un tema che sembra non essere stato preso in alcuna considerazione dall’amministrazione.
Il costo sociale
Quale sarà il prezzo da pagare, in termini di costi sociali, per settanta anziani che vengono rispediti a calci nella “giungla” esterna? Perché, intendiamoci, all’idea che i vecchietti tornino dalle loro famiglia ci possono credere solo Cicciobello e compagni. Se sono lì è perché, evidentemente, le famiglie non avevano posto, o possibilità, di accudirli.
Il regolamento per l’accesso alla casa degli artisti funziona così: bisogna essere autosufficienti per entrare. Ma se, una volta dentro, ci si ammala, non si viene rispediti a casa: il centro di degenza si occupa di loro.
E qui Recchiuto, della Asl territoriale, insiste: chiudere la struttura significa anche chiudere il centro Alzheimer. Si ha un’idea dei costi da sostenere se le 60 persone che a fine giugno beneficeranno di questo servizio dovranno tornare nei circuiti ordinari? Basti pensare che l’assistenza domiciliare, che è dovuta in questi casi, per 2 ore al giorno (più di tanto il Comune non passa) costa più di quanto costi restare tutto il giorno nel reparto specializzato di questa casa di riposo.
Il rapporto con l’Enpals
L’ente di previdenza dei lavoratori dello spettacolo non si è mostrato, in questi anni, un padrone di casa attento alla manutenzione straordinaria (quella che spetta ai proprietari). L’edificio che ospita la casa di riposo è un po’ malandato, soprattutto negli esterni. Eppure, riscuotendo un affitto di oltre 130mila euro al mese qualche preoccupazione in più avrebbe anche potuto prendersela. Forse per farsi perdonare, però, in vista dello sfratto i vertici dell’Enpals non solo si sono mostrati indignati per la scelta del comune, ma hanno anche proposto di ridurre l’affitto e di occuparsi di qualche lavoro di ripristino.
Ma il segnale di apertura dell’ente è rimasto, fino ad ora, senza risposta.
Come non bastasse, nonostante la scadenza del contratto sia fissata al 31 dicembre 2011, fino a questo momento non è arrivata alcuna disdetta da parte dell’amministrazione comunale.
In pratica il comune sta andando pericolosamente incontro al pagamento di una penale se dovesse lasciare l’immobile senza aver dato tempestivamente disdetta. Per la serie: dobbiamo risparmiare…
I sospetti
La disponibilità dell’Enpals ad avviare una trattativa con l’amministrazione alemannina ha anche fugato i sospetti di “accordo” tra le due parti che pure erano stati inizialmente avanzati da malevole voci di corridoio. “Una volta libero e rimesso a nuovo, questo edificio si trasforma in un grande affare – si era sussurrato – visto che in tutta la zona circostante sta crescendo l’edilizia residenziale”.
Ma l’affare l’ente di previdenza non vuole farlo, o non ha i soldi per farlo (nel senso che non ha i fondi necessari alla ristrutturazione e dunque preferisce la casa di riposo in affitto al rischio di un palazzo vuoto immediatamente occupato da abusivi).
Sta di fatto che i sospetti sono infondati.
I criteri dell’amministrazione
Ma allora, se nemmeno ricorrendo a ipotesi di interessi inconfessabili si spiega la decisione di chiudere la casa di riposo, quali sono i criteri che hanno guidato l’amministrazione?
Purtroppo, in mancanza di spiegazioni ufficiali alternative, l’incapacità di valutazione resta l’unico criterio valido.
Per risparmiare il milione e mezzo di euro sottratto al capitolo dell’assistenza nessuno impedisce al comune di chiudere un paio di strutture più piccole, che non vantano lo stesso gradimento di quella di Casal Boccone, e convogliare personale e, soprattutto, ospiti, nella casa di riposo degli artisti (che, come abbiamo visto, messa “a regime” può ospitare almeno 120 persone).
Ma una scelta del genere avrebbe richiesto un minimo di impegno nell’analisi e nella valutazione.
Sarebbe come se una famiglia, dovendo far quadrare i conti e visto che la spesa maggiore è, ad esempio, l’alimentazione, decidesse di non mangiare più.
Questa anomalia nei criteri è stata colta anche dal Dipartimento che si occupa dell’assistenza. Almeno a sentire i funzionari che, in occasione degli incontri con chi è impegnato a contrastare la… strategia comunale, hanno precisato più volte che la decisione è tutta dell’assessorato e la delibera che ha stabilito la chiusura è approdata direttamente in consiglio senza passare per la giunta.
Prospettive
C’è chi ancora crede che, in un modo o nell’altro, alla fine la chiusura non ci sarà. Intanto però i settanta ospiti della casa di riposo di Casal Boccone non sono tranquilli. Gianni Alemanno in una cosa è riuscito benissimo: a spaventare i vecchietti.