L’Unione Nazionale delle Camere Civili, in merito all’avvenuta conversione in legge del DL 12 settembre 2014 n.132, contenente “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”, ribadisce il proprio “giudizio favorevole sull’impianto generale del provvedimento, frutto di un ripetuto e positivo confronto del Ministro della Giustizia con Uncc, Cnf, Oua ed Anm”.
I civilisti sottolineano che però, anche con le modifiche apportate in sede di conversione, “permangono rilevanti criticità”. In primo luogo, sottolinea il presidente dell’Uncc Renzo Menoni, la possibilità di trasferimento in sede arbitrale di procedimenti già pendenti innanzi all’autorità giudiziaria, prevista dall’art. 1, “viene, nei fatti, pressoché completamente vanificata dalla mancanza di incentivi fiscali, pur ripetutamente richiesti dall’Unione Camere Civili e peraltro promessi dal Ministro della Giustizia, anche all’Assemblea Nazionale dell’Uncc di Padova”.
Alle parti che hanno già sostenuto per intero le rilevanti spese del giudizio avanti all’autorità giudiziaria ordinaria, “non può essere richiesto – spiega Menoni – di sobbarcarsi anche gli ulteriori costi dell’arbitrato, senza almeno concedere, come contropartita, sgravi di natura fiscale. Si aggiunga che la scelta degli arbitri non è ancora totalmente rimessa alle parti, ma soffre vincoli tali che possono difficilmente indurre le parti stesse al passaggio ad una procedura arbitrale. Se si voleva realmente far decollare tale istituto, la norma avrebbe dovuto essere più chiara e coraggiosa”.
E ancora, per quanto riguarda i procedimenti di conciliazione assistita “non sono previsti incentivi fiscali e ciò crea altresì un’ingiustificata disparità di trattamento con i procedimenti di mediazione, per i quali tali incentivi sono stati invece previsti”.
“Assoluta contrarietà manifesta poi l’Avvocatura civilistica per il contenuto dell’art. 12, il quale prevede che i coniugi – fa notare il leader dell’Uncc – possano concludere avanti al Sindaco, quale ufficiale dello Stato Civile, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, un accordo di separazione personale, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Si tratta di diritti personalissimi per i quali la legislazione previgente prevedeva non solo la necessità del giudice e l’assistenza obbligatoria degli avvocati, ma anche l’intervento del pubblico ministero, a conferma dell’assoluta rilevanza di tali diritti.
Ora le parti vengono letteralmente abbandonate a se stesse, avanti ad un organo amministrativo (il Sindaco) che non ha alcuna competenza in materia né, peraltro, ha o può esercitare potere alcuno. Ne deriva che vi è il serio e rilevante rischio che i coniugi possano concludere accordi pregiudizievoli, soprattutto per la parte più debole, sia economicamente che psicologicamente (e spesso anche meno informata)”.
Mentre il precedente art. 6 prevede una forma di degiurisdizionalizzazione “attenuata”, in quanto i coniugi raggiungono un accordo di convenzione assistita dai rispettivi difensori e poi l’accordo deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, per un controllo di legittimità, “nel caso di specie – aggiunge Menoni – vi è un abbandono completo delle parti a loro stesse da parte della giurisdizione.
E’ quindi assolutamente necessario – conclude la nota – un immediato intervento correttivo sul punto, parendo la disposizione in esame anche di dubbia legittimità costituzionale. Altre minori criticità sono contenute nel provvedimento, criticità però, queste ultime, che potranno essere successivamente facilmente corrette”.