C’è chi li chiama “i senza futuro”, chi “sans papier” ossia senza diritti. Il significato di tutte le espressioni è sempre uno: i giovani in Italia non trovano lavoro e se lo trovano è precario e mal pagato.
Lo dicono anche i dati Istat riferiti al 2010 pubblicati qualche giorno fa: la generazione 20-35 anni sta diminuendo come numero e come redditi. In questa fascia d’età i redditi medi da lavoro sono infatti molto più bassi rispetto a 10 o 20 anni fa. I giovani italiani, insomma guadagnano di meno e avranno pensioni bassissime.
In questo panorama non fanno eccezione gli avvocati, un tempo sinonimo di categoria ricca e prestigiosa, oggi invece troppo numerosi, a volte bistrattati dall’opinione pubblica, divisi all’interno, molto presenti in Parlamento ma forse poco incisivi al momento di legiferare se la riforma dell’ordinamento forense, nonostante sia attesa da 70 anni, stenta a vedere la luce.
Abbiamo raccolto alcune testimonianze che di fatto ci danno un quadro della situazione serio: può permettersi di diventare avvocato e di mantenere lo status solo chi è benestante, chi ha una famiglia in grado di mantenerlo fino a 30-35 anni.
Chi non ha uno studio avviato alle spalle (amici, parenti e conoscenti in grado di offrire un aiuto) stenta invece a mantenersi, con il risultato che, come si sente spesso, la professione si tramanda di padre in figlio con buona pace di quell’ascensore sociale che un paese democratico ed evoluto dovrebbe avere.
Cosa prevede la legge attuale
Per diventare avvocato bisogna sostenere un periodo di due anni di praticantato post laurea, indispensabile per sostenere l’esame di stato e quindi l’iscrizione all’albo. Il compenso per le prestazioni del praticante è a discrezione dello studio: in caso di sfruttamento i titolari dello stesso possono incorrere solo in sanzioni disciplinari. I giovani avvocati dopo il primo anno di pratica possono chiedere l’abilitazione e patrocinare cause purchè rientrino in un determinato valore economico. Ogni anno si registrano 10 mila praticanti e 13 mila neoavvocati.
Sei un praticante? Vali meno di un precario
Praticanti avvocati, storie di sacrifici e di ghettizzazione. Anche in questo caso o si è “fortunati”, magari grazie a qualche conoscenza e si riesce a trovare un praticantato con un minimo di retribuzione, oppure si sgobba dalla mattina alla sera con un rimborso spese (biglietto dell’autobus). «Legge non ti tutela, nessuno ti tutela se sei un praticante avvocato, vali meno di un precario del call center», dice Giuseppe, 31 anni praticante avvocato a Torre Annunziata, che due anni fa mi litigò con il suo dominus. «Avrei voluto trovare un sostegno – spiega Giuseppe – mi sono rivolto a tutti ma non ho trovato sostegno, la risposta era sempre quella, la legge per voi non prevede tutele». Come è andata a finire? «Alla fine il dominus mi ha perdonato e mi ha riaccolto…» Adesso, in attesa di passare l’agognato esame, Giuseppe si ritiene fortunato «perché ho trovato (grazie alle conoscenze, ndr) chi ha iniziato a pagarmi e non mi carica di lavoro». I primi tempi da praticante Giuseppe li ha passati con un rimborso di 10-20 euro a settimana; ad ottobre 2010 “la svolta”: lo studio lo paga cento euro a settimana ma deve svolgere anche mansioni di segreteria. Ora “guadagna” cento euro a settimana facendo solo l’avvocato, cifra che cerca di arrotondare grazie alle cause che riesce a trovarsi da solo. Vive ancora a casa con i suoi: «Me ne andrei ma non ho altre possibilità».
Ad Alessandro, 33 anni, lavora a Varese, basterebbero 500 euro al mese per vivere tranquillo, ma non vede l’ora di superare l’esame da professionista per uscire dal limbo. «Il titolo ti libera dalle catene – dice – anche se io sono fortunato perché ho libertà d’azione e non devo lasciare una percentuale allo studio», anche se non ha altri introiti al di fuori delle cause che riesce a trovarsi da solo. Nel frattempo Alessandro ha anche fatto il corso di mediatore, nella speranza di riuscire a lavorare un po’ di più. Per quanto riguarda le rappresentanze istituzionali o sindacali della categoria, Alessandro non si sente molto tutelato: «siamo semplicemente l’ultima ruota del carro, morto un praticante ce ne sarà sempre un altro subito dopo! Siamo i nuovi schiavi…»
C’è per fortuna anche qualche voce fuori dal coro, qualche caso che fa ben sperare e qualche “buona pratica” da segnalare.
Paola, 25 anni praticante a Torino è felicissima della sua situazione: «non faccio la segretaria, ho un rimborso spese di 400 euro al mese, ho un orario di otto ore e un buon rapporto col dominus. So di colleghi che devono andare a comprare il pane, in farmacia o a prendere i figli a scuola per il dominus, io per fortuna non ho mai fatto niente di tutto questo, non mi sono mai dovuta trattenere in studio fino alle dieci di sera. Le mie esigenze vengono rispettate: sto frequentando un corso e il mio dominus è stato il primo a sostenere la scelta». Paola è una neolaureata fuori sede, condivide l’appartamento e vive con 400 euro al mese: «vengo dalla provincia, dove ho sentito parlare malissimo della pratica con casi di sfruttamento, quindi ho preferito evitare e trasferirmi a Torino». Nessuna conoscenza in ambito forense, nessuna “raccomandazione”, il percorso di Paola è stato più semplice di quanto possa sembrare: «L’Ordine degli avvocati di Torino si è organizzato con un librone dove vengono raccolti tutti i curriculum di tutti i neo laureati. Non occorre farsi raccomandare, io ho lasciato il mio curriculum, sono stata contattata da vari studi, ho fatto diversi colloqui e poi ho deciso». Colloqui durante i quali Paola ha risposto alle domande più strane, come: «Hai avvocati in famiglia? Sei fidanzata? Convivi? Pensi di sposarti? Quando pensi di fare un figlio?» e simili.
Vivere con 1200 euro
La situazione, purtroppo (ma non lo diciamo ai giovani praticanti) non migliora una volta superato l’esame. Chi non ha lo studio di papà (zio o nonno o chi per lui) fatica comunque a tirare avanti.
Primo step, aprirsi la partita Iva, altrimenti l’Ordine non ti iscrive, quindi fatturare e dimostrare di lavorare altrimenti vieni cancellato. Per evitare, si dice, che rimanga iscritto all’albo chi non esercita più. Forse però, bisognerebbe stare più attenti agli ottantenni che ancora esercitano e tolgono spazio ai più giovani, come ci spiega Luca, 30 anni, avvocato a Milano. «Attualmente collaboro con un avvocato, perché non ho un pacchetto di clienti mio, un’attività che mi permetta di mantenermi» e trovarsi i clienti non è facile perché, spiega, «ci sono diversi avvocati che esercitano nonostante abbiano raggiunto l’età della pensione, proprio oggi ho incontrato in tribunale due avvocati di oltre 80 anni! Questi avvocati prendono la pensione ma, nonostante tutto esercitano andando di fatto ad impedire un ricambio generazionale che crei nuove opportunità di lavoro».
La cosa più difficile è, oltre ovviamente a quella di mantenersi, anche mantenere la professione: «Ho la partita Iva come contribuente minimo, quindi fatturo meno di 30 mila euro annue e le spese da affrontare sono tutt’altro che irrilevanti». Luca vive con uno stipendio medio di 1200 euro netti al mese dai quali vanno tolti: iscrizione all’ordine, alla Cassa forense, telefono cellulare, linea fax, polizza RC professionale, una polizza infortuni che non è obbligatoria ma quanto mai necessaria per un libero professionista. Ci sono poi i costi per l’aggiornamento professionale: «che non sono pochi, si va dall’aggiornamento dei codici, ai corsi da sostenere per la formazione continua. L’Ordine professionale è distante da queste problematiche, basti vedere i corsi di aggiornamento e formazione che spesso hanno costi esorbitanti, difficilmente sostenibili per noi». Per inciso, Luca è contrario alle specializzazioni così come pensate dal Cnf perché prevedono altri corsi piuttosto costosi (vedi in merito articolo di Golem di aprile).
Ecco perché Luca è assolutamente contrario alla riforma forense in discussione alla Camera: «Mira a costringere avvocati come me ad eliminarsi, vista l’impossibilità di competere in un mercato veramente libero». Per inciso, Luca è contrario anche alle specializzazioni così come pensate dal Cnf perché prevedono altri corsi piuttosto costosi (vedi in merito articolo di Golem di aprile): «Gli esami addirittura dovrebbero essere svolti pure presso la sede del Consiglio nazionale Forense a Roma, con l’aggiunta quindi, oltre ai costi dei corsi, delle spese di trasferta».
«Tutto questo – ha concluso Luca – non può che ledere avvocati giovani che, di fatto, lavorano e guadagnano come impiegati, con la difficoltà, di riflesso, a prendere periodi d’assenza dallo studio per studiare, seguire corsi, sostenere esami».
Rimanendo in tema di specializzazioni, anche Maurizio, 35 anni, avvocato a Foggia, pensa agli ulteriori aggravi economici, senza contare che scelte di indirizzo e simili cambiamenti «andrebbero programmati fin dalla fase universitaria e non a percorso lavorativo intrapreso».
«Inserirsi in un contesto lavorativo, come quello della professione di Avvocato – ha detto Maurizio – senza avere le “spalle coperte” trova la sua difficoltà nel momento in cui ti accorgi che ogni prospettiva di guadagno dipende esclusivamente da quello che riesci a conquistare da solo o “per grazia” del tuo dominus ospitante. Certamente ogni libera professione ha questo rischio ma è altresì vero che per chi è da sempre dentro uno studio, in qualità di figlio e/o nipote, la difficoltà la trova nello scontato passaggio di testimone, quelle facilitazioni che, per i non noti, si trasformano in un difficoltoso muro d’abbattere più che da scavalcare». Maurizio ha avuto anche una difficoltà in più: «a marzo del 2009 fui privato -per un obsoleta norma- del patrocinio (validità sei anni dalla maturazione conseguita e scadenza in coincidenza con il mese d’iscrizione al Registro praticanti avvocati). La cosa che mi fece rabbia fu il fatto di non essere stato realmente compreso, nelle motivazioni di opposizione, circa i tempi, visto che il patrocinio era stato acquisito a settembre dell’anno 2003 e non a marzo (anno d’iscrizione), con conseguente perdita del famoso periodo di sei anni. Per fortuna quell’anno superai scritto e orale dell’esame».
Se sei donna e pure separata, la questione si complica. Nadia, 34 anni, avvocato a Firenze: «sono separata con una bambina piccola e un marito che non sempre si ricorda di pagare gli alimenti. Non ho uno studio mio, lavoro con la partita Iva e spesso le spese superano i guadagni; non riesco a stare al passo con gli incontri previsti per la formazione permanente, se non ci fossero i miei non so come farei a sopravvivere». Nadia ha lanciato un appello all’Ordine: «Perché non prevedere forme di tutela come corsi e aggiornamenti gratuiti per chi non ha un guadagno serio?»
Quali riforme
Forse in Parlamento dovrebbero farsi un giro tra i giovani avvocati: basterebbe alzare il telefono e chiedere.
Praticanti o giovani avvocati sono tutti abbastanza concordi nel dire che è inutile mettere uno sbarramento al termine del cammino, mentre invece bisognerebbe pensare a delineare e diversificare la formazione dall’inizio. Reinserire il tre più due, dove i due anni di specializzazione siano ad esempio finalizzati alla formazione di future professioni come avvocati notai o magistrati. E ancora, tutti concordano nel dire che dall’inizio non solo dovrebbe essere diversificata la professione tra chi svolge penale, chi civile e chi amministrativo, ma soprattutto dividere chi vuole veramente fare l’avvocato da chi invece magari propende più per una carriera nel settore assicurativo, oppure pensa di lavorare in banca o addirittura all’agenzia delle entrate. In poche parole, evitare che giurisprudenza sia il rifugium peccatorum di chi non sa ancora bene cosa vuole dalla vita e si ritrova “avvocato per sbaglio”.
Per Maurizio, di Foggia, non bisognerebbe illudere gli studenti di giurisprudenza e la permanenza nell’Albo non dovrebbe essere legata obbligatoriamente alla fatturazione minima, «comprensibile a rigor di logica ma inaccettabile se rapportata ad un obbligo e alle reali difficoltà di avviare una professione come questa, specie partendo da zero e in un periodo storico, oltretutto, in cui “pagare l’Avvocato” è davvero l’ultimo dei problemi dei nostri clienti».