29 gennaio 2014: si è celebrato il giorno della memoria a San Marco dei Cavoti, con la partecipazione di docenti, studenti, cittadini, al Palacrok, in una intensa mattinata piena di arte, cultura, emozione, brama di sapere, curiosità storiche e domande, grazie alle Municipalità di San Marco dei Cavoti e Molinara; le scuole, in particolare il Liceo Classico “Rosario Livatino” e I.C. San Marco dei Cavoti.
Per tutto questo e per la splendida riuscita della manifestazione, dobbiamo ringraziare Francesco COCCA e Giuseppe ADDABBO, sindaci, rispettivamente, di San Marco dei Cavoti e Molinara, la professoressa Maria Gaetana IANZITO dell’I.I.S. di San Bartolomeo in Galdo e il dott. Antonio COSTANTINI dell’I.C. di San Marco dei Cavoti, e tutti coloro che hanno dato impulso e ispirato il programma, come l’On. Roberto COSTANZO, e collaborato con loro, professori, personale amministrativo, coordinatori e innanzitutto la prof.ssa Rosanna TREMONTE e il prof. Domenico COSTANZO del Liceo Classico “Livatino”; ma soprattutto dobbiamo ringraziare tutta la cittadinanza e gli studenti per l’attenzione e la sensibilità civica ed emotiva con cui hanno dato significato e valore alla giornata.
Essa si è svolta in due tempi: una prima parte che accendeva i riflettori e faceva luce nel buio, con riferimento a quella che può essere definita una delle più feroci e assurde tragedie dell’Umanità, la shoah, prendendo spunto dalla drammatizzazione di una storia vera: la fuga rocambolesca e il ritorno in Patria dai lager tedeschi, di Oscar Pronat, un partigiano brindisino dalle mille vite.
Oscar, da bambino fuggiva sempre da scuola, e ritornava a casa, prendendosi rimproveri e reprimende da genitori e insegnanti; per lui era un gioco, non sapeva, allora, che stava addestrandosi per fuggire da ben più aspre e orribili realtà. Quando alla fine, riesce a sfuggire anche alle torture e alla morte che lo attendevano, come ben vedeva dallo stato in cui erano ridotti i prigionieri ebrei, che erano con lui, nell’aprile del ’45, nei luoghi di sterminio e di vergogna, in Germania, e i trattamenti che erano ad essi riservati, e a ritornare da sua madre, può dirle “vedi mamma, sono fuggito un’altra volta”; ma questa volta lo attendono ben altro che rimproveri, ci sono esplosioni di gioia e di felicità.
Tutto questo è stato messo in scena, nel lavoro teatrale “ITALIANO PRIGIONIERO SONO” dalla Compagnia Teatrale Brindisina MERIDIANI PERDUTI, in co-produzione con Residenza Teatrale Memoria Migrante – Coop. Thalassia, con grande suggestione, capacità di comunicazione e di attrazione (questo è il TEATRO) e, anche qui bisogna ringraziare tutti i componenti la Compagnia e complimentarsi con loro per quello che hanno saputo fare ed è ben raro vedere in giro, anche nei Teatri più quotati, al giorno d’oggi: riuscire, con le parole, i gesti, le musiche, il canto e l’armonia del lavoro svolto, a strappare fremiti e lacrime ai presenti per come sono stati portati per mano ad entrare dentro i fatti che venivano rappresentati, e lì si sono trovati, prima con l’angoscia e poi con la gioia, nella liberazione della commozione
Grazie, dunque, ai tecnici Paolo Mongelli e Piero Gioia, all’autore Emiliano Poddi e agli attori e musicisti Daniele Bove e Daniele Guarini e, in modo particolare, a Sara BEVILACQUA, una impareggiabile Oscar, che, alla fine, era così dentro il personaggio che ha pianto con lui, abbracciando idealmente il pubblico che applaudiva insistentemente, rumorosamente, in piedi, composto in massima parte dai ragazzi, gli studenti, che hanno così dato mostra di aver ben compreso tutto, pur essendo i fatti molto distanti da loro, nel tempo e nella collocazione spaziale, così come Oscar piangeva abbracciando sua madre.
La seconda parte della giornata riguardava la presentazione del mio libro “Nola, cronaca dall’eccidio”.
Si è già detto tanto dei fatti che in questo libro vengono narrati, in vari ambiti, che non voglio ancora una volta, qui, in questo contesto e in questa occasione, ripercorrere linee, tracce, sentieri che toccano sì l’anima e la mente, ma hanno il nocciolo della loro essenza nello svilupparsi liberamente e secondo ritmi imponderabili, che sfuggono a predeterminazioni e progetti, come tutte le storie vere e drammatiche, probabilmente, altrimenti conterrebbero in sé, qualcosa che sa di imposizione e pesantezza e questo non può essere; non è assolutamente bello e accettabile.
Mi limiterò semplicemente a dire che anche qui parliamo di una storia vera, conclusasi, ahimé in modo tragico.
L’evento o, meglio, gli eventi di cui narro in “Nola, cronaca dall’eccidio”, sono gravi, insopportabili per coloro che più da vicino ne sono rimasti coinvolti, ed anche per la società più allargata, l’umanità in genere; insieme ad altri episodi di una guerra particolarmente devastante, anche nei confronti delle popolazioni civili, di veri e propri crimini di guerra, nefandezze e violenze di ogni genere che, soprattutto nell’arco di tempo che va dal settembre ’43 alla primavera del ’45, sono stati numerosissimi, disseminati lungo la penisola italiana ed anche al di fuori di essa. Tuttavia l’olocausto degli ebrei, al confronto, è stato qualcosa di irraggiungibile nella sua aberrazione fenomenica. Non bastano filosofi, storici, sociologi, psicologi qui, per spiegare quello che accadde. Siamo di fronte ad un Antares dell’allineamento dei pianeti dell’Uomo Carnefice di altri uomini.
Desidero ancora dire che “Italiano Prigioniero Sono” e “Nola, cronaca dall’eccidio” ben si coniugano nel celebrare questa giornata commemorativa, perché il nocciolo, il messaggio di fondo è NON DIMENTICARE e questo scrivere, narrare, rappresentare è uno dei modi, forse il più importante e fruibile oggi, soprattutto se si pensa alla palude di indifferenza e di oblio con cui bisogna confrontarsi, per realizzare tale obiettivo.
Queste due storie, come tante altre analoghe storie, molte scritte e rappresentate, alcune, ancora oggi, tramandate solo oralmente, ma, per la maggior parte, semplicemente tralasciate o dimenticate, sono il VEICOLO della MEMORIA.
Concludo col ricordo più bello:
alla fine delle relazioni delle Autorità e delle persone di Studi e di Cultura presenti, durante la quali ho avuto l’onore e il privilegio di vedermi rivolte parole di grande vicinanza ed affetto dal Sindaco Cocca e dal Dott. Costantini, e di grande apprezzamento per il mio lavoro e le mie ricerche, dalla Prof.ssa Ianzito, un fiore all’occhiello, un prezioso valore in più per me, ho riassunto un po’ il contenuto del libro, rivolgendomi con una domanda tutt’altro che retorica, ai presenti: “Mi hanno chiesto ‘ da dove vengo, di dove sono’. Ora io sono nato a San Marco dei Cavoti, mio padre e mia madre erano Torinesi, ho vissuto per tutta la mia fanciullezza, adolescenza e gioventù a Maddaloni, presso la mia famiglia adottiva, sono poi stato per alcuni anni a Napoli e, da circa 40 anni vivo a Milano. Allora, chiedo io a voi: DI DOVE SONO IO?”
C’è stato un attimo di perplessità, di silenzio teso, poi, come una sola voce, quelli che erano accanto a me, il pubblico, i giovani presenti “ DI SAN MARCO!” hanno risposto.
Allora, superata la commozione, che cosa posso dire? Parafrasando il partigiano Oscar, posso dire anch’io, figlio di Alberto Pesce, ucciso a 30 anni dai Tedeschi a Nola, l’11 settembre del ’43 e di Nina Agnona, la cui morte, a 26 anni, si abbraccia indissolubilmente alla mia nascita a San Marco dei Cavoti, il 28 marzo del ‘44: “Vedete? Sono tornato un’altra volta.”