La sentenza della prima sezione penale della Cassazione mette un punto fermo , allo stato, sulla questione relativa alla responsabilità risarcitoria di uno Stato estero per crimini commessi da appartenenti alle forze armate di quello Stato, o di forze con esse collaboranti, nel territorio dello Stato italiano.
La decisione (leggibile integralmente nei documenti correlati) modifica la sentenza della Corte d’appello militare,la quale, per episodi avvenuti nell’immediato dopoguerra, aveva ritenuto la Repubblica Federale di Germania civilmente responsabile di quegli atti, con le conseguenze risarcitorie del caso.
Si era rifatta, quella Corte, a precedenti decisioni delle Sezioni Unite civili della Cassazione, alla Convenzione di Vienna del 1969, a quella di New York del 2004, agli Accordi italo-tedeschi del 1961, argomentando che nel contrasto tra norme internazionali che impongono la tutela dei diritti umani e quelle che prevedono la immunità degli Stati dalla giurisdizione civile la prassi internazionale si era orientata per la esclusione di quella immunità nei casi di grave violazione dei diritti umani, ancorandosi in tal modo alla dichiarata esistenza di un a norma consuetudinaria di diritto internazionale, e così ritenendo civilmente responsabile la Repubblica Federale di Germania per le azioni compiute da forze armate tedesche in violazione delle leggi ed usi di guerra.
Contro tale decisione il governo tedesco ha proposto ricorso in Cassazione con vari motivi tra cui quello basato su una decisone, in proposito, della Corte Internazionale di Giustizia sopravvenuta il 3 febbraio di questo anno, nella quale si afferma che nessuna norma internazionale limita la immunità di uno Stato nelle situazioni di cui al processo; neppure si possono trovare norme di questo genere nelle varie legislazioni e nelle decisioni giurisprudenziali nazionali: quindi, deduce la Corte dell’Aja, la prassi internazionale, richiamata dai giudici italiani, è esattamente contraria a quanto da loro affermato.
Le Sezioni Unite penali con motivazione approfondita e magistralmente argomentata del Consigliere dott.ssa Siotto si adeguano a quella decisone internazionale , pur con qualche perplessità, dando atto sia della indiscutibile autorevolezza della fonte, sia del rilievo per il quale nessuna altra Corte nazionale condivide l’indirizzo dei giudici italiani, finalizzato alla difesa di principi di civiltà giuridica: così, la Cassazione non può fare altro che ammettere il sostanziale isolamento della giustizia italiana la quale non trova condivisione da parte della comunità internazionale che vede nella Corte dell’Aja il più alto momento di sintesi giurisdizionale . Quei giudici si augurano che i principi giuridici sostenuti dalla giurisprudenza italiana possano in futuro trovare accoglimento: ma ad oggi non possono che adeguarsi alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia annullando la sentenza della Corte d’Appello militare così creando in Italia un precedente da cui non potrà discostarsi un giudice che in futuro si trovi a dovere decidere sulla stessa materia.
Resta però una considerazione: prima di riferirsi alla Convenzione di Vienna del 1969 o a quella di New York del 2004, o agli Accordi Italia/Germania del 1991 e via dicendo, i nostri giudici avrebbero potuto ricercare – essendo, appunto, giudici – la giurisprudenza internazionale in materia, così “scoprendo” che la interpretazione italiana non solo era minoritaria, ma era del tutto isolata; comportandosi così come fa un qualunque giudice nel momento in cui verifica che la sua ipotesi applicativa di una norma è come la voce del clamans in deserto: quella ipotesi, per quanto suggestiva possa essere, la abbandona; quanto meno per economia di giudizio.
Cassazione, sezione prima penale, sentenza 32139 del 9 agosto 2012