A distanza di un anno, il futuro dell’Europa economica passa ancora per Karlsruhe, dove risiede la Corte Costituzionale tedesca. L’estate scorsa a finire sul banco degli imputati era stato l’ESM, comunemente conosciuto come fondo salva-Stati, approvato dal Consiglio europeo di fine giugno e acclarato come legittimo da parte della Germania solo in settembre.
Il processo attuale ha tuttavia una risonanza notevolmente maggiore, essendo direttamente coinvolta nientemeno che la Banca Centrale Europea. Le questioni poste da questa vicenda sono molte ed implicano aspetti che vanno ben oltre l’operato di Draghi: non è chiaro, ad esempio, come sia possibile che una Corte di un singolo paese disponga del potere di limitare, o addirittura rigettare completamente, un’operazione approvata all’interno di un organismo internazionale.
Nel merito, le accuse che vengono rivolte agli eurocrati di Francoforte riguardano le OMT (Outright Monetary Transactions) approvate lo scorso anno, nel bel mezzo della tempesta speculativa che minacciava di disintegrare la moneta unica.
Queste operazioni consentono alla BCE di acquistare sul mercato secondario titoli di Stato appartenenti a Paesi in forte sofferenza. Si tratta, in poche parole, di uno strumento per trasformare titoli “tossici”, che non hanno più mercato, in liquidità illimitata da immettere attraverso il sistema bancario.
La misura, considerata “al limite” per quanto concerne le attività previste dal mandato della BCE, ha ottenuto quasi immediatamente l’effetto desiderato: la sola approvazione, infatti, ha calmato nel breve termine gli appetiti e le paure degli operatori finanziari, contribuendo ad abbassare in maniera sostanziale lo spread dei paesi a rischio default, tra cui l’Italia.
Occorre sottolineare che, di fatto, lo strumento non è mai stato utilizzato, nel senso che la BCE non ha effettuato nessuna operazione di questo tipo.
I principali interpreti della lotta contro le OMT e del nuovo ruolo della BCE sono alcuni economisti, tra cui spicca il governatore della Bundesbank, la banca centrale tedesca. Weidmann ritiene, come espresso davanti alla corte, che questo strumento non sia in linea con i trattati per via della clausola di non salvataggio, e quindi incostituzionali.
In buona sostanza si accusa il sistema Europa di dare ossigeno ai paesi in crisi, ponendo in essere un forte disincentivo a promuovere le riforme in grado di risanare il bilancio ed esponendo la Germania ad un rischio costante e crescente di dover intervenire direttamente. Secondo le stime degli economisti vicini al governatore, ad oggi i contribuenti tedeschi rischierebbero di bruciare oltre 1.300 miliardi nel caso in cui alcuni paesi dovessero fallire, arrivando ad ipotizzare 3.000 se anche la Francia dovesse scivolare.
A sostegno di Mario Draghi sono arrivate le dichiarazioni in primis del cancelliere Angela Merkel, che nonostante le polemiche degli ultimi anni sul rigore di bilancio, dimostra di rappresentare la sponda europeista tedesca. A rappresentare la difesa in aula è un altro tedesco, Asmussen, membro del consiglio direttivo della BCE, che bolla semplicemente come falsità le tesi del suo ex collega di università Weidmann.
Altri contributi di un certo peso sono giunti dal potente ministro dell’Economia Schaeuble e dal presidente del Fondo Monetario Internazione, Christine Lagarde: “Quando un giorno verrà scritta la storia della nostra epoca gli storici, gli esperti, la gente valuteranno l’operato delle Banche centrali, e in primo luogo l’operato della Bce, come passo decisivo per superare la crisi”, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano Sueddeutsche Zeitung.
La vicenda, che a prima vista può sembrare una faida tra potenti intellettuali a capo di istituzioni chiave, ha dei risvolti piuttosto pratici, specie in vista delle prossime elezioni federali che si terranno a settembre, proprio quando è attesa la sentenza. A cavalcare l’onda di questa diatriba sono gli euroscettici, non solo tedeschi ma di tutta Europa, che sfruttano l’emergente nazionalismo per ottenere consensi.
Tiene banco, in tal senso, la discussione sugli effetti dell’Euro e sulla sua gestione, che in pratica scontenta tutti: gli Stati meridionali rivendicano il calo dei salari e la crescita esponenziale della disoccupazione, mentre al nord si punta sulla paura di dover pagare per le colpe di governi incompetenti.
Che la moneta unica abbia avuto effetti controversi sulle differenti economie è innegabile, tuttavia il salvataggio di alcune economie e l’operato attuale della BCE sembrano essere più le conseguenze che le cause della recessione in corso. Se la rabbia dei cittadini degli Stati periferici risulta comprensibile, quella dei tedeschi lo è un po’ di meno, visto che la Germania ha beneficiato di una sorta di sconto sul rifinanziamento del proprio debito.
La sicurezza garantita dai Bund rispetto agli altri tioli europei ha portato i tassi ai minimi storici, facendo risparmiare circa 80 miliardi in interessi passivi negli anni a venire, nonostante anche il governo Merkel abbia fatto ampio ricorso al deficit negli anni della crisi.
Ad ogni modo, lo scontro non si riduce dunque al solo merito della questione, ovvero le OMT, di cui peraltro la grande maggioranza della popolazione comunitaria è all’oscuro, trattandosi di tecnicismi economici. Il vero nodo riguarda la direzione che i singoli governi intendono intraprendere, sulla base delle prossime tornate elettorali: anche i più convinti europeisti devono giustificare notevoli malfunzionamenti e ritardi, mostrando il fianco agli esponenti delle correnti più nazionaliste.
Fuori dai confini tedeschi, inoltre, aumenta il malcontento verso un paese che si arroga il diritto di decidere per tutti se un’operazione messa in atto da un organismo sovranazionale sia legittima o meno.
Volendo mettere in discussione il rispetto del mandato della BCE, infatti, sarebbe opportuno che ad occuparsene fossero organismi comunitari, come ad esempio la Corte di Giustizia Europea.
Alla luce di questa vicenda, figlia in fondo di una lotta intestina, essendo la Bundesbank parte integrante della BCE, emerge ancora una volta con vigore la necessità di una ridefinizione chiara mandato della Banca, che alcuni vorrebbero più simile alla FED americana.
Le divergenze espresse di fronte ai giudici di Karlsruhe allontanano di fatto questa prospettiva: gli accusatori, infatti, chiedendo la limitazione delle OMT dimostrano di non avere alcuna intenzione di discutere il tema. Il loro punto di vista rimane ancorato alle convinzioni ferree dell’economia tedesca, per cui la politica monetaria non influisce affatto sull’andamento del Pil, quindi l’unico obiettivo deve essere il mantenimento dell’inflazione al tasso prefissato.
Draghi, pur rimanendo nei rigidi paletti del mandato, ha disteso il più possibile la sua interpretazione in favore di una politica espansiva volta a sostenere le economie, attraverso tassi estremamente bassi. Resta da vedere se, superata la tempesta, ci sarà ancora in Europa la voglia di trovare l’ennesimo compromesso.