Sabato 3 maggio 2014 verrà ricordato come un altro giorno di ordinaria follia all’ italiana. Tutto è iniziato fuori dallo stadio, in attesa che le squadre scendessero in campo: un gruppo di tifosi del Napoli è stato aggredito da alcuni ultras romanisti che, pur non coinvolti nella partita che si sarebbe giocata da lì a poco, erano ansiosi di pareggiare i conti con gli storici rivali.

La partita in questione è la finale di Coppa Italia, giocata sabato all’Olimpico fra il Napoli e la Fiorentina A differenza dei soliti scontri fra tifosi, a cui ci siamo ahimè abituati, questa volta la baruffa si è trasformata in tragedia quando, a detta degli inquirenti, Daniele De Santis, capo della tifoseria romanista ed esponente della destra neonazista della Capitale, ha estratto una pistola e ha iniziato a sparare sugli ultras del Napoli. Tre supporter del Napoli sono rimasti feriti nella sparatoria. Uno dei loro, Ciro Esposito, versa ora in condizioni disperate. Un episodio senza precedenti perché mai prima d’ora erano state utilizzate vere e proprie armi da fuoco negli scontri allo stadio.

Meno tragico, ma altrettanto folle, quanto accaduto dentro lo stadio, a pochi minuti dal fischio di inizio della partita: lancio di fumogeni in campo, ultras del Napoli in rivolta per il ferimento dei loro compagni e partita in stand-by. A quel punto è accaduto ciò che tutti hanno visto in diretta tv: il capitano de Napoli Hmasik, scortato dagli agenti della Digos, è andato a parlare con la tifoseria sotto la curva partenopea mentre, da sopra alla cancellata, si ergeva (“dalla cintola in su” avrebbe detto Dante Alighieri) il leader degli ultras napoletani Gennaro De Tommaso che, con gesti plateali e l’aria da “leader maximo”, ha dato l’ok all’inizio della partita. Tutto bene se non fosse che Genny ‘a carogna, questo il soprannome affibbiato dagli ultras a De Tommaso, mentre decideva le sorti dell’ordine pubblico nella Capitale, indossava una maglietta inneggiante alla libertà di Speziale, il giovane condannato per l’omicidio del commissario di polizia Raciti avvenuto in occasione di un’altra partita di calcio, nel 2007.

Mentre ‘a Carogna affermava la sua leadership e lo stadio intero fischiava l’inno nazionale, in tribuna assistevano impotenti e frastornati i vertici dello sport nazionale e due delle massime cariche dello Stato: il Primo ministro Matteo Renzi e il Presidente del Senato Piero Grasso. Se qualcuno nutriva dei dubbi sull’utilità della politica e della nostra classe dirigente non si sarà certo ricreduto dopo le immagini viste sabato. A pochi giorni di distanza dai fatti tutti, dal ministro Alfano al prefetto di Roma, negano che ci sia stata una qualsiasi trattativa con la tifoseria azzurra ma nel frattempo, non si sa bene perché, la questura di Roma ha emesso un Daspo nei confronti di Gennaro De Tommaso che gli impedirà di entrare negli stadi per i prossimi 5 anni. Le immagini viste in mondovisione però parlano chiaro e lo stesso giudice sportivo ha emesso un provvedimento in cui si afferma che Hamsik si è recato sotto la curva sollecitato dalle autorità.

Compromessi buoni e compromessi marci
Il problema, tuttavia, non è la trattativa in sé, anche se realizzata con un personaggio non proprio immacolato come Genny a ‘Carogna. In un libro del 2011, “Sporchi compromessi”, il filosofo israeliano Avishai Margalit ha spiegato chiaramente la distinzione fra “compromessi marci”, come ad esempio il Patto di Monaco stretto dalle potenze europee con Hitler nel ‘38 (che portò alla II guerra mondiale), e “compromessi accettabili”, ovvero quei compromessi che, pur sacrificando qualcosa di non essenziale, garantiscono il bene comune e soprattutto la pace che è un bene che può essere giustificabile anche senza essere conseguito giustamente. La trattativa e il compromesso, attuato senza umiliare nessuno e per raggiungere buoni risultati, sono caratteristiche della mente liberale che si contrappone alla “mente settaria” la quale vive le dinamiche sociali e politiche come uno scontro manicheo e, ossessionata dalla purezza, non concede possibilità di riscatto a chi sbaglia. Nel caso in questione la trattativa con gli ultras, se fatta per evitare spargimenti di sangue, è stata certamente opportuna anche se è stato necessario parlare con un capo ultras pseudo-camorrista. Proprio dal 2007, anno dell’uccisione del commissario Raciti, mentre il Parlamento varava una serie di norme finalmente stringenti contro il tifo violento, le forze dell’ordine hanno adottato la strategia del dialogo con le frange più estreme delle tifoserie per evitare il ripetersi di altre tragedie. Il problema della trattativa in diretta con Genny ‘a Carogna sta dunque nella pubblicità con cui questa si è svolta e non nel fatto che ci sia stato un dialogo fra le autorità e gli ultras in un ottica di prevenzione. Probabilmente, come ogni trattativa che si rispetti, andava fatta in maniera diversa, riservata, magari negli spogliatoi e in ogni caso lontano dalle telecamere. Quello che stupisce è che né Renzi, né Grasso, né qualcuno all’interno dei loro rispettivi staff, si sia accorto del disastro di immagine che si stava realizzando. A pochi giorni di distanza dall’articolo del quotidiano inglese The Guardian, che descriveva il Napoli come un club roccaforte della camorra, va in scena la legittimazione in diretta mondiale del capoultras camorrista del Napoli che dà il permesso di giocare ai calciatori, alle società e alle istituzioni. Peggio di così non si poteva fare.

Le colpe del mondo del calcio
Disastro mediatico a parte, Renzi ha ragione però nel richiamare le società di calcio alle proprie responsabilità. In Italia il calcio ha sempre suscitato “forti emozioni” e, fin dai primi del Novecento , le partite più sentite hanno registrato scontri fra le tifoserie opposte. Solo a partire dagli anni Settanta, con l’avvento dell’estremismo politico che ben presto si è fuso con alcune tifoserie, la violenza negli stadi è diventato un fenomeno endemico. Gli impianti sportivi si sono trasformati, gradualmente, in veri e propri campi di battaglia. L’apice di questa escalation della violenza si è avuto nei primi anni 2000 fino al 2007 quando a Catania, in uno scontro fuori dallo stadio rimase ucciso il commissario di polizia Filippo Raciti. L’episodio rappresenta uno spartiacque nell’atteggiamento dello Stato nei confronti del tifo violento: se fino ad allora poco o nulla si era fatto per porre veramente un argine al fenomeno, dopo la morte di Raciti le istituzioni iniziarono a fare sul serio e vararono quelle norme, in vigore ancora oggi per quasi tutte le categorie calcistiche, come la chiusura, anche preventiva, delle curve, le trasferte vietate ai tifosi più pericolosi e l’arcinoto Daspo. I dati del Viminale indicano che questa nuova strategia, fatta di provvedimenti disciplinari duri e dialogo preventivo con le curve, ha portato i suoi frutti: dai 1.123 feriti, durante le partite di tutte le serie calcistiche della stagione 2004/2005, si è passati ai circa 30 feriti del 2012. Se le istituzioni hanno preso sul serio il problema e negli ultimi anni hanno raggiunto dei risultati concreti nella lotta al tifo violento, non si può dire lo stesso dei club e delle società che, complice la stessa Lega calcio, non hanno mai fatto niente per spezzare il legame perverso con il tifo violento. Troppo spesso le società si sono piegate ai diktat degli ultras, come nel caso del derby romano annullato a causa di una notizia falsa qualche anno fa (lo stesso De Santis autore della sparatoria di Napoli Fiorentina fece sospendere la partita dopo aver parlato con Totti), oppure si sono fatte scudo dei tifosi per opporsi ai provvedimenti delle autorità (come la partita farsa fra Nocerina e Salerno).
Dopo gli episodi di sabato scorso a Roma le società non possono più accampare scuse per sottrarsi alle proprie responsabilità: è venuto il momento di affrontare il problema con determinazione, cosa che fino ad ora non hanno avuto il coraggio o la voglia di fare. Inutile ormai nascondersi dietro a un dito sostenendo che gli ultras non sono violenti e i vari De Santis o a’Carogna sono solo delle eccezioni perchè nelle loro relazioni annuali al Parlamento ( http://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/category/relazione-annuale.html ) , i servizi di intelligence dell’A.i.s.i. hanno ripetutamente evidenziato gli stretti legami degli ultras sia con formazioni politiche estremiste (soprattutto di destra) sia con la criminalità organizzata. Se le società non rompono subito i propri legami con questi gruppi ogni forma di prevenzione o di repressione non sarà mai sufficiente a fermare del tutto il fenomeno della violenza negli stadi. Se ancora una volta ciò non dovesse avvenire vuol dire che sarà necessario sospendere, almeno per un anno, i campionati di calcio. A mali estremi…

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