Ci sono popoli che abitano sulle coste e affrontano il mare, altri che preferiscono volgergli le spalle. Con 7.458 chilometri costieri, l’Italia, che pure vanta tradizioni marinare dalle Repubbliche in poi, appare oggi moderna con i suoi nuovi porti efficienti e all’avanguardia, ma al tempo stesso un Paese che stenta ancora a scrollarsi di dosso un’atavica mentalità contadina di chi col mare è costretto a fare i conti, ma ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Le 400 basi nautiche.
Inoltre, a interessi diversi che spesso non corrispondono a un’unica visione generale e condivisa di sviluppo nel corso degli anni si sono innestate speculazioni e operazioni a dir poco discutibili anche sul piano ambientale. Sono centinaia i progetti per la realizzazione di nuovi porti turistici presentati in ogni regione in attesa di essere approvati o completati, numerosi quelli realizzati in passato che non hanno tenuto debitamente conto delle correnti marine determinando un’erosione delle spiagge limitrofe (com’è accaduto al porto di San Felice al Circeo, in provincia di Latina) o addirittura non hanno previsto l’impossibilità di attracco in presenza di venti come il maestrale (Nettuno), o il rischio di insabbiamento (Nettuno, Ostia, Anzio, per restare nel Lazio). A questi casi più eclatanti vanno aggiunte le miriadi di interventi privati che per pochi posti barca hanno deturpato il litorale con la benedizione delle amministrazioni locali (San Felice al Circeo in provincia di Latina è solo uno degli esempi). Tutto ciò ha determinato un andamento a due velocità: una rapida con sguardo e interessi internazionali, e un’altra lenta, paludata negli interessi localistici e incapace di guardare al di là della stagione in corso. Un mondo ancestrale quest’ultimo, ancora così diffuso da rappresentare un vero e proprio freno allo sviluppo, un’ancora insabbiata capace di far aumentare il gap anziché ridurlo come accade invece normalmente ai Paesi in via di sviluppo.
La vocazione tradita.
Eppure il turismo nautico per un Paese come l’Italia che domina il Mediterraneo avrebbe dovuto rappresentare una vocazione naturale, più che un ripiego o un settore percepito quasi d’élite. Invece, le società di charter – come denuncia l’Isyba (Italian ship & yacht brokers association), l’associazione italiana mediatori marittimi – sono in sofferenza per una vera e propria concorrenza sleale che devono sostenere nei confronti di operatori stranieri che non si attengono alle regole ed evadono l’Iva e del mercato nero in forte espansione. Il giro di affari del sommerso nel 2010 è stato di 165 milioni di euro e in previsione quest’anno triplicherà. «È soprattutto al Sud che il fenomeno è radicato – racconta Massimo Revelli, presidente dell’Isyba -. Sono tantissimi che praticano la finta locazione: affittano l’imbarcazione al cliente che, senza saperlo, diventa anche responsabile in caso di danni o incidenti, al quale chiedono di dire in caso di controllo che a bordo sono tutti amici e parenti. Ma quanti amici e parenti hanno questi pseudoimprenditori che ospitano costantemente sulle loro barche e sfilano continuamente sotto gli sguardi ignari della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza? È così che il Fisco non ci è amico e alimenta la crescita di un mercato impari».
I nuovi porti.
Sono circa 200 i porti italiani a cui vanno ad aggiungersi i punti di ormeggio e i circoli nautici che fanno salire a 400 le basi nautiche capaci di ospitare nell’insieme 153 mila posti barca. Una realtà in fermento. «Si sta lavorando per la realizzazione di altri cento porti turistici – illustra Roberto Perocchio, presidente dell’Assomarinas, l’Associazione italiana porti turistici che raggruppa 84 strutture per un numero complessivo di 15 mila posti barca –. I rafforzamenti riguardano principalmente la Toscana, la Sicilia e la Puglia con i porti di Pisa, Siracusa e Manfredonia, ma anche la darsena del Lido di Venezia, senza dimenticare le strutture in fase di completamento come l’Arechi a Salerno o quelle appena inaugurate a Marina di Stabia nel Napoletano con 1.200 posti e a Ragusa con 600. Ci sono circa 50 mila nuovi posti barca in via di realizzazione. Le cose funzionano perché si lavora in modo diverso. Trent’anni fa i porti nascevano con carenze dovute a ostacoli burocratici; dal 1997 in poi – da quando è stata istituita la Conferenza dei servizi – si è arrivati all’obbligo da parte di tutti gli interessati di approvare progetti completi e dettagliati, strutturati nei minimi dettagli. In questi quattordici anni ne sono stati costruiti venti, molto moderni ed efficienti. Casi di danni, come erosione delle coste, e difficoltà di approdo in presenza di venti sfavorevoli non si verificano più. Oggi i progettisti dispongono di sofisticate tecniche di simulazione in grado di superare questi problemi. Ogni porto è ormai concepito nella sua specificità dettata dal territorio in cui lo si va a realizzare. Certo, restano dei limiti come per esempio l’insabbiamento dell’imboccatura che non sempre può essere evitato e allora bisogna intervenire con il dragaggio, un’operazione che trova sovente ostacoli burocratici rallentando la funzionalità».
I costi dell’ormeggio, professionisti e stagionali.
Dalla costruzione alla gestione, la realtà si parcellizza fino a restituire l’immagine di un’Italia più affarista che imprenditoriale, spesso improvvisata, capace di proporre ancora scene alla “noio volevam savuar”. Eppure da Totò, Peppino e… la malafemmina sono trascorsi più di cinquant’anni.
«Realizzare un posto barca, riparato e ben servito – spiega Roberto Perocchio – costa dai 100 ai 200 mila euro. Una barca di dieci metri con quattro persone a bordo paga 50/60 euro al giorno. Ci sono clienti stanziali e di transito, e le tariffe possono subire delle variazioni. Per quanto riguarda i nostri associati parliamo di cifre applicate che non superano quelle di un camper in un’area attrezzata. Certo, esiste anche una situazione di precarietà, soprattutto al Sud, basato su piccole concessioni all’interno di porti o tra comunità di pescherecci. Qui si possono trovare degli operatori che per ammortizzare una licenza di 4/6 anni sfruttano il mese di alta stagione arrivando a chiedere anche 200 euro a notte per un’imbarcazione di 15 metri. Come si può avviare a questa disparità? L’unica risposta è la competitività, la concorrenza: se ci saranno più punti di ormeggio lungo la stessa costa si elimina il monopolio e il problema della tariffa speculativa andrà a ridursi drasticamente».
Crisi del settore e prospettive.
Anche i porti turistici stanno attraversando un periodo economicamente difficile. «La situazione è pesante – riprende Perocchio, presidente dell’Assomarinas –. Al calo del 26% registrato nella nautica lo scorso anno se ne sta configurando un altro per il 2011 pari al 10/15%. Sono diminuiti i costi di manutenzione, gli acquisti di accessori. La fascia media della nautica italiana è costituita dal piccolo imprenditore, dal negoziante; parliamo di categorie che stanno risentendo della crisi e quindi assistiamo a fenomeni come imbarcazioni lasciate a terra, leasing che non si riescono più a pagare oppure trasferimento delle barche in Croazia o in Francia dove il regime fiscale è meno oneroso. Lo scenario che sto descrivendo non riguarda solo noi, l’escursionismo nautico mondiale è calato con una riduzione del 50% delle percorrenze delle imbarcazioni sebbene il consumo di carburante non possa essere considerato come una spesa onerosa. Se consideriamo 50/60 ore stagionali di navigazione a motore vediamo subito che i costi non sono affatto proibitivi. In Italia si registra una tendenza al risparmio e un aumento dell’orario lavorativo, quindi meno tempo libero e meno liquidità. Si prevede comunque un andamento del genere per altri due anni poi le cose miglioreranno perché la vacanza in barca resta quella considerata più sportiva, più completa e più affascinante».
Il viaggio della speranza. Istruzioni per l’uso.
Se il Cristo di Carlo Levi si è fermato a Eboli, quello dei diportisti, superate non poche difficoltà, è giunto a Maratea. Il divario Nord-Sud, anche sul fronte dei porti turistici, si mantiene ampio e non sempre i lavori di ammodernamento hanno migliorato le condizioni dei naviganti. «A Nettuno, sulla costa laziale meridionale – spiega il comandante Federico Di Vittorio – i problemi sono aumentati con le modifiche: prima c’era un grande avamporto, adesso per l’approdo bisogna affrontare un percorso a S con curve di 90° e se il vento è sfavorevole il rischio di finire contro gli scogli è concreto. Anche alle Rive di Traiano, a Civitavecchia, quando soffia il vento di Ponente è difficile approdare. Con venti e correnti da Sud il porto di Ostia si insabbia ed è difficile entrare. Ad Anzio c’è un canale obbligato che spesso si insabbia e costringe perfino gli aliscafi a rallentare solo quando sono giunti in porto per evitare di scendere troppo sotto il livello dell’acqua e restare bloccati. Ritengo che ci siano degli errori di progettazione, ma vige pure l’interesse di ottenere il maggior numero possibile di posti barca, a volte anche a discapito della funzionalità. Una politica miope che alla lunga non paga perché durante le vacanze se un turista sa che può trovare delle difficoltà preferisce non correre rischi e si dirige altrove».
Quando Agnelli rimase al largo di Capri.
A fronte di tariffe molto variabili al Sud non corrispondono servizi adeguati. Ecco un breve e per nulla esaustivo vademecum. Innanzitutto la conoscenza delle lingue, o meglio l’ignoranza. L’escamotage mimico resta il modello in auge nella maggior parte delle basi nautiche meridionali dove inglese, francese e spagnolo sono soltanto sedimenti che affiorano dai vari dialetti. Colonnina per l’acqua e l’energia elettrica rispondono più a un concetto condominiale che del singolo natante. Gli scarichi dei pozzetti e delle acque grigie non sempre possono essere effettuati perché mancano le strutture. «Perfino per la raccolta differenziata – spiega Daniela D’Onghia, responsabile della Puck Yacths & Charter – ci siamo trovati spesso in difficoltà. Se sull’imbarcazione che noleggiamo non si effettua la divisione dei rifiuti, andiamo in contro a una sanzione pecuniaria che può raggiungere anche i tremila euro. Ebbene, molto spesso, giunti in porto troviamo un unico tipo di cassonetto che vanifica la differenziata». Un aspetto dolente, questo, che viene confermato anche da Assomarinas con il 10% di associati che non ha ancora attivato un piano per lo smaltimento dei rifiuti. Se la pompa di servizio può talvolta essere annoverata tra gli optional (a Cetraro, per esempio, possono rifornirsi solo gli aliscafi), i meccanici e i negozi di ricambio sono un miraggio. Se si guasta il motore fuoribordo neanche a Maratea sono attrezzati: occorre procurarsi un’auto e percorrere un centinaio di chilometri per provvedere. Bar, ristoranti, boutique e farmacia dovrebbero popolare di norma in ogni area d’attracco, assieme a un servizio di bus e taxi che colleghi l’approdo alla cittadina più vicina, ma così non è. Dalla cittadina lucana fino a Milazzo, circa quattrocento chilometri di costa nel cuore del Mediterraneo, sono pochissimi i porti efficienti e a misura del turista nautico. Tra questi figurano Nicotera e il gigantesco approdo commerciale di Vibo Valentia. Infine, il dilemma del posto. In alcune strutture è possibile prenotare anche online. I tempi ovviamente cambiano a seconda della meta. A Maratea, si può trovare un ormeggio anche lì per lì, ma se c’è la disponibilità occorre approdare entro e non oltre le 15, altrimenti avanti un altro. A Marina di Capri consigliano di effettuarla con tre mesi di anticipo, in realtà ne occorrono anche dodici. Lo verificò pure Giovanni Agnelli con il suo Adagio, un veliero di 22 metri, quando alla fine degli anni Ottanta si vide negare l’approdo per mancanza di posto. Un affronto che portò l’avvocato ad allontanarsi dall’isola azzurra e con lui Confindustria che per il Forum annuale scelse Cernobbio. A Capri intanto si è allungata la fila.
(II. Fine. La prima puntata è stata pubblicata il 5 agosto)