Sofie Peeters studentessa di cinema fiamminga, si è trasferita da Louvain (città delle Fiandre) nel quartiere popolare di Annessens, a Bruxelles. Da allora ha notato che ogni volta che camminava per strada subiva tentativi di approccio di ogni genere.
Come la studentessa ha detto in diverse interviste se n’è fatta innanzitutto una colpa:
“ma sono io vestita in modo particolarmente provocante e qualcosa del mio atteggiamento tradisce una disponibilità eccessiva?”
Una volta accertato che non era colpa sua, si è armata di telecamera nascosta e ha così registrato il comportamento di uomini in strada quando vedono una ragazza passare: dal complimento più o meno colorito, all’invito insistente, all’insulto aggressivo.
Il risultato è stato un documentario dal titolo “Femme de la Rue”, donna di strada, che è anche il modo per designare le prostitute.
Da allora, complice anche il vuoto estivo che i media devono riempire, il documentario è diventato una specie di cult, supportato da una valanga di reazioni su twitter, dove l’hashtag molestie di strada (#harcelementderue) è diventato uno dei più seguiti nel web d’oltralpe.
Indignazione dunque e anche grande stupore perché si tratta pur sempre della capitale europea, e che questo testimonierebbe una regressione della “libertà delle donne”.
Una volta che i media francofoni e fiamminghi se ne sono impadroniti, la parola è passata subito alla politica. La ministra degli Interni Joëlle Milquet, ha sollecitato il governo federale a preparare una proposta di legge per condannare argomenti sessisti. Delle candidate alle elezioni comunali hanno passeggiato per le strade del quartiere di Annessens distribuendo volantini. Lo choc delle donne importunate è stato tale che si stanno già studiando delle leggi ad hoc per punire gli insulti con delle multe. Resta il complicatissimo dettaglio di come cogliere in flagrante il reo. Il vicesindaco di Bruxelles-ville Philippe Close ha spiegato che:
“si capisce che le persone che aggrediscono sono dei frustrati. Si ha il diritto di vestirsi come si vuole in città. E quelli che non vogliono capire saranno puniti. Anche se non si potranno mettere a verbale “le ingiurie”, è importante stabilire il principio”.
Il documentario vola all’estero. Ne parlano tutti. The Guardian riporta la storia e il video.
In un forum aperto da Le Monde, l’associazione francese Osez le féminisme! Commenta la diffusione di questo film e le reazioni. Secondo l’associazione le molestie:
“alimentano il sentimento che la strada sia uno spazio maschile nel quale le donne non possono circolare liberamente né di giorno né di notte”.
La strada resterebbe dunque:
“lo spazio riservato degli uomini in cui vengono imposte le loro regole.”
Se il film ha avuto il merito di sollevare un dibattito su una sorta di aggressione perenne, tassa iniqua e spesso snervante, alla quale tutte le donne sono sottoposte soprattutto in giovane età, dall’altra, l’amplificazione del dibattito su una materia vecchia come il mondo e francamente poco urgente ha rivelato tutta la sua ambiguità.
Il dettaglio infatti è che il quartiere in cui si svolge tutto è uno dei più poveri di Bruxelles e che i molestatori sono per la maggior parte immigrati del Maghreb, e quindi musulmani. E anche se l’autrice si dispiace che spesso il tema si concentri sulla questione dell’immigrazione rilascia una dichiarazione abbastanza incauta, che rivela tutta la sua inconsapevolezza:
“credo che nove volte su dieci si tratti di “allocthones” (definizione usata nei Paesi Bassi per indicare immigrati). Non è tipico di Bruxelles ma è tipico dei quartieri poveri, dove il machismo è diffuso”.
Ed è vero. Infatti non solo non accade nulla del genere al centro di Bruxelles dove le sole persone dalla pelle scura sono il personale delle ambasciate e delle istituzioni comunitarie, ma non accade nulla del genere neppure a Parigi e meno che mai a Londra, e nemmeno a Roma o in qualsiasi altra città europea.
Succede invece se ci si sposta nelle periferie più depresse, dove la povertà e un’integrazione mai avvenuta cui segue l’affermazione automatica delle proprie tradizioni più retrograde, sono le cause principali di questi atteggiamenti di pressione nei confronti delle donne. Le prime vittime del resto sono appunto quelle che abitano in questi quartieri. A Annessens, luogo in cui Sofie ha “passeggiato” a registrare appunto il machismo maghrebino perché di questo s’è trattato, sono al 60% disoccupate, subiscono pressioni e discriminazioni sociali, hanno difficoltà insormontabili a portare a termine gli studi e garantire una vita migliore ai propri figli. Molte sono escluse dall’insegnamento e dall’apprendimento perché portano il foulard, molte altre, malgrado studi e sforzi sono rispedite al loro ruolo di casalinghe. Un mondo di discriminazioni e di imposizioni che sarebbe da denunciare e da combattere con forza. Invece si tratta di un documentario di una giovane ragazza bianca benestante che rivendica il diritto di attraversare un quartiere povero a alta densità di immigrati esattamente come attraverserebbe l’Avenue Louise in pieno centro di Bruxelles. E questo diritto, le verrà assicurato con delle punizioni comminate dal governo ai maschi del quartiere che hanno fatto male a essere poveri, disoccupati e ignoranti. Il tutto applaudito ovunque come forme di grande progresso,
La sintesi socioculturale di “Femme de la rue” sarebbe infatti: se sei bianco o anche nero ma sei ricco, non sei maschilista. Se invece sei povero e immigrato lo sei. E anzi lo manifesti verbalmente con arroganza. Non è perciò il contenuto del documentario abbastanza scontato, ma è la comunicazione complessiva che ha dato importanza a questo, sostenuta dall’indignazione femminista nella sua più ottusa incapacità di visione di insieme, che sono il vero argomento. Così è diventato l’ennesimo veicolo per riposizionare una questione di discriminazione femminile sullo scontro religioso, in cui comunque l’occidente appare sempre superiore. Del resto anche la replica dalla parte musulmana si è affrettata a rafforzare la tendenza. Un membro di «Sharia4Belgium» , in un video su YouTube dà della prostituta alla studentessa:
“Se va in giro mezza nuda con la faccia truccata lo fa per eccitare, di che si lamenta?”.
Non troppo diverso da quel che ha qualche tempo fa a Parigi il deputato della destra Patrick Balkany, sui fischi maschilisti in Parlamento al vestito a fiori della ministra Cécile Duflot:
“Se si è conciata così era per essere guardata più che ascoltata”.