Presentato alla 70esima mostra del cinema di Venezia, il documentario “Ukraine ne bordel” (L’Ucraina non è un bordello) ricostruisce la storia delle Femen. Sapevamo tutti che le biondissime neo femministe (alle quale si aggiunge sempre qualcun’altra che però non viene mai intercettata dai media) venivano da Kiev e che avevano variamente trovato asilo nei paesi dell’Ue. Soprattutto in Francia dove sono molto appoggiate dai media di sinistra (una di loro, Inna, ha addirittura ispirato la Marianna per i francobolli) e da Hollande.
Sapevamo che il comune di Parigi ha assegnato loro “le moderne lavoir”, un enorme edificio dismesso nel cuore del decimo arrondissement, dove le ragazze e tutte coloro che vogliono aderire al movimento si allenano per le performance di protesta. Queste com’è noto prevedono l’arrivo dei cattivi, cioè dei poliziotti maschi, che si ostinano a trascinarle via come abbacchi e quasi accopparle, come se l’ esibizione delle loro tette vere fosse più oscena della rappresentazione di un seno in un poster gigantesco per la pubblicità di un paio di scarpe, o più invasiva di una ostentazione analoga in un programma di televisivo.
Il documentario però, girato da Kitty Green un’australiana di origini ucraine che ha passato un anno con loro, introduce due elementi inediti e importanti per capire il fenomeno.
Il primo è Victor. Ideatore e leader del gruppo. Si tratta di un uomo appunto, dai metodi bruschi e manipolatori che dà istruzioni ora a Sasha ora Anna o Oksana cioè le ragazze che vediamo più spesso nelle capitali del pianeta rotolarsi a terra e gridare contro ogni forma di patriarcato. Victor non ha speculato o guadagnato denaro, ma ha istruito e gestito il gruppo di neo femministe, in un regime dittatoriale che non prevede alcun futuro per le giovani donne, se non quello della prostituzione su scala internazionale. E’ lui che ha suggerito gli slogan, le proteste, dove e quando farle. E’ lui che ha dato perfino indicazioni sul tipo di relazioni che devono avere tra di loro le ragazze. E risate in sala quando lui stesso davanti alla camera spiega:
“Le Femen sono fragili, vanno guidate. E’ vero, sono a capo di un’organizzazione femminista contro il patriarcato cioè contro il potere maschile di cui io stesso sono espressione. E’ un paradosso. Ma in fondo anche Marx era un borghese che ha fatto la guerra alla borghesia”.
L’altro elemento di novità è che vediamo l’Ucraina e l’ambiente in cui sono nate e vissute le giovani femministe più mediatizzate del pianeta. Vediamo il grigio dei palazzoni dissennati, della neve mista allo smog, delle strade. Delle persone. Degli squallidi interni delle loro case tappezzate di manifesti patinati con le tre bionde, come super eroine dei fumetti. E poi le scorgiamo perennemente al computer, mentre chattano su facebook, parlano su skype, si commentano. Ridono e si specchiano come delle adolescenti dopo una serata in discoteca. Irina, che ha aderito al movimento, fa la ballerina di lap dance, ma si dice felice di non aver ceduto alla tentazione di farsi mantenere da qualche vecchio, come molte sue coetanee, e di aver incontrato le Femen. Anche se lei per prima sa di vivere un grande paradosso. Lo dice mentre accenna i balletti che offre quotidianamente al suo pubblico maschile.
Alcune militanti si sono dissociate: una in particolare osserva qualcosa che è un po’ difficile non condividere: “ma forse per parlare di femminismo c’è bisogno di un po’ più argomenti anziché slogan urlati”. E infatti: qualcuno ha mai aperto una tavola rotonda, un dibattito, una riflessione sui temi complessi sintetizzati dalle scritte dipinte sul seno delle ragazze? Qualche politico, colpito dall’intensità degli slogan, ha mai pensato di cambiare o proporre una legge?
Conosciamo perfino i loro genitori (che ci fanno però sentire subito dalla parte delle ragazze): “Mia figlia è senza cervello, la devo accettare così com’è” dice il papà di Inna. E la madre di Sasha con le lacrime agli occhi : “quando era piccola sorrideva sempre. Poi ha cominciato a cambiare. Ora non la riconosco più. Inoltre, prima i loro reati erano solo amministrativi. Ora sono penali. Se finiscono in prigione ci finiscono per anni”. E che prigioni quelle ucraine. Spiega un avvocato che le consiglia (gratis. Ma che pubblicità…): “sono come Guantanamo le nostre prigioni, non ce la farebbero mai a sopravvivere”.
Tuttavia, proprio quando ci siamo convinti che tutto non sia sempre molto serio, in particolare quando le vediamo in Turchia dove un furbo imprenditore di lingerie le ha utilizzate per sponsorizzare il suo marchio, la durezza della realtà insopportabile a chiunque, in cui si formano le Femen le fa diventare delle figure femminili esemplari, reali giganti di tenacia, un rivoluzionario modello di riscatto e di vittoria. E anche di astuzia. Sono delle femministe pop. Non sono forse i media che incarnano la società patriarcale nel migliore dei modi? Loro, esattamente utilizzando lo stesso linguaggio, e lo stesso metodo, si riappropriano della loro immagine. E la gestiscono a meraviglia ormai.
Esattamente questo paradosso enorme, a volte più simile a un equivoco, che ha motivato la regista a realizzare il documentario:
“sono arrivata a Kiev pensando di filmare un gruppo di giovani donne nude che usavano metodi contraddittori ma per migliorare la condizione delle donne nel loro paese. Dopo qualche mese a contatto con le ragazze, quell’immagine era diventata molto più complicata”. Ma alla fine della sua esperienza ha affermato che: “la presenza delle Femen nei media ha reso le ragazze ucraine molto più consapevoli. Il femminismo in Ucraina non è più una parola sporca.”
Solo che è proprio l’inevitabile frastuono intorno alle Femen e l’effetto seducente di questo specchio che loro impongono ai media, che le fa sembrare sempre meno credibili.
Le ritrovi in conferenza stampa cariche di aggressività Shasha e Inna, splendidamente bionde, truccatissime come neanche Scarlett Johanesson aveva osato il giorno prima.
Ma soprattutto: perché hanno promosso il loro film facendosi fotografare a seno nudo, a favore dei fotografi? Photocall con centinaia di macchine puntate hanno favorito titoli un bel po’ ambigui, come: “Le Femen posano a seno nudo per la libertà delle donne”.
Se non è la libertà delle donne, la loro sicuramente è garantita, ora poi, che Victor è stato espulso per sempre dal gruppo e sono fuggite in Francia, più ribelli che mai.
E Amina? La Femen tunisina arrestata e da poco rilasciata? Anche lei in Francia, sembrava avesse ripudiato il movimento una volta uscita di prigione, accusandole di essere islamofobe: “ma io l’ho incontrata a Parigi” ha detto Inna, “e mi ha spiegato che hanno fatto una cattiva traduzione delle sue parole. In realtà è solo uscita dalle Femen ma ora lei è il simbolo della lotta per la liberazione delle donne islamiche”.