“Le cellule ovocitarie ingaggiano una battaglia durissima per l’eliminazione. Solo quella che sopravviverà sarà fecondata. Conoscerne i meccanismi significa migliorare le procreazione assistita, riducendone i rischi e i costi”. Giovanni Ruvolo ha appena vinto il Grant for Fertility Innovation, un prestigioso premio internazionale che sostiene la ricerca. Dei numerosi progetti di biologia e genetica molecolare presentati da ricercatori di tutto il mondo, solo 8 sono stati riconosciuti di alto valore scientifico, ottenendo un congruo finanziamento per essere realizzati.
ruvolo_premiazioneRuvolo, laureato in Biologia nel 1988 ed in Biotecnologie nel 2003, lavora presso il Centro di Biologia della Riproduzione di Palermo, struttura nota per l’innovazione delle procedure che ha ottenuto la prima gravidanza in Italia nel 1984, e svolge attività di ricerca presso il Dipartimento Stembio, biologia dello sviluppo della Facoltà di Scienze di Palermo, ed attività didattica presso la Clinica Ostetrica del Policlinico di Palermo e presso il Dipartimento di Medicina Interna del Policlinico di Catania. È stato premiato insieme a ricercatori australiani, inglesi, francesi, americani e brasiliani.

 

Dottor Ruvolo, com’è nato il progetto?
Fino a qualche anno fa si riteneva che il fenomeno dell’apoptosi, cioè la programmazione della morte da parte di una cellula, fosse tipica delle cellule somatiche, che hanno 46 cromosomi, e si escludeva che si potesse manifestare anche nelle cellule ovocitarie, quelle che racchiudono la metà del corredo genetico e che unendosi agli spermatozoi danno vita all’embrione. Nel 2005 ho pubblicato i primi dati.

 

Come si verifica il fenomeno?
In ogni ciclo mestruale, un follicolo di un’ovaia attiva un centinaio di ovociti, ma soltanto uno provocando la degenerazione di tutti gli altri resterà in attesa della fecondazione, garantendo la gravidanza. Oggi non sappiamo come un ovocita determini il destino nefasto degli altri, quale sia il meccanismo di questa morte cellulare programmata. Abbiamo iniziato uno studio per individuare quel dialogo molecolare e le modalità in cui si determinano. Nella fecondazione assistita si interviene con gli ormoni per far sì che più di un ovocita possa essere pronto. Non sappiamo qual è la cellula dominante e resta quindi il problema di ritrovarsi anche gli ovociti più deboli, quelli che in fase embrionale non riescono a impiantarsi. L’obiettivo scientifico ha più di un risvolto pratico: si ridurrebbero significativamente, per esempio, il numero di embrioni da generare per garantire nelle coppie infertili maggiori probabilità di avere un bambino.

 

Quanti progetti sono stati presentati al Grant for Fertility Innovation?
Circa tremila. Il mio è stato finanziato per due anni con un fondo iniziale di 200 mila euro. Si avvarrà del sostegno del Dipartimento di biologia dello sviluppo dell’Università di Palermo e della possibilità di utilizzare altri laboratori sparsi nel mondo, come quelli della Mc Gill University di Montreal, della Mt. Sinai University di New York e della Monach University di Melbourne con le quali collaboro da diversi anni.

 

Ma allora la ricerca funziona anche in Italia?
No, non direi. In Italia ci sono problemi di formazione oltre che di ricerca. All’inizio della mia carriera sono stato a New York perché da noi non esiste la possibilità di specializzarsi in ambiti come l’embriologia clinica. Le attività di ricerca, lo sappiamo, sono limitate, i fondi esigui e c’è una grossa conflittualità etica. Lavorare all’estero significa avere maggiori opportunità, aggiornamenti professionali e finanziamenti. Anche se la politica italiana è miope, la scienza non si ferma perché la conoscenza è un fenomeno inarrestabile. È indubbio che bisogna muoversi in ambito etico, ma spesso da noi a esprimersi è chi non conosce il campo. L’embriologia, per esempio, è considerata un ambito che tende a non rispettare il valore della vita e invece accade spesso il contrario: la ricerca che sto portando avanti è tesa ad avvicinarsi il più possibile proprio al modello fisiologico.
Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici, quello che i politici credono di risparmiare sottraendo mezzi alla ricerca, viene speso poi con interessi altissimi quando siamo costretti a importare tecnologie. È quello che sta accadendo per i trapianti di organi e accadrà presto per le cellule staminali.

 

Quanto costa oggi la fecondazione assistita?
Nei centri privati dai 3 mila ai 10 mila euro. Ci sono alcune Regioni che sono convenzionate e ci si può sottoporre gratuitamente o pagando soltanto un ticket.

 

Il successo della sua ricerca ridurrebbe le spese sanitarie?
Va fatto un discorso qualitativo oltre che economico. Oggi la tecnologia per la fecondazione assistita è considerata poco efficiente perché si trasferiscono generalmente tre embrioni per volta e ci si trova ad affrontare rischi per l’embrione stesso, per la gravidanza e rischi di parto gemellari o trigemini. Se riusciremo a trasferire un solo embrione, la tecnica diventerà efficiente e ridurremo tutti i costi di assistenza e ricovero che i rischi comportano.

 

Per saperne di più
l’elenco dei 356 centri in Italia e referenti regionali (pubblici e privati)
http://www.iss.it/site/registropma/PUB/Centri/CentriPMA.aspx

In allegato
la relazione al Parlamento del Ministero della Sanità di giugno 2011 sulle coppie che si sottopongono ai trattamenti di fecondazione assistita, i cicli iniziati, le gravidanze ottenute, i bambini nati, le tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma).

Relazione Ministero Salute al Parlamento su procreazione assistita giugno 2011

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