Tutto cambia affinché tutto resti com’è sempre stato. A leggere le leggi, le successive modifiche e le necessarie interpretazioni giurisprudenziali, si ha l’impressione – a volte, per correttezza di cronaca – che davvero si voglia che tutto resti così come è sempre stato.
La recentissima sentenza del Consiglio di Stato n. 1858/2013 riporta alla luce una querelle emblematica dell’italica capacità di rendere merito alla memoria gattopardiana dell’immobilismo garantito dal cambiamento apparente. Tra definizione di sedi e di aree, il Collegio arriva a una esplicita, chiara e inconfutabile considerazione: il decreto Monti ha abolito l’istituto della pianta organica ma non ha influito sul potere/dovere dell’amministrazione comunale di pianificare la presenza sul territorio delle farmacie. In altre parole, di organizzarne la “localizzazione” di concerto con le Asl e l’Ordine dei farmacisti.
Benché l’italiano sia una lingua ricca di vocaboli, gli stessi giudici – legittimamente – si sono espressi affermando che lo strumento in mano ai Comuni è nella sostanza uguale a quello della realizzazione della “pianta organica” e che niente vieta di chiamarlo con lo stesso nome.
Il combinato disposto – Tutto nasce dalla sostituzione dell’articolo 2 della legge 475/1968 da parte dell’articolo 1 del Dl 1/2012 (il cosiddetto decreto Monti). Per il ministero della Salute, da quel momento tutto sarebbe cambiato nella procedura di distribuzione perché nessuno le avrebbe distribuite su tante aree distinte sul territorio quante sono le farmacie attribuite al comune in base alla popolazione residente. La procedura nuova “identifica” il territorio, non lo definisce con precisione nel suo perimetro. Resta in piedi però il compito di garantire l'”equa distribuzione sul territorio”.
Ecco qui che si pone nuovamente il problema. Perché l’azione di distribuzione di cui parla il legislatore non può essere messa in pratica con approssimazione, n’è tantomeno intervenire “una tantum” a dare delle direttive generiche e non corroborate da verificate indagini di penetrazione delle farmacie nel particolare territorio. Questo soprattutto nelle realtà a maggiore vocazione turistica, dove si sarebbe rischiato, per assurdo, di concentrare gli esercizi nelle zone a più alta frequentazione a discapito dei residenti.
Vero è che la presenza delle cosiddette parafarmacie e la congiuntura economia sfavorevole sta incidendo sul mercato “allargato” delle farmacie ma è condivisibile l’opportunità che un regista orchestri la loro dislocazione immondo da essere presidi sul territorio del diritto costituzionale alla salute, oltre che meri esercizi commerciali.
Nuovi significati?- La sentenza entra nel merito proprio di una controversia nata per lo spostamento dei locali di una farmacia, stabilendo cosa si intenda con i concetti di “zona” e “sede” prima e dopo la riforma Monti.
Per il Consiglio di Stato ben poco cambia della disciplina inerente la “sede” farmaceutica. Pur venendo meno la costruzione concordata di una cartina del territorio comunale, ordinata in base ai confini di ciascuna sede, resta in piedi l’impianto legislativo che prevede il “numero chiuso” delle farmacie e, di conseguenza, una loro dislocazione ragionata sul territorio da parte di una autorità.
L’articolo 2 della legge 475/1968 parla di zone invece che di sedi ma la parola in sé non è dirimente per l’interpretazione, tanto più che la stessa dicitura era già nella norma del ’68, all’articolo 1.
«Il nuovo quadro normativo non appare prescindere da un momento di pianificazione, a livello pubblicistico, dell’organica distribuzione sul territorio delle sedi delle farmacie», si legge nella sentenza che riforma la pronuncia del TAR Sardegna n. 153/2013.
La chiosa della Corte – Si potrebbe quindi parlare di “organica distribuzione sul territorio delle sedi delle farmacie” ma è sufficiente applicare il sillogismo seguito dai giudici del Consiglio di Stato per rimarcare la propria linea interpretativa: se si vuole mantenere la capillarità del servizi, si deve provvedere a pianificarne la distribuzione tanto rispetto alle vecchie che rispetto alle nuove sedi assegnando loro una zona di riferimento.
«Benché la legge non preveda più, espressamente, un atto tipico denominato “pianta organica”- scrivono da Palazzo Spada -, resta affidata alla competenza del Comune la formazione di uno strumento pianificatorio che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori, ed effetti corrisponde alla vecchia pianta organica e che niente vieta di chiamare con lo stesso nome».
Più chiaro di così….
Consiglio Stato, sezione terza, sentenza 1858, depositata 3 aprile 2013