Contestualmente alla farfallina inguinale di Belen a Sanremo la ministra Elsa Fornero esternava sull’immagine degradata della donna in tv e su quanto la cosa la offendesse, e che comunque suo obiettivo sarebbe quello di dare punizioni esemplari (ti pareva) a chi non rispetti le quote rose nei cda. Ci risiamo. Detto dalla ministra Elsa Fornero e detto da Mara Carfagna che fino a due mesi prima del suo ingresso in politica posava per calendari e mostrava mutande in tv, la differenza si sente eccome. Ma come tutte le cose di questo governo, l’attendibilità formale dei suoi protagonisti non prelude né significa una sostanza diversa dai precedenti.
La ministra Fornero, che da ministra scopre la tv, ha sostenuto il concetto più trito del mondo: “ la tv andrebbe spenta, o bisognerebbe cambiare canale” . Come si diceva una trentina di anni fa e si è continuato a ripetere, non preoccupandosi affatto dei rimanenti milioni di spettatori che continuano a bere tonnellate di disprezzo da parte della tv pubblica e privata. Forse la questione andrebbe affrontata da un punto di vista un po’ più ampio.
Il berlusconismo è passato soprattutto attraverso le donne, e la sua politica è stata la vendita di tutto: lavoro, dignità, persone, voti, corpi, affetti, amicizie, trasformando l’Italia in un suq di categorie umane. Credere che la messa ai margini di Berlusconi potesse consentire di chiudere con la cultura che ha caratterizzato il suo governo è la svista colossale della stampa anti berlusconiana. E questo getta anche una luce sul come questa abbia affrontato male la questione di Berlusconi e le donne. Berlusconi era un effetto che continuava ad alimentare le cause che lo rendevano possibile politicamente. Quindi no, non è cambiato niente, né si vedrebbe come visto che nessuno lavora sulle cause.
A Sanremo c’è ancora tutta la sottocultura berlusconiana solo che fa meno effetto: la morale dei vescovi, i dirigenti che eseguono gli ordini della chiesa, la morale cattolica anni ’50. E con questi la donna portaoggetti, una specie di figura rassicurante alla quale si resta ancorati per essere certi che non sia cambiato proprio nulla.
Ecco quindi che la farfalla di Belen, fin troppo scontata metafora del sesso femminile, marchio di fabbrica delle schiere di donne dello spettacolo, giornaliste Rai di prima serata, e altre occupanti dello spazio pubblico, che ricevevano in dono farfalline dall’ex presidente del Consiglio, ha ancora una volta un significato solo strettamente politico. A conferma di questo, l’esplosione in rete, sui quotidiani on line, e sui giornali della domanda se Belen indossasse o meno gli slip. Un rovello che la stessa ha potuto sciogliere in diretta: sì li portava.
E sì, gli italiani non hanno ancora capito cosa gli è accaduto.
Lorenzo Calza disegnatore di “Julia” per Bonelli, e inventore della splendida She, una donna problematica e complessa, ha giustamente ingrandito solo il dettaglio inguinale senza testa (che tanto non serve) di Belen e ha sostituito la farfalla con una svastica.
L’anno scorso, sempre in occasione di Sanremo e della valanga di informazioni demenziali sulle vallette Ely – Belen, Stefano Disegni le raffigurò in una striscia, in abiti succinti, ma i loro corpi erano, ancora una volta, senza testa. “Elisabetta, Belen… dove avete messo le teste?” chiede Michele Guardì, patron del festival. E loro: “mai avuta una, ci basta altro”.
Si sollevò un polverone di sdegnose proteste, a capo delle quali Vittorio Sgarbi in strenua difesa delle donne che usano il proprio corpo per fare carriera (forse sperando che passino da lui). E sulla stessa linea si difesero le due vallette: “ dimostreremo che siamo anche altro”. Ma invece niente. Minacciano sempre di farci vedere che sono altro senza che però questo avvenga. Non solo. Avendo accesso in chiaro alla pornografia all’interno del servizio pubblico generalmente dichiarano “la pornografia è ben altro”-(Benaltro…si legge in una parola sola e va dalla fame nel mondo a Nicole Minetti).
Tutta l’operazione di censura delle competenze femminili dall’immaginario della nazione riceve però il colpo peggiore quando le protagoniste prendono la parola e spiegano cosa sia la morale a voi che avevate pensato male. Cosa che, a parte le dirette interessate che di sé pensano male, nessuno fa.
Il punto infatti non è che la Belen di turno faccia quanto le viene chiesto ma che il suo ruolo, nelle degenerazioni sistemiche, si trasformi poi in un posto da giornalista e opinionista, da conduttrice di programma di approfondimento, confinando simbolicamente le competenze femminili tutte, entro i limiti sia fisici che intellettuali di Belen. E questo diventa intollerabile.
Le aspirazioni intellettuali della fidanzata dell’incredibile Corona, trapelano qua e là, ma sempre restando nei ristretti confini del culo. In una trasmissione Mediaset, insieme a Claudio Amendola (attore impegnato a seconda dei mesi), si spogliava mentre faceva il verso alla donna esperta in tv e raccontava in modo osceno i danni all’ecosistema. Poi saliva le scale con la ciambella di gomma a forma di paperella, e la sua salita veniva seguita da una telecamera con dettaglio stretto tra le gambe. Alle proteste però lei è una che sa rispondere. Dice infatti che l’Italia è moralista, e che non c’è niente di male a fare quello che fa lei. Infatti non c’è niente di male. Se ci fosse anche un sacco del resto. Solo che c’è solo lei. E questo ha un significato politico di grande portata.
Nella fiorente saggistica a disposizione di chi volesse uscire dalla visione del mondo che oscilla tra Belen e il Vaticano, si segnala un volume appena uscito in Francia, che andrebbe tradotto subito, dal titolo “ Beauté Fatale” (ed Zone). La bravissima giornalista, Mona Chollet, capo servizio al Monde Diplomatique, osserva nell’introduzione:
“Scrivere un libro per criticare il desiderio di bellezza? “ che male c’è a essere belle?” mi hanno spesso obiettato … No infatti , vorrei anche difenderlo questo desiderio di bellezza. Il problema è che dirlo a una donna di oggi, è come se si dicesse a un alcolista sull’orlo del coma etilico che un bicchierino di vino ogni tanto non ha mai fatto male a nessuno…”.
“Le conseguenze di questa alienazione”, continua Mona Chollet “non si limitano a una perdita di tempo, soldi e energia. La paura di non piacere, di non corrispondere alle attese, la sottomissione ai giudizi esterni, la certezza di non essere mai sufficienti a meritare l’amore e l’attenzione degli altri, traducono e amplificano al tempo stesso un’insicurezza fisica e una auto svalutazione che protende gli effetti a ogni settore della vita delle donne, che sono portate ad accettare tutto del loro entourage, a far passare il proprio benessere, i loro interessi, i loro sentimenti dopo quelli degli altri, a sentirsi sempre colpevoli di qualcosa, adattandosi a ogni costo, anziché fissare le loro regole, a non sapere esistere al di là della seduzione, condannandosi così in uno stato di subordinazione permanente.
Così la questione del corpo potrebbe costituire una leva essenziale, la chiave di un progresso dei diritti delle donne su tutti gli altri piani: dalla lotta contro le violenze coniugali ai diritti delle donne su tutti gli altri piani, comprese le disuguaglianze sul lavoro, passando per le difesa dei diritti della maternità”.