La Corte Costituzionale non giustifica l’interesse economico dell’amministrazione statale all’espansione fiscale e dichiara fondata la questione sollevata dal tribunale di Firenze sull’articolo 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, perché non esistono interessi di rango costituzionale che possano giustificare il privilegio in caso di fallimento.
I principi sotto scacco – Per i giudici della Consulta (la sentenza integrale è allegata) è possibile ammettere il caso, nel diritto civile, per il quale siano concesse eccezioni al divieto di retroattività proprio del diritto penale ma alla base deve esserci l’esigenza di tutela di principi e diritti posti all’interno della Carta fondamentale dello Stato. Non è questo il caso, pertanto, visto che la giustificazione non sarebbe stata altra che quella di “blindare” l’interesse finanziario dell’erario. La possibilità concessa al Legislatore di emanare norme con efficacia retroattiva anche di interpretazione autentica, deve inoltre trovare «adeguata giustificazione» nei motivi imperativi di interesse generale ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Cedu).
A questo proposito è la Corte stessa a ricordare precedenti pronunce della Corte di Strasburgo, nelle quali si chiariva che « le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese in senso restrittivo» e, ancora più nel dettaglio, che « il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l’intento retroattivo».
La scelta effettuata dal Legislatore con l’articolo 23 del Dl 98/2011 verifica una disparità di trattamento tra creditori concorrenti, frustrando le «aspettative di riparto del credito» legittimamente maturato: il decreto per i giudici delle Leggi viola quindi i principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’articolo 3 e 117 della Costituzione e dall’articolo 6 Cedu.
Le pecche dell’intervento legislativo – Il giudice fiorentino nel ricorrere alla Consulta aveva appuntato le proprie censure sulla disciplina degli effetti temporali imposti dalla disciplina sopravvenuta, non propriamente sulla norma in sé: sotto esame, infatti, egli ha posto il fatto che l’estensione del privilegio «si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore» del Dl 98. Un presupposto che fa sì, conviene la Consulta, che si ricollochino in sede privilegiata (per le casse statali) i crediti ammessi al chirografo «in uno stato passivo esecutivo già divenuto definitivo». In questo modo, il giudice delegato che applica i principi generali delle procedure fallimentari deve applicare immediatamente la scelta legislativa, «dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere».
Alterati i rapporti tra i creditori – per via del favore concesso alle pretese economico dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private – la lente d’ingrandimento è stata posta appunto su quella integrazione delle tutele che la Corte costituzionale è chiamata a far rispettare con una valutazione del sistema nel quale si muovono le norme e non in relazione al caso singolo, prassi che altrimenti rischierebbe di condurre a conclusioni in contraddizione rispetto a quelle stesse finalità che le hanno ispirate.
La Corte costituzionale sottolinea come non sia possibile tradire l’affidamento del privato, soprattutto qualora sia stato consolidato da situazioni sostanziali come il giudicato “endo-fallimentare”. Il contenimento della spesa pubblica e il dover far fronte ad evenienze eccezionali non sono sufficienti per avallare la retroattività di una disposizione legislativa imprevista e imprevedibile da parte del privato.
Corte costituzionale, sentenza 170 del 4 luglio 2013