Dopo la seconda sconfitta elettorale a stretto giro, il pressing sul Ministro Tremonti si è fatto particolarmente serrato. Il referendum ha provocato diverse reazioni nella maggioranza, con alcuni esponenti che hanno chiesto una svolta sul piano economico.

Probabilmente perché hanno capito che l’immobilismo non aiuta di certo a far crescere il consenso. La ricetta, però, rimane quella di sempre, ovvero riforma fiscale “subito”. Tremonti ha inizialmente invocato la “prudenza”, visto che i mercati internazionali non sembrano aspettare altro che un aumento del nostro deficit (e del debito pubblico) per aumentare i tassi d’interesse, ma poi ha indicato un progetto di riforma, proponendo la riduzione delle aliquote a cinque in tutto ed il taglio netto al sistema delle agevolazioni, pur senza entrare nel dettaglio. Una riforma del fisco italiano rimane auspicabile, se non addirittura necessaria, per contrastare l’inefficienza che caratterizza il nostro sistema di prelievo, oltre che per stimolare la crescita stagnante.

Le raccomandazioni dell’Europa
È utile ricordare, inoltre, che il fisco è un punto centrale del nostro Piano Nazionale di Riforma, allegato al Documento di Economia e Finanza 2011, oggetto delle “raccomandazioni” del Consiglio europeo e della Commissione del 7 giugno. In realtà l’Europa non si è espressa nel merito della riforma fiscale, ma ha focalizzato l’attenzione sulla dinamica del debito e sulla crescita del PIL, osservando come “il piano di risanamento per il periodo 2011-2014 dell’Italia sia credibile fino al 2012, mentre dovrebbe essere sostenuto da misure concrete per il periodo 2013-2014” e che “misure strutturali volte a potenziare la crescita sono priorità fondamentali per l’Italia.” Oggi (16 giugno) si espressa in merito anche la BCE, affermando nel bollettino mensile che l’Italia “deve ancora specificare quali siano le misure addizionali per il periodo 2013-2014, pari a circa il 2,3% del PIL, per raggiungere l’obiettivo di pareggio del deficit nel 2014”, come indicato nel DEF. Sembra dunque difficile, in questo contesto, pensare che sia possibile una vera riforma fiscale, tanto importante quanto costosa (Tremonti pochi giorni fa aveva stimato un costo di 80 miliardi), senza compromettere ulteriormente i già precari conti pubblici del nostro paese. La partita si gioca dunque tra volontà politica e “governance” economica, tra promesse elettorali e sacrifici talvolta difficili da digerire: capire, in modo semplice, cosa ci aspetta nel futuro prossimo, aiuta a collegare questioni solo in apparenza distanti ed a valutare correttamente dichiarazioni spesso mirabolanti.

Le preoccupazioni dell’Europa
Il nodo fondamentale della vicenda, intorno al quale ruotano tutte le preoccupazioni europee in merito alla politica economica nostrana, è ancora una volta il famigerato rapporto debito/PIL, che quest’anno si attesterà al 120% e attualmente rappresenta il terzo per dimensione tra i paesi occidentali. Il dato di per sé non costituirebbe una minaccia (abbiamo sostenuto livelli simili negli anni ’90), se non fosse per la forte instabilità nel mercato dei titoli di stato, che non accenna a diminuire nonostante la promessa di un ulteriore piano di aiuti da 100 miliardi per la Grecia, con gli spread pronti a salire da un momento all’altro. Le previsioni formulate nel DEF 2011 sembrano confortanti: grazie ad una progressiva riduzione della spesa pubblica, nell’ordine del 2% tra il 2010 ed il 2014, il debito dovrebbe tornare a scendere già dal 2012 (119,4%) per arrivare al 112,8% nel 2014. Una dinamica di questo tipo presuppone una drastica riduzione del deficit, che dovrebbe rientrare al di sotto della soglia del 3% imposta dal Patto di Stabilità entro il 2012 e raggiungere il pareggio nel 2014, centrando il cosiddetto “obiettivo di medio termine”, stabilito dal medesimo Patto. Il problema è che le previsioni macroeconomiche non si avverano per il solo fatto di averle scritte nero su bianco, ma servono misure concrete per fare in modo che siano verificate: la Commissione, infatti, ritiene che le stime per il 2013-2014 non siano credibili “a politiche invariate”, ovvero se si continua a non cambiare assolutamente nulla. Per questo la Commissione e la BCE ci ricordano che per raggiungere l’obiettivo di pareggio sarà necessaria un’altra pesante manovra restrittiva della spesa pubblica, data la forte incertezza sulla capacità di recupero dell’evasione fiscale, probabilmente sovrastimata. I tagli si potrebbero evitare se interviene uno tra gli altri due fattori determinanti: la riduzione della spesa per interessi sul debito o una crescita più sostenuta del PIL. Il primo punto è ovviamente da scartare, visto che per rendere appetibili i nostri titoli di debito dobbiamo pagare tassi sempre maggiori. Rimarrebbe dunque la crescita, che oggi sembra diventare quasi un’utopia, dato che non siamo ancora riusciti a tornare ai livelli pre-crisi del 2007, a differenza delle altre grandi economie europee.

La sfiducia dell’Europa
Alla luce delle evidenti difficoltà in campo economico, dalle quali la politica non può in alcun modo prescindere, diventa più chiaro il collegamento tra tutti gli elementi in gioco nel nostro paese. In aprile l’Italia ha preso impegni economici importanti (DEF), al fine di rassicurare sia i mercati finanziari che l’Europa. Questa però non si fida più di tanto, temendo una crisi del debito nostrano che potrebbe disintegrare la moneta unica, quindi ci chiede di mantenere gli impegni presi, ovviamente attraverso altri tagli alla spesa dato che il PIL non cresce. Qui si entra nella fase di stallo: dopo le batoste elettorali dell’ultimo periodo, la maggioranza non può sopportare un’altra volta l’abbattersi della scure di Tremonti sulla spesa, quindi cerca di rispolverare il proprio cavallo di battaglia. Una riforma fiscale servirebbe sicuramente al governo per riguadagnare il consenso perduto e potrebbe anche, se ben fatta, stimolare la ripresa economica: tuttavia, nel caso in cui i mercati la giudicassero come una mossa azzardata, l’effetto contrario in termini di stabilità potrebbe essere devastante. Il fatto poi che la maggioranza barcolli ormai vistosamente, basti pensare all’iter travagliato del “decreto sviluppo” che andrà al voto (di fiducia) la prossima settimana, non aiuta certo a fornire quella credibilità necessaria per attuare una riforma così rischiosa. Tremonti, dal canto suo, si trova nel mezzo di questo intricato labirinto dove tutti cercano l’uscita prima che sia troppo tardi: probabilmente lui stesso sta cercando la propria, che gli consenta di sopravvivere al di là del futuro di questa maggioranza.

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