Di quali strategie adottare per uscire dal periodo nero se ne è parlato a Strasburgo durante il summit tra i capi di governo, dove l’Italia ha ripreso ad essere consideratauno dei paesi potenti; nel frattempo la Commissione europea ha pubblicato il libro Verde sugli Eurobond. Cosa sono, a che servono e come potrebbero aiutare ad uscire dalla crisi.
“L’obiettivo di questo Libro Verde è innescare un’ampia discussione pubblica in merito agli Stability Bonds”. Con queste parole inizia il documento pubblicato mercoledì dalla Commissione Europea in merito ai cosiddetti “Eurobond”, ovvero i titoli del debito europeo, ed il tono delle reazioni dei governanti europei lascia intravedere quale possa esserne la portata.
A meno di ventiquattro ore dalla presentazione, infatti, la proposta è già volata da Bruxelles a Strasburgo, dove nella mattinata di giovedì si è svolto il summit tra i capi di governo delle grandi potenze dell’area Euro: Germania, Francia ed Italia. Se da un lato si può annotare con piacere la “riammissione” del nostro paese nel novero dei potenti, dall’altro preoccupano le divergenze sempre più marcate tra coloro che dovrebbero rappresentare l’unitarietà del progetto europeo.
Nonostante le rassicurazioni di rito sulla sostenibilità del nuovo governo italiano, il vertice non ha portato i risultati sperati, tanto che Le Monde ha parlato di un Sarkozy “particolarmente irritato dopo il fallimento del summit con Monti e Merkel”. I punti nevralgici, ovvero le modalità con cui procedere al salvataggio della moneta unica, sono stati volontariamente evitati, anche se con tutta probabilità questa politica non placherà i mercati in fibrillazione, che iniziano a dubitare della Francia e della stessa Germania.
Ribadire l’indipendenza della BCE rispetto ai governi, infatti, non serve a nascondere lo scontro sul ruolo dell’istituzione monetaria: secondo Parigi, se questa fosse messa in condizione di assumere il ruolo di prestatore di ultima istanza, lo spread dei paesi a rischio calerebbe immediatamente.
La Germania ovviamente si oppone, sostenendo che si perderebbe l’incentivo a tenere i conti in ordine. Per lo stesso motivo è contraria all’emissione di titoli del debito comunitari, che implicano la condivisione della responsabilità, senza distinzioni tra paesi “virtuosi” e “pericolosi”: “gli Eurobond non li ritengo necessari”, ha decretato la Merkel.
I “titoli di stabilità”, che già dal nome attribuitogli rivelano il grado di speranza che vi si ripone, non rappresentano una novità nel dibattito europeo, dato che già alla fine degli anni ’90 un gruppo di esperti in mercati finanziari, guidato dall’italiano Alberto Giovannini, fu chiamato a valutare la fattibilità dell’emissione comune di titoli di debito, garantiti in solido da tutti i governi partecipanti alla moneta unica.
L’argomento è stato ripreso più volte negli anni, tuttavia era rimasto sempre un tabù per le alte sfere della politica economica europea, almeno fino all’odierna pubblicazione del libro verde.
Il principio alla base del progetto è relativamente semplice: emettendo titoli in modo congiunto, il rischio di fallimento di un singolo paese diminuisce, perché la copertura finanziaria è garantita implicitamente da tutti i partecipanti.
In altre parole sparirebbe lo spread, in quanto il tasso d’interesse sarebbe unico e dunque non potrebbe esistere alcun differenziale.
I soldi raccolti sui mercati dovrebbero poi essere distribuiti a seconda del fabbisogno finanziario di ciascun paese, in modo da contrastare tempestivamente eventuali crisi di liquidità e conferire un certo grado di stabilità all’intero sistema. Sono ipotizzate anche forme intermedie di applicazione, come la sostituzione parziale del debito nazionale o la garanzia separata sui titoli, per cui ogni paese è tenuto a coprire la propria quota di emissione rispondendone direttamente: queste opzioni sono tuttavia ritenute poco efficaci a causa della scarsa credibilità, data dalla possibilità per un paese di uscirne in qualunque momento. Per rendere possibile l’adozione degli Eurobond sarebbe necessario inoltre creare un sorta di “agenzia europea del debito” che si occupi dell’allocazione dei titoli e della ripartizione dei flussi.
Nel testo sono riportati in dettaglio anche i rischi che tale processo di integrazione finanziaria comporta, tutti connessi al cosiddetto “Moral Hazard”. Si tratta di un comportamento associabile alla deresponsabilizzazione dei governi nazionali rispetto al controllo dei conti pubblici.
Se il debito viene condiviso il tasso d’interesse tenderà a convergere verso un valore medio rispetto ai tassi attuali: così la Grecia e l’Italia ci guadagnano, perché pagheranno di meno per rifinanziarsi, mentre la Germania ci perde, perché inevitabilmente dovrà pagare di più, almeno nel breve periodo.
A questo punto le misure restrittive non sembreranno più così vincolanti, perché il rischio di fallimento non dipende più solo dalle misure adottate in un singolo paese. Il concetto è che se tutti “fanno i compiti” a qualcuno potrebbe convenire non farli, magari a fini elettorali, tanto il giudizio del mercato sarebbe uno per tutti. Al fine di limitare il più possibile tali effetti distorsivi, il documento prevede l’adozione di alcune “pre-condizioni”: “Gli Stability Bonds non devono portare ad una riduzione della disciplina di bilancio tra i membri dell’area Euro”. Non è chiaro tuttavia in che modo si voglia raggiungere tale obiettivo, se con un coordinamento forzato delle politiche fiscali o con un inasprimento delle sanzioni per deficit eccessivo, che peraltro non sono mai state applicate seriamente. La prima opzione sarebbe la più auspicabile, ma si scontra con una realtà europea enormemente rarefatta in termini di prelievo fiscale, che in alcuni paesi è inferiore al 25% mentre in altri è superiore al 50%, con politiche di intervento pubblico estremamente differenziate.
Alla luce di tali problematiche non stupisce la reticenza della Germania, che dopo oltre un decennio di moneta unica si fida sempre meno dei propri vicini, specie ora che sta tremando l’asse storico con Parigi. L’opposizione agli Eurobond rimane almeno in apparenza solida, anche se sta iniziando a scricchiolare in seguito al pessimo risultato dell’asta dei bund di questa settimana, quando circa il 35% dei titoli tedeschi è rimasto invenduto, segno che anche i mercati si attendono una svolta. L’accusa mossa al governo della Merkel, infatti, riguarda proprio l’immobilismo ideologico, per cui non si vuole abbandonare una teoria rigida, con cui è molto difficile gestire una situazione quantomeno “straordinaria” se non di piena emergenza.
Continuare ad insistere su misure per la crescita e tagli alla spesa da adottare in paesi, come il nostro, che il prossimo anno saranno quasi certamente in recessione, non sembra realistico. La pressione sulla Germania, che al momento rifiuta misure drastiche come l’intervento massiccio della BCE o l’introduzione degli Eurobond, non potrà dunque che aumentare nei prossimi giorni, a meno di un improbabile dietro-front spontaneo dei mercati rispetto ai titoli europei. Ad ogni modo un eventuale cedimento non sarebbe certamente gratuito, in quanto Berlino potrebbe chiedere in cambio come contropartita la modifica dei trattati al fine di rendere più efficace il potere di controllo europeo sui bilanci nazionali.