Il Museo Nazionale di Palazzo Venezia ospita la prima esposizione monografica antologica dedicata al pittore veneziano Carlo Saraceni, uno dei più raffinati interpreti della cultura artistica del Seicento. Pittore colto e di gusto francese, è considerato uno dei più importanti seguaci e interpreti di Caravaggio. Attraverso sessanta opere, che costituiscono una piccola parte della sua vasta produzione artistica si vuole raccontare sia la sua evoluzione stilistica, che da un iniziale naturalismo nordico approda al caravaggismo, sia il vivace contesto seicentesco in cui operò.

Si vuole altresì indagare alcuni aspetti della sua arte, quali il colore pastoso, la luminosità, l’equilibrio compositivo e i personaggi raffigurati. “Saraceni nonostante l’altissima qualità delle sue creazioni, è rimasto per molto tempo un’artista poco indagato e da rivalutare”, spiega Daniela Porro responsabile del polo museale romano. “La mostra vuole restituire al pubblico la figura di un’artista gentiluomo che, con innato garbo, seppe interpretare la cultura artistica del suo tempo”. Le opere, molte delle quali sono state restaurate proprio in occasione della mostra, provengono da chiese, collezioni e musei sia nazionali che internazionali. Sono state eseguite per committenze religiose e aristocratiche. Lungo il percorso espositivo, articolato in otto sale, si potranno ammirare le grandi pale del periodo maturo come l’Ostensione del Sacro Chiodo con San Carlo Borromeo conservata a San Lorenzo in Lucina e San Francesco d’Assisi riceve le stimmate dalla Chiesa di San Pietro a Lanzo Torinese, Sant’Ildefonso dalla cattedrale di Toledo, la Natività della Vergine dal Musée du Louvre di Parigi, dieci raffinati olii su rame tra i quali Caduta di Icaro conservato al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli e Paradiso dal The Metropolitan Museum of Art di New York. Una sala è dedicata alla scuola che, attraverso copie e repliche di alta qualità, ebbe il merito di diffondere il suo linguaggio e contribuire alla sua fama.  Alcune delle opere sono inedite, altre sono esposte per la prima volta in Italia, come Giuditta. I restauri hanno avuto un ruolo fondamentale in quanto hanno ridato alle opere l’originario effetto cromatico, hanno reso evidenti alcuni particolari fondamentali sia per l’interpretazione sia per aver fornito, in alcuni casi, nuovi spunti di lettura. Nel caso del Diluvio Universale, una delle opere più complesse ma al tempo stesso coinvolgenti dell’artista, il restauro ha permesso la conferma dell’autografia.

Saraceni: un veneziano a Roma
E’ il 1600 quando Saraceni, ancora ventenne,  giunge a Roma. Sono anni di grande fermento culturale per la città eterna meta di numerosi artisti che arrivano, ognuno con le proprie tendenze, al servizio dei grandi mecenati religiosi e aristocratici dell’epoca. E’ un periodo fortunato e fiorente per l’arte. A Roma Saraceni rimane per un ventennio durante il quale svolge un’intensa attività che lo porta al grande successo. Qui i primi tempi, stando a Giovanni Baglione, fu a bottega dallo scultore Camillo Mariani. Caravaggio ha avuto sicuramente una grande influenza sulla formazione di Saraceni ma con il tempo il veneziano se ne è discostato creando un suo proprio stile. Al dramma e alla sofferenza tipiche caravaggesche contrappone una visione più poetica e intimista propria della cultura nordica, un lirismo raffinato, un gusto armonioso e idilliaco. Ne ammorbidisce la sintassi mediante un effetto più sfumato ottenuto attraverso un rapporto più attenuato tra luce e ombra. “Saraceni trasforma in elegia ciò che per il maestro è dramma e violenza”. E in questo sta la grandezza del veneziano, nell’aver mitigato l’esperienza caravaggesca con la sua cultura veneziana. Il risultato è un elegante linguaggio pittorico.


saraceni 2.pngLa sala Regia al Quirinale

La carriera capitolina del Saraceni si legò ad alcuni fra i principali committenti del tempo, raggiungendo forse l’apice del successo professionale nella partecipazione alla decorazione del grande fregio ad affresco della Sala Regia al Quirinale, voluto da Paolo V Borghese. Il papa affidò il lavoro a tre dei più grandi artisti dell’epoca attivi a Roma in quel momento: Agostino Tassi, Giovanni Lanfranco e Carlo Saraceni. Per Rossella Vodret la vera novità fu la scelta di Saraceni in quanto, a differenza degli altri due, non era mai stato al servizio dei Borghese. Con loro collaborarono altre decine di pittori, essendo la superficie da dipingere molto vasta.  Il fregio infatti, alto quasi cinque metri e lungo cinquanta, copre una superficie di 482 mq. Vi sono raffigurate le Storie delle Muse, le Fabbriche di Paolo V, figure allegoriche e putti, le Ambascerie straniere che erano giunte a omaggiare il papa dall’inizio del suo pontificato (1605). Il pagamento finale, identico per i tre artisti (1680 scudi), testimonia che l’incarico fu equamente diviso tra loro ed evidenzia una stretta collaborazione tra Lanfranco e Saraceni in quanto vengono sempre pagati insieme. I pagamenti ci informano inoltre sulla data di fine lavori, 1617; per quanto concerne l’inizio, sappiamo che il fregio fu dipinto dopo la realizzazione e doratura del soffitto ligneo, pagato ai suoi realizzatori il 16 aprile 1616. L’opera è considerata una delle più spettacolari realizzazione di inizio Seicento per la coerenza dell’impianto prospettico ideato da Tassi. Non del tutto chiara resta il ruolo e l’identificazione degli interventi degli altri due pittori. I restauri eseguiti tra 2005 e 2006, grazie ai quali si è recuperata la cornice secentesca sotto la ridipintura ottocentesca, hanno permesso nuove acquisizioni. Ne parla Rossella Vodret, “innazitutto si è scoperto che il fregio della parete sopra le porte, affidato a Tassi e alla sua bottega, fu avviato per primo. E’ stato possibile individuare in esso diverse personalità intervenute nella decorazione in qualità di aiuti, come Spadarino, Ganassini e Paolo Novelli. In conclusione, gli affreschi della parete di entrata sono stati eseguiti certamente da Tassi e la sua bottega, sulle altre pareti il lavoro fu svolto da Saraceni, Lanfranco e dalle loro botteghe”. Nel 1620 Saraceni decise di porre fine al suo lungo soggiorno romano e tornò a Venezia. Qui morì pochi mesi dopo all’età di  quaranta anni.
La mostra, in programma sino al 2 marzo, è stata presentata dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma, diretta da Daniela Porro. Ideata da Rossella Vodret e curata da Maria Giulia Aurigemma, l’esposizione vanta un comitato scientifico internazionale presieduto da Maurizio Calvesi e composto da studiosi dei principali musei e istituzioni mondiali. Coordinatrice generale è Emanuela Settimi con il supporto organizzativo di Civita e Manus.

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