Scivolano uno dietro l’altro i giorni e le notti. Segue la luce alla tenebra e la tenebra alla luce. Scorrono i mesi e ne è segno in cielo la Luna che nasce, cresce e muore. Come nasce, cresce e muore la vegetazione, seguendo le stagioni nel ciclo annuale.
Ciclo. Percorso circolare. Ripetizione. Ritorno. Eterno? Muovono nello spazio gli astri e, con moto di rivoluzione, nel tempo, tornano al punto di partenza. Come tutto. E l’uomo tradizionale percepisce e concepisce il tempo come ciclico, ripetitivo: in esso si ripetono, se non gli eventi, le qualità. Tempo qualitativo, non quantitativo. Tempo non come serie ininterrotta, ma come ritmo. E abbiamo così il “Grande Anno” caldeo ed ellenico; il saeculum etrusco-latino, l’eone iranico, i “soli” aztechi, i Kalpa e i Manvantara indù. Soffermiamoci su questi ultimi.
Il Kalpa è un grande ciclo cosmico, un “giorno di Brahma”, della durata di 907.200 anni solari nostri; e si compone di 14 Manvantara. Il Manvantara è un ciclo umano-terrestre, un’era di Manu (corrispondente al Menes degli egizi, al Minos cretese, allo Xisuthros caldeo) e dura 64.800 anni. Ora, è all’interno di un Manvantara che si suole operare una suddivisione in quattro ere che sono tra loro in un rapporto di durata di 4, 3, 2, 1 (che è poi la “divina tetraktis” pitagorica). Abbiamo così il Krita-Yuga o Satya-Yuga (l’Età dell’Oro nella tradizione occidentale), di 25.920 anni; il Treta-Yuga (Età dell’Argento) di 19.440 anni; il Dwapara-Yuga (Età del Bronzo) di 12.960 anni; il Kali-Yuga (Età oscura, Età del Ferro) di 6.480 anni.
Ebbene, queste cifre hanno un fondamento astrologico. Come si sa, infatti, per il fenomeno astronomico della precessione degli equinozi, il “punto gamma” o “punto vernale” (cioè il punto in cui si trova il Sole all’equinozio di primavera, là dove si intersecano l’equatore celeste e l’eclittica) si sposta circolarmente, in senso contrario all’ordine dei segni zodiacali, di 1 grado ogni 72 anni. E siccome ogni segno è di 30 gradi, si ha uno spostamento, un cambiamento di segno ogni 2.160 anni (72 x 30). E’ questa la durata di un’Era astrologica, che prende il nome dal segno in cui per quei 2.160 anni cade l’equinozio primaverile. E che – si dice – presenta le caratteristiche di quel segno. Un intero giro zodiacale, dunque, avviene in 25.920 anni (2.160 x 12). Il che ci porta alla durata di un Krita-Yuga. Ed il Kali-Yuga abbraccia 3 ere zodiacali (2.160 x 3) mentre il Dwapara-Yuga ne comprende 6, il Treta-Yuga 9 e il Krita-Yuga 12.
Come si vede, quanto più ci si avvicina alla fine del Manvantara, tanto più le ere sono brevi: è il tempo che corre sempre più in fretta, si consuma sempre più rapidamente. E la decadenza è sempre maggiore, l’oscurità si fa sempre più fitta (in senso spirituale e non: si pensi all’inquinamento atmosferico), la materia prende sempre di più il sopravvento. Quanto più ci si allontana dalle origini, tanto più si “peggiora”. E alla fine del ciclo corrisponde, secondo molte tradizioni, una catastrofe. E’ Beroso che, nel III secolo a.C., volgarizza la dottrina caldea del “grande anno”: l’universo è eterno, ma è annientato e ricostituito perodicamente alla fine di ogni “grande anno” da un diluvio (quando i 7 pianeti si riuniscono nel segno del Capricorno) o da un’esplosione di fuoco (quando i 7 pianeti insistono tutti nel Cancro). E’ questo il pensiero dei filosofi stoici, che parlano di una ekpyrosis, di una combustuione finale; ma anche di molte correnti di pensiero indiane, iraniche ed anche dei Maya dello Yucatan e degli Aztechi messicani. Né va dimenticata l’Apocalisse di San Giovanni che, secondo alcuni, si riferisce alla fine del nostro attuale Manvantara.
Va ricordato peraltro, che le Apocalissi di per sé null’altro sono se non discorsi escatologici, cioè “rivelazioni” relative ai destini ultimi dell’umanità, al di là del loro carattere catastrofico o meno. Fatto è che nel cuore dell’uomo ci sono, allo stesso tempo, il desiderio di espiazione e la speranza, il senso della colpa e la voglia del Paradiso; del Paradiso perduto di cui si ha nostalgia come dell’antica Età dell’Oro che viene posta come nuova età futura alla fine dei tempi in un altro mondo o in questo (si tenga presente la nota millenaristica marxista per cui il Paradiso viene appunto spostato in questo mondo alla fine dei tempi, con la completa dissoluzione dello Stato).
Il problema, a questo punto è: quando? Quando l’inizio e quando – quindi – la fine dei tempi, del ciclo? Lo vedremo nella prossima puntata. (fine prima parte – continua)