Il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan combatte il terrorismo anticipandone le mosse, più o meno come un vegetariano che fa strage di suini per fregare i carnivori.
Dapprima tra le fila del “Partito del Benessere” beccandosi una condanna per incitamento all’odio religioso, reato per il quale è andato in carcere. Poi da capo dello stato, affogando le manifestazioni di dissenso nel sangue con il solerte ausilio delle forze di polizia. Il subdolo stratega è sempre un passo avanti alla concorrenza e cerca di fare piazza pulita degli infedeli, con la marcia in più di un metafisico silenzio stampa.
L’ordine dei giornalisti turchi si è infatti trasferito in massa nelle patrie galere, affollate da pubblicisti e direttori con l’ossessione della libertà di parola. Due incauti vignettisti hanno osato ritrarre Erdogan nel giorno del suo ingresso al palazzo presidenziale sulla copertina del settimanale satirico “Penguen”. Nella vignetta un funzionario accoglie il neopresidente, che risponde al benvenuto con realistica sintesi: “tutto qui? Avreste almeno potuto fare fuori un giornalista per l’occasione!”. Ma lui non ci casca, avrebbe potuto premere il bottone rosso e farli saltare in aria, troppo facile. Creare un nuovo caso Charlie Hebdo? Siamo matti? Piuttosto prima li minaccio con la galera, poi faccio la figura del magnanimo con una multa e passa la paura. Una censura non violenta, avrà pensato, è sempre meglio di una figuraccia con l’Europa. Ma alla fine, come si distingue il presidente della Repubblica Turca da un becero combattente dell’Isis? Semplice, dal completo in giacca e cravatta.