Si è concluso come da programma il “processo a 5 stelle” nei confronti della Senatrice Gambaro, rea di aver criticato il Movimento e il suo leader, Beppe Grillo, all’indomani della sconfitta elettorale riportata nelle recenti amministrative.
Fino alle 17.00 del 19 giugno 2013, gli iscritti al Movimento hanno potuto decidere online il destino della parlamentare. Ovviamente a deliberare non è stata “la Rete”, bensì, come ha precisato Grillo sul suo blog, tutti gli “iscritti al portale al 31 dicembre 2012 con documento digitalizzato”. Circa 48.000 persone dunque, chiamate a ratificare una decisione già presa dall’assemblea degli eletti a 5 stelle riunitasi, a porte chiuse, pochi giorni fa. 79 i sì all’espulsione di Adele Gambaro, 42 i no e 9 gli astenuti: questi i numeri risultati al termine dell’assemblea parlamentare che diede il via libera alla fuoriuscita di Gambaro. Già prima della chiusura delle consultazioni online, l’esito del voto appariva dunque scontato: meno della metà degli aventi diritto a partecipare alle votazioni ha ratificato l’espulsione della senatrice. “Le operazioni di voto si sono concluse. Gli aventi diritto erano 48.292 ma solo 19.790 hanno partecipato alle votazioni. Il 65,8% (pari a 13.029 Voti) ha votato per l’espulsione, il restante 34,2% (pari a 6.761 Voti) ha votato per il no. Grazie a tutti coloro che hanno partecipato”, si legge sul sito di Grillo. Ma di cosa era accusata la senatrice espulsa?
L’espulsione di Adele Gambaro
Adele Gambaro, eletta al Senato nelle fila del Movimento, dopo le elezioni amministrative dello scorso maggio, visto il deciso ridimensionamento del bacino di voti a 5 Stelle, decise di rilasciare un’intervista a Sky TG24 nella quale attribuiva la colpa del tonfo elettorale del Movimento al leader Beppe Grillo. Secondo la Gambaro la comunicazione aggressiva di Grillo e del suo blog, contribuisce, quotidianamente, a offuscare il lavoro serio e produttivo che i parlamentari pentastellati fanno in Parlamento ogni giorno. L’invito rivolto a Grillo dalla senatrice dissidente era dunque quello di scrivere meno e dedicarsi invece all’osservazione dei lavori parlamentari. Da qui l’accusa, messa nero su bianco sul blog dallo stesso Grillo: la Gambaro ha “rilasciato dichiarazioni lesive per il M5S senza nessun coordinamento con i gruppi parlamentari e danneggiando l’immagine del M5S con valutazioni del tutto personali e non corrispondenti al vero“. Tuttavia al di là della presa di posizione nei confronti del leader all’indomani della sconfitta elettorale, non risulta che la Senatrice “eretica” abbia mai votato in contrasto con il suo gruppo parlamentare. Non ci sarebbe dunque nessuna manifesta contestazione della linea tenuta in Parlamento dal Movimento, i cui risultati furono, tra l’altro, rivendicati dalla stessa Gambaro nell’intervista “incriminata”. Ciò che emerge è piuttosto una critica al tipo di comunicazione messo in campo da Grillo negli ultimi mesi. Decisamente poco per “processare” ed espellere una senatrice da un gruppo parlamentare. Il diritto di critica in democrazia non si nega a nessuno, tranne, a quanto pare, ai deputati e senatori eletti nel Movimento a 5 Stelle. Lo stesso non- statuto del Movimento non prevede espulsioni per lesa maestà.
“Ne resterà soltanto uno”
Ma quella di Adele Gambaro non è stata l’ultima espulsione in casa Grillo: all’orizzonte si profila già l’espulsione della “cittadina” Pinna, critica verso il clima di sospetto e di “epurazioni facili” venutosi a creare in queste ore nel Movimento. Paola Pinna è una deputata sarda eletta a Montecitorio fra i 5 stelle che ha denunciato di recente la “brutta aria” che tira nel Movimento, sempre più in balia, secondo la deputata, di “talebani” e di una sorta di “psico-polizia”. Non si è fatta attendere la reazione della capogruppo alla Camera Roberta Lombardi che in un posto su Fb, dal titolo “Paola Pinna… Chi?”, accusa la parlamentare ribelle di non aver mai partecipato alle riunioni a Montecitorio. Difficile pensare però che quella della senatrice Gambaro o di Paola Pinna siano casi isolati all’interno del Movimento 5 Stelle: il fronte dei dissidenti e dei “malpancisti”, cresce ogni giorno di più, tanto che alcuni deputati grillini, , riferiscono al Movimento la famosa battuta di Grillo (tratta dal film Highlander) “Ne resterà soltanto uno”.
Questa volta a rischiare l’estinzione è lo stesso Movimento a 5 Stelle, nato per dar voce ai cittadini e finito per reprimerne le opinioni dopo averli fatti eleggere in Parlamento. Certo la maggior parte degli eletti pentastellati devono letteralmente tutto a Beppe Grillo: Pinna, Gambaro e tutti gli altri non erano praticamente nessuno prima di essere eletti nelle schiere di Grillo. Tuttavia si sa che in politica la riconoscenza è una merce rara e chi ha fatto eleggere queste persone in Parlamento con una manciata di voti online, senza nessun altro merito politico se non quello di essere stati precedentemente “trombati” alle amministrative, oggi non può lamentarsi né, tantomeno, gridare al tradimento.
Stiamo forse per assistere all’autodistruzione del Movimento di Beppe Grillo? Difficile dirlo con certezza, quel che è evidente è che la divisione venutasi a creare all’interno Movimento era ampiamente prevedibile. Dopo il travolgente e, probabilmente, inatteso successo elettorale delle elezioni politiche, la pattuglia parlamentare dei 5 stelle si è ritrovata ad essere la terza forza del paese, senza avere nessun tipo di esperienza o di organizzazione alle spalle. Caratterizzato da un’eterogeneità di storie e visoni politiche che probabilmente non ha precedenti, il Movimento non ha fatto in tempo, o forse non ha voluto, trasformarsi in un’organizzazione parlamentare tout court, per paura di scoprirsi, in fin dei conti, troppo simile a quei vecchi partiti contro i quali spara a zero ogni giorno.
“Terrore” a 5 stelle
Chi pensava che per salvare il Paese da una crisi senza precedenti, bastasse una pattuglia di ragionieri che presenta gli scontrini di ogni caffè che beve si sbagliava : oggi questa evidenza è sotto gli occhi di tutti. Messa da parte la tanto acclamata trasparenza, la “rivoluzione grillina” vive ora la sua fase del Terrore giacobino con i cittadini Crimi e Lombardi, novelli Robespierre, intenti a mettere su un intransigente “comitato di salute pubblica” per ostracizzare tutti i sospettati che mettono in pericolo la “purezza” del Movimento contestando il capo o “flirtando” con le forze dell’Ancien Regime. Il movimento di Grillo è incappato, a quanto pare, in quel rischio insito in ogni sogno di democrazia diretta: l’idea limite dell’unanimità democratica, l’assenso e il consenso della totalità del popolo. Rousseau fu il primo a teorizzare forme di democrazia diretta a suffragio universale per le moderne società occidentali. La Volontà Generale che secondo Rousseau avrebbe garantito il bene di tutti però non era la somma delle singole volontà individuali, bensì la volontà della decisione del popolo che non può sbagliare nel perseguire il bene comune.
Ma questa è appunto un’idea limite, un sogno impossibile che se perseguito fino in fondo porta all’eliminazione di ogni forma di dissenso che diviene automaticamente una manifestazione di interessi particolari o contrari al bene comune. Proprio Rousseau nel Contratto sociale accusava gli inglesi, “paladini” del sistema parlamentare e della democrazia rappresentativa, di essere “liberi un solo giorno ogni quattro anni, quando vanno a votare, poi tornano schiavi”. Ovviamente non è così: una democrazia rappresentativa funzionante ha degli spazi dove i cittadini possono confrontarsi e decidere costantemente e non solo in occasione delle elezioni politiche. Gli stessi partiti, almeno sulla carta, hanno il compito di organizzare la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Se negli anni della Seconda Repubblica i partiti e le istituzioni democratiche sono serviti ad altro, è dunque arrivato il momento di riformarli ampliando gli spazi di partecipazione, anche attraverso le nuove tecnologie, visto che l’esperimento della democrazia diretta in Parlamento, proposto da Grillo, sembra ormai giunto al capolinea.