E’  bipartisan la reazione Pd-Pdl circa l’esclusione del documentario di Ambrogio Crespi, “Tortora una ferita italiana”, dal festival del cinema di Roma. Documenti, firme, dichiarazioni indignate, editoriali, insomma: uno scandalo.

Tortora gode, rispetto a intellettuali, artisti e personaggi di statura e incidenza decisamente superiore  per la cultura italiana, di una toponomastica da imperatore: a lui sono intitolate una piazza a San Benedetto del Tronto, un  piazzale a Milano lungo corso Magenta, una via a Napoli,  una a Roma e anche a Mondovì, l’auditorium del Polo Soderini a Milano, e una biblioteca a Roma.

Sulla sua vita, nel 1999 è stato girato un film  per la tv  “Un uomo per bene”, andato in onda  su Canale 5 e la 7 con Michele Placido protagonista;  nel 2012 la Rai con la regia di Ricky Tognazzi e la sceneggiatura di sua moglie, Simona Izzo, trasmette  la serie “Il caso Tortora – Dove eravamo rimasti?” . Che però venne molto criticata dalla figlia di Tortora. Succede. Sono la coppia Tognazzi Izzo che hanno la possibilità di fare fiction  alla Rai.

Poi approfondimenti su tutte le reti televisive, reportage, e una decina di libri pubblicati da  Mondadori a Sperling & Kupfer, figlie che scrivono e che appaiono in tv, e ex compagna Scopelliti  senatrice e Presidente della Fondazione Internazionale per la Giustizia Enzo Tortora.

Si può dire  quindi che se c’è un personaggio italiano di cui non si deve temere l’oblio, né la rimozione collettiva è esattamente Enzo Tortora, senza pensare a quanto sia stato strumentalizzata la sua vicenda giudiziaria (anche se clamorosamente diversa) per avallare l’assunto principale su cui si basa il ventennio berlusconiano: i giudici sbagliano – in alcuni casi-  e dovrebbero pagare quando sbagliano.

Ma veniamo al  “Tortora – una ferita italiana” di Ambrogio Crespi.  Peserebbe molto di più la sua biografia: avrebbe infatti subito un torto dalla giustizia  e questo lo accomunerebbe al conduttore televisivo  oltre che al mainstream vittimista della destra.

Crespi  gira il suo  documentario ma è  televisivo, perché lui fa quello. Il regista in tv. Peccato  che la tv  di Stato, a parte una seconda serata  settimanale su Rai3, non manda in onda documentari. Non  ne parliamo le reti Mediaset incancrenite in format di culi, cronaca nera, reality e zuffe di Maria De Filippi. Diversamente da altri paesi europei in Italia non c’è nessuna cultura in questo senso né c’è  spazio.  Ci sogniamo quello  che hanno – ad esempio – su France Television, o Arté.

Crespi però lo presenta al festival del Cinema di Roma. Giusto percorso per gli eroi che  producono documentari in Italia. Quella  del Festival  è  una delle poche isole dedicate al cinema, appunto, fuori dalla ripetitività televisiva.  E come dice il  quotidiano il Tempo (schierato assieme a  tutti  a favore dello scandalo del rifiuto dell’opera non cinematografica di Crespi da parte di un festival del cinema),  sono selezionati documentari che vedono “i soliti quattro gatti”. Che non è vero. Ma anche se fosse vero è esattamente  questo il senso delle operazioni culturali:  permettere al mondo e ai linguaggi  di evolvere e non vedere solo Checco Zalone tutta la vita.

Il docufilm di Crespi contiene  invece una trappola. Rifiutarlo non può semplicemente significare che non sia valido,  ma che il mondo intero ce l’abbia con Tortora, perché c’è ancora un qualche tabù  sulla sua storia, anche se a breve  gli verrà dedicato un mausoleo. Si tratta della classica  tipologia dei film con il ricatto dentro.  Faccio un film  sui gay? Se è scartato significa che chi giudica è omofobo. Faccio un film penoso sugli immigrati? Se viene scartato  perché sono tutti razzisti. E così via. Un’operazione  che unita alla vacuità  della politica produce se possibile un clima ancora più tossico attorno alla cultura.
 
E’ talmente ovvio agire come loro, soprattutto i “ liberali”, cioè fare  cose con raccomandazioni e imposizioni,  che  tutti  gridano al rifiuto perché c’è qualcosa di losco sotto.  Pannella  interviene tra i primi: “ è un film che impone una verità..”. Impone? Alla faccia del liberale. Pure Alemanno che volevamo dimenticare per sempre, che insieme a Polverini ha voluto Marco Muller,  attuale direttore artistico del Festival di Roma, che per tutt’altre ragioni ha snaturato e fatto affondare il Festival, interviene. Interviene il Pd per rendersi più ridicolo possibile.

Sandro Gozi e Giovanna Palma  hanno annunciato che chiederanno al Mibac “di valutare se non sia il caso di fare una richiesta di accesso agli atti per capire le reali motivazioni che hanno portato all’esclusione del film”. Quelli del Pd non hanno mai fatto una richiesta perché i giovani nelle scuole conoscano il neorealismo. O perché si possano fare maggiori investimenti  nel cinema che ci facciano somigliare almeno da lontano a un paese  europeo. Però s’infuriano perché non viene ammesso un film televisivo al festival del cinema.

Così, in un quadro di disattenzione gravissima, denunciata da artisti e operatori culturali, oggetto di stupore all’estero, in un paese che sta cancellando la propria identità culturale  affondando dentro osceni talk show,   si vuole che un film brutto passi di imperio alla Rai per ripianare la ferita del rifiuto al festival.

Del resto, come dimenticare  Brunetta alla Mostra di Venezia che inveiva contro Michele  Placido reo di aver fatto un (brutto) film sul  ’68 “ con i soldi degli italiani”. E come non  ricordare che gridava in preda a un orgasmo di potere tra risate e applausi: “Bondi  “gira la chiave” perché  “bisogna smettere di dare soldi  a dei film  che incassano poche migliaia di euro al botteghino. Si confrontassero col mercato!”.  E come dimenticare allora  il magnifico film della Bonev imposto  alla mostra di Venezia  da Berlusconi  e premiato dalla ministra-valletta Carfagna?  Come dimenticare il film “Barbarossa” di Martinelli, voluto da Berlusconi per celebrare la Lega costato 12 milioni dei euro che ne ha incassati solo 800 mila? 
 
L’ unica operazione intelligente da fare sarebbe  far confrontare il film  alla prova del pubblico, appunto, e organizzare un dibattito Pd  e Pdl  sulla colpa ai magistrati, perché è di questo che stiamo parlando. Il sottotesto è infatti Berlusconi.

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