Emilio Fede licenziato da Mediaset: se ce lo avessero detto anche solo sette mesi fa, avremmo pensato a uno scherzo, un paradosso, una battuta o forse l’incipit di una delle famose barzellette dell’allora presidente del consiglio.
Oggi invece il divorzio fra Fede e Mediaset è una realtà, un dato di fatto incontrovertibile a cui dovremo abituarci. D’altronde la nota con cui l’azienda del Biscione ha annunciato l’allontanamento del direttore del Tg4 lascia poco spazio ai dubbi: “In una logica di rinnovamento editoriale della testata, cambia la direzione del Tg4”, spiega Mediaset nel comunicato diffuso nella serata di mercoledì 28 marzo, “Dopo una trattativa per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, non approdata a buon fine, Emilio Fede lascia l’azienda. Mediaset lo ringrazia per il lavoro svolto in tanti anni di collaborazione e per il contributo assicurato alla nascita dell’informazione del Gruppo. Giovanni Toti, direttore responsabile di Studio Aperto, è il nuovo direttore designato del Tg4”. Se non è proprio un licenziamento, gli somiglia parecchio. L’uscita di scena di Fede era nell’aria già da qualche mese, fin da quando, a ridosso delle dimissioni di Silvio Berlusconi da capo del Governo, dichiarò : “se Berlusconi lascia la politica, io lascio il Tg4”, tuttavia la notizia di mercoledì sera è arrivata come un fulmine a ciel sereno in casa Mediaset e ha sorpreso un po’ tutti.
Dai tempi degli scandali a base di festini e escort, i colpi, per l’ormai ex direttore del Tg4, si sono susseguiti con continuità, e la volontà di ridimensionarlo all’interno del Biscione si è fatta via via sempre più manifesta, vista anche l’età (81 anni a giugno). Tuttavia Fede liquidato, così su due piedi, dall’azienda di cui è uno degli uomini simbolo, sembrava uno scenario fantascientifico e nessuno ci avrebbe scommesso un soldo fino a ieri. Ma la trattativa sul rinnovo del contratto si è bruscamente interrotta, forse a causa dell’ultima vicenda di cui è stato protagonista l’ormai ex direttore del Tg4: quei 2,5 milioni di euro che lo stesso Fede avrebbe tentato di portare in Svizzera e la successiva accusa di complotto nei confronti di Mediaset. L’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso? Forse, ma la vicenda va certamente al di là delle dinamiche interne al Biscione: l’allontanamento di Fede dal Tg4 è un passaggio che rappresenta la fine di un’epoca come, e forse, ancor di più, le dimissioni di Berlusconi da Presidente del Consiglio nel mese di novembre.
Fede non è solo il direttore di un telegiornale, è l’uomo che ha creato, quasi dal nulla, l’informazione delle tv di Berlusconi. Tutto è iniziato nell’89, quando cominciò la carriera a Mediaset come direttore di Video News e successivamente di Studio Aperto. E’ stato il primo ad annunciare in diretta l’inizio della prima Guerra del Golfo nel 1991, proprio nel giorno della prima messa in onda su Canale 5 di Studio Aperto. Nel 1993 è approdato alla direzione del Tg4, dove è rimasto fino ad oggi. Se il potere di Berlusconi è nato, si è dispiegato e si è esercitato attraverso i media basandosi sull’uso dei mezzi di comunicazione e sopratutto della tv per ottenere e mantenere il consenso, allora Fede è stato il principale artefice e l’interprete perfetto di questo sistema.
La sua faziosità manifesta, prorompente, “senza se e senza ma”, ne hanno fatto un simbolo. Per alcuni il simbolo di un regime mediatico che ha falsificato la realtà di una nazione, per altri un simbolo di fedeltà politica, sicuramente il simbolo di un’epoca che ha caratterizzato l’Informazione nel nostro Paese e, di conseguenza, la politica.
Certamente coerente nella sua militanza politica, non ha mai nascosto la sua devozione totale verso l’uomo che ne ha fatto la fortuna: Silvio Berlusconi, di cui è stato il megafono televisivo per quasi un ventennio accompagnandolo durante tutta la sua parabola politica: dalla “discesa in campo” del 1994 fino alle dimissioni di novembre 2011. E della politica berlusconiana ha interpretato l’essenza, fatta di scontro frontale con l’avversario politico, di un uso tanto sapiente quanto adulterato delle parole, di confronto muscolare con quella parte del paese che dissentiva dalla visione del partito-azienda.
Ma Emilio Fede, come uomo dell’informazione, è stato anche lo specchio manifesto del tentativo di costruire una realtà parallela attraverso la tv. Se non fosse stato per la sua spudorata e sempre orgogliosamente rivendicata faziosità, così evidente nelle tante edizioni del Tg4 di questi anni, quanti di noi si sarebbero accorti di quello che le televisioni, e non solo quelle private, stavano facendo? Senza le palesi mistificazioni pro Silvio di Fede probabilmente il problema del conflitto di interessi e del monopolio delle tv sarebbe sfuggito ai più, mentre, in modo molto subdolo, i protagonisti dell’informazione, procedevano, dal piccolo schermo, ad adulterare la realtà o meglio si cimentavano nel creare una realtà completamente diversa dal reale, tesa a negare l’evidenza della vita di tutti i giorni e a creare un’immagine edulcorata di questo Paese.
Protagonisti e fautori di questa falsificazione quotidiana sono stati personaggi capaci di negare qualsiasi partigianeria di sorta, pronti ad agire solo per puro spirito di servilismo verso il padrone di turno. Emilio Fede almeno si è sempre dichiarato fedele (nome omen) nella buona e nella cattiva sorte. In questi anni il Tg4 è stato dunque il “punto cieco” da cui osservare il berlusconismo e riconoscerne i limiti, le contraddizioni e gli eccessi.
E’ notizia di queste ore la volontà di Fede di rimanere a Mediaset nonostante tutto, chiuso nel suo ufficio in attesa di nuove battaglie. Un po’ come quei soldati che rimangono a presidiare le loro postazioni sull’isola per anni dopo la fine della guerra. Probabilmente la guerra di Emilio Fede, nell’avamposto dell’informazione del Biscione, si è definitivamente conclusa. La nuova era politico-mediatica non ha più bisogno di quelli come lui. Il terremoto innescato dall’avvento del governo dei tecnici continua a produrre scosse di assestamento in tutta la società italiana. La televisione non poteva restare immune da questo cataclisma: la crisi di ascolti dei talk show, orfani degli scontri frontali e dei dibattiti da pollaio ne è un chiaro esempio. Venuto meno il bipolarismo militante, e lo scontro all’ultimo sangue, i kamikaze dell’informazione come Fede sono di colpo divenuti dei reperti postbellici da disinnescare al più presto. A Mediaset, e nel partito-azienda dell’uomo che attraverso la comunicazione ha conquistato prima culturalmente e poi politicamente il Paese, la situazione è stata compresa benissimo e Emilio Fede è diventato, probabilmente, la vittima sacrificale da immolare sull’altare della nuova era.
Il berlusconismo come lo abbiamo conosciuto fino ad ora, come è stato incarnato da personaggi come Lele Mora per lo spettacolo, e Fede per l’informazione, oggi non esiste più e, probabilmente non esisterà in futuro. I tempi sono cambiati, sospinti dall’onda dello spread e della recessione. In perfetto accordo con il nuovo “spirito del tempo”, fatto di coalizioni di governo con il centro-sinistra, clima di unità nazionale all’insegna della crisi economica e conseguente sobrietà su tutti i fronti, non c’è più spazio per personaggi come Fede che hanno fatto dello scontro con l’avversario e della poca sobrietà uno stile di vita. Accortamente, o astutamente, a seconda dei punti di vista, il grande capo, Silvio Berlusconi, è riuscito a sganciarsi un attimo prima che tutto crollasse, pronto a intraprendere la strada della responsabilità, e persino della sobrietà come richiesto dalla situazione.
Certo il Cavaliere non è più quello degli anni “ruggenti” a palazzo Chigi, niente più deliri di onnipotenza e sindromi da accerchiamento per mobilitare permanentemente tutti contro tutti. Nell’Italia del dopo Monti probabilmente il bipolarismo e i partiti come li abbiamo conosciuti nella seconda Repubblica non esisteranno più. Ci sarà invece ancora Berlusconi, che in Parlamento è il principale azionista del governo Monti. Nell’Italia post-Monti si presenterà però nella versione dello Statista che ha contribuito a salvare la patria con la responsabilità e non più dell’uomo pronto a spaccare il Paese.
Per quel momento sarà già pronta una nuova macchina del consenso, in sintonia con il nuovo sentire degli italiani e gran parte della corte che ha accompagnato il Cavaliere in questi anni di duelli mediatici e politici all’ultimo sangue sarà, si spera, accantonata definitivamente come oggi avviene con il direttore del Tg4. E’ proprio il caso di dirlo, da oggi in poi il berlusconismo non sarà più una questione di Fede.