Questa è l’eterna storia del pagliaccio triste, del giullare di corte incapace di far ridere. Proprio lui, Emilio Fede. Nel 1964 sposa la figlia del vicepresidente RAI e come ricompensa viene spedito in Africa per otto anni a spese dei contribuenti. Scartato dall’università dei clown, per colmare il suo desiderio di suscitare riso isterico, dapprima si candida nelle liste del PSDI e poi entra in Mediaset.

In una folle serata al bar sport di Canicattì gioca a rubamazzo con Pupo e perde metà del patrimonio conquistato in anni di uova marce in faccia. Ma i tempi cambiano e al solito burlone dal naso rosso si preferiscono altri svaghi. Ed è così che Emilio recluta donnine allegre per la classe dirigente, ormai stufa delle sue barzellette antiquate.

Viene intercettato dalla polizia e sulla medaglietta che porta attaccata al collare c’è scritto il numero di Berlusconi. Per chiunque altro sarebbe finita lì, in galera e fine. Ma l’allegro intrattenitore del TG4 non si dispera, fa lo slalom tra le multe per violazione della par-condicio e si barrica nel suo ufficio prima della gag finale con calcio in culo. La pensione di 20mila euro netti al mese fa gridare allo scandalo, per lui sono troppo pochi. Opta quindi per la soluzione più pratica, il rilancio in grande stile nel circo dei professionisti del parlamento. Scende in politica con il suo partito “Vogliamo Vivere”, in diretta opposizione alla Santanché. L’alleanza tra buffoni e puttane è stata spezzata, la scelta ora è agli elettori.

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