Dopo le elezioni in Israele hanno tenuto banco in questi giorni in Medio Oriente quelle in Giordania, mentre i palestinesi sono impegnati nella formazione del nuovo governo di unità nazionale, per arrivare a tenere le loro nei prossimi mesi.
E’ questo il quadro politico della settimana nella regione mediorientale. Le ultime notizie arrivano da Amman dove alle 20 orario locale, le 18 in Italia, del 23 gennaio si sono chiusi i seggi e dove il numero di elettori ha superato il 56 percento, così come sperato dalla casa reale di Amman. Erano circa 2,2 milioni le persone, metà delle quali donne, attese al voto per eleggere 150 deputati della 17ma legislatura tra 606 candidati in collegi uninominali e 819 candidati in quota proporzionale divisi in 61 liste. Per la prima volta nella storia le elezioni legislative giordane si sono svolte sotto lo sguardo attento di 8 mila osservatori dispiegati da una Commissione elettorale indipendente. Nonostante il dato dell’affluenza al voto sembra essere il più importante a causa del boicottaggio annunciato da parte dei Fratelli Musulmani.
Alla vigilia di questa difficile prova, il governo giordano ha lanciato un “piano strategico nazionale per combattere la povertà”. Il governo di Amman ha giocato l’ultima carta nelle sue mani approvando un piano per il periodo 2013-2020 nel corso della riunione del Consiglio economico e sociale che si è tenuta nella capitale giordana. Nel suo intervento per lanciare il piano, il ministro per lo Sviluppo sociale, Wajih Azaizah, ha detto che la strategia del governo mira a ridurre la percentuale di povertà nel paese, portandola al 6 per cento. La prossima settimana saranno decise le modalità di esecuzione di questo piano che prevede l’allargamento dell’assistenza sociale e il miglioramento dei servizi offerti alle fase più deboli del paese.
Nonostante questo in avvio della giornata del voto le notizie che arrivavano dai seggi non erano rassicuranti per il re Abdullah II. A due ore dall’apertura dei seggi l’affluenza al voto era del 12 per cento. Lo ha annunciato il presidente del comitato elettorale indipendente, Abdel Ilah al Khatib, al sito del quotidiano giordano “al Ghad“. E’ poi salita al 35,7 percento nel secondo rilevamento delle 15 ora locale (le 13 in Italia), quando erano 811.310 gli elettori che si sono recati alle urne. Il portavoce della commissione elettorale indipendente, Hussein Bani Hani, ha calcolato circa mille elettori al minuto. E’ stata alta l’affluenza nelle aree tribali come nel nord a Mafraq, dove è stata del 50 per cento, ma anche a Karak e Muan con il 48 per cento, e nelle aree dove sono presenti i beduini con il 45 per cento. Sono stati invece vuoti i seggi nelle aree dove è forte la presenza dei gruppi islamici. Ad Amman l’affluenza è stata del 25 per cento come ad Aqaba, mentre è stata molto bassa anche a Zarqa, città sede dei gruppi salafiti e che ha dato i natali al fondatore di al Qaeda in Iraq, Abu Musab al Zarqawi, con il 27 per cento.
I Fratelli Musulmani giordani contestano però i dati dell’affluenza alle urne forniti dal comitato elettorale indipendente per le elezioni legislative in Giordania. Il gruppo islamico afferma in una nota che “sono falsi” i dati secondo i quali alle 15 ora locale, le 13 in Italia, si erano recati alle urne il 35,7 per cento degli aventi diritto. “L’affluenza è stata molto più bassa – si legge – alle 15 ad Amman, Irbid e Zarqa non ha votato più del 12 per cento degli aventi diritto e nelle altre province non hanno votato più del 25 per cento. In base ai nostri dati, l’affluenza è complessivamente del 16,7 per cento in tutto il regno”. Gli islamici denunciano poi “evidenti abusi commessi in numerosi seggi con una palese compravendita di voti, con procedure di voto che si sono svolte in modo pubblico senza alcuna segretezza e false informazioni sull’affluenza che giungono alla sede del comitato elettorale”. Per gli osservatori giordani, quella di oggi è una sfida tra la casa reale e i Fratelli Musulmani che si basa sull’affluenza alle urne.
Per questo i Fratelli Musulmani giordani hanno convocato per venerdì prossimo una serie di manifestazioni nelle principali città della Giordania contro il nuovo parlamento, che uscirà dalle elezioni di oggi. Un esponente del gruppo islamico, Majid Siri, intervistato dall’emittente televisiva libanese “al Maiadin“, ha confermato che “a prescindere dal risultato del voto noi saremo in piazza contro il parlamento della 17ima legislatura perché non rileviamo nelle istituzioni giordane la volontà di riformarsi in senso democratico”. Il rappresentante dei Fratelli Musulmani sostiene che “la democrazia non si esprime solo attraverso il voto, sono necessarie prima una serie di riforme che in questo paese non sono state fatte. Non dimentichiamoci la storia, anche Adolf Hitler in Germania è andato al potere tramite il voto”.
Intanto il mondo della politica araba è in attesa di cambiamenti anche nei vicini territori palestinesi. Il primo evento che potrebbe rappresentare una svolta per lo stato di divisione tra le fazioni palestinesi è rappresentato dall’attesa visita del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, nella striscia di Gaza. Secondo quanto ha rivelato il dirigente di al Fatah, Zakkaria al Agha, al quotidiano palestinese “al Risala“, questa visita avverrà il mese prossimo. Il leader dell’Anp sarà nella striscia palestinese, prima volta da quando nel 2007 Hamas ha assunto il potere dell’enclave. L’annuncio della visita di Abbas giunge in concomitanza con le consultazioni per la formazione del nuovo governo che inizieranno lunedì prossimo. Il quotidiano, considerato vicino ad Hamas, spiega che “Abbas ha molta voglia di visitare Gaza e si prevede che lo farà dopo la nascita del governo degli indipendenti, il 9 febbraio, avendo già avuto il via libera di Hamas”.
Questo nuovo governo non vedrà tra i suoi ministri esponenti dei due principali partiti palestinesi. I palestinesi guardano anche ai risultati delle elezioni che si sono svolte in Israele, risultati che a loro dire “hanno subìto l’influenza della nostra vittoria nella guerra su Gaza”. E’ questo il commento del portavoce del gruppo palestinese di Hamas, Sami Abu Zuhri, alle elezioni politiche che si sono svolte nello Stato ebraico. “Il fatto che il premier Benjamin Netanyahu abbia ottenuto meno voti rispetto alle elezioni precedenti – ha affermato – è dovuto al fallimento della sua guerra su Gaza”. La sua formazione Likud-Beiteinu ha infatti perso 11 seggi. “Nonostante sia cambiata la mappa dei partiti sionisti – ha aggiunto l’esponente islamico – il programma elettorale di questa coalizione è favorevole alla guerra contro il nostro popolo violando i nostri diritti”.
Intanto il capo dei negoziatori palestinesi, Saeb Erekat, ha affermato che per risolvere il conflitto arabo israeliano la “soluzione dei due Stati” rimane la migliore, a prescindere dal risultato delle elezioni in Israele. Erekat ha spiegato al giornale arabo “al Quds al Arabi” che l’esito del voto di ieri delle consultazioni legislative israeliane è una questione prettamente locale e che, di conseguenza, qualsiasi governo che uscirà da queste elezioni dovrà mettere in atto la “soluzione dei due Stati” se vorrà realmente perseguire la pace. La posizione di Hamas rimane, però, differente. Il gruppo islamico palestinese ieri ha chiesto l’adozione di una “strategia unificata” per far fronte “all’estremismo sionista”. Lo ha fatto per bocca di Ismail Haniyeh, capo del suo governo a Gaza, il quale, in una conferenza stampa, ha invitato “palestinesi, arabi e musulmani” a prepararsi a far fronte a un governo israeliano più estremista che rischia di nascere dopo queste ultime elezioni.
I risultati delle elezioni israeliane “segnano però l’addio agli accordi di Oslo e alla soluzione dei due stati in Medio Oriente”. E’ questa l’analisi del quotidiano “al Quds al Arabi” sul voto in Israele. “Non vogliamo discutere delle elezioni parlamentari che sono state le più noiose della storia ma del risultato che è molto pericoloso per Israele e l’intero Medio Oriente”, si legge in un editoriale. “Quando diciamo che sono state noiose – prosegue il quotidiano – ci riferiamo al fatto che il risultato era dato già per scontato, non ci sono state sorprese o cambiamenti politici. Benjamin Netaniyahu e la sua alleanza sono i vincitori. La lotta in queste elezioni era tra la destra estremista e la destra ancora più estremista”. In realtà, con il 99,8 per cento dei voti scrutinati, in Israele si profila un perfetto pareggio tra i partiti di centrodestra e quelli di centrosinistra.