Le elezioni amministrative bosniache hanno confermato in sella chi già amministrava prima. Nulla di fatto, dunque, e un’altra occasione sprecata per mandare a casa ladri, corrotti e incapaci di tutti e tre i partiti nazionalisti. A candidarsi per questa tornata erano stati oltre tremila aspiranti amministratori, appartenenti a un’ottantina di partiti. Un’aberrazione per un Paese in cui sono state chiamate alle urne solo 3,2 milioni di persone. La maggioranza delle quali non è andata a votare, poiché il 44 per cento degli aventi diritto ha deciso di restare a casa domenica 7 ottobre, lanciando un messaggio chiarissimo alla politica. Messaggio che, come in tutti i Paesi del mondo, non sarà naturalmente colto, poiché l’obiettivo dei nazionalisti bosniaci delle tre parti non è quello di riavvicinare il Paese alla politica ma quello di papparsi il Paese tenendo più lontani possibile i cittadini dalla politica. Anzi, la stampa internazionale ha fatto la fila per “bersi” e diffondere la velina del potere bosniaco per la quale l’affluenza alle urne sarebbe addirittura superiore a quella della tornata amministrativa precedente, essendo passata dal 55 al 56 per cento. Davvero un dato significativo su una popolazione di dimensioni così limitate… senza contare che una parte dei voti sono stati espressi per corrispondenza dall’estero, e quindi sono difficilmente controllabili in sede di spoglio.
È vero che il tasso di astensionismo è alto ormai in tutte le democrazie cosiddette occidentali, ma la Bosnia non è certamente classificabile come tale, al livello magari degli Stati Uniti. La Bosnia è anzi una “democrazia giovane”, in cui normalmente il tasso di partecipazione al voto dovrebbe essere molto alto. Invece… Il tasso di astensionismo è un sintomo chiarissimo di disaffezione e di sfiducia e la percentuale sarebbe stata molto più alta se in alcune città, come Visoko (dove tanto – e inutilmente – si è parlato della neoeletta sindaco musulmana Amra Babic, la prima donna sindaco con la hijab, o velo, della Bosnia) e Srebrenica, la chiamata alle urne non avesse assunto i toni di una specie di assurda crociata per tutte le parti coinvolte.
Nessuno dei partiti nazionalisti ha ricevuto 1.400.000 voti puliti, pari al numero di bosniaci che non è andato a votare a queste amministrative. Questo è il dato più significativo di questa tornata elettorale, che allontana sempre di più i bosniaci dalla politica e la Bosnia dall’Europa. I posti che dovevano essere assegnati ai raccomandati sono stati assegnati, ancora una volta la missione è stata condotta a termine e i soldi dei cittadini per i prossimi cinque anni potranno essere dragati nelle tasche di quelli che, in nome del partito, una poltrona la devono avere per forza. Facile ora dare la colpa alla legge elettorale e alla frammentazione, entrambe figlie della volontà dei partiti nazionalisti, che potrebbero in qualsiasi momento, numeri alla mano e magari con l’aiuto dei deludenti socialdemocratici, mettere mano alla legge elettorale e approvarne una nuova di pacca, più funzionale, meno dispendiosa e capace di cambiare finalmente il volto del Paese in bene. Ma perché i nazionalisti dovrebbero suicidarsi?
Il secondo dato significativo di questa tornata elettorale amministrativa è stato la lentezza, a tratti sospetta, degli spogli. Troppo tempo, davvero, per conteggiare così pochi voti. Troppo tempo per una democrazia presunta o di facciata. Il che equivale a troppi sospetti.
Il terzo dato è che non è cambiato niente. E questo è l’aspetto più preoccupante, poiché l’immobilismo politico di un Paese terribilmente corrotto e litigioso – e in bancarotta – rischia di precipitare definitivamente la Bosnia nel baratro della crisi economica. Quest’ultima non è detto che non faccia comodo a chi, come i nazionalisti serbo-bosniaci e quelli croato-bosniaci, da anni sostiene che il Paese non abbia futuro, motivando così la loro volontà di prendere altre strade. È evidente che non è la Bosnia a non avere chance per andare avanti ma sono i politicanti nazionalisti bosniaci ad adoperarsi da anni affinché il Paese non possa camminare con le sue gambe. Non è esattamente la stessa cosa, anzi è molto diverso, decisamente diverso.
Un ultimo dato va sottolineato, in chiusura, ma in realtà si tratta del dato più rilevante: le elezioni amministrative bosniache del 2012 sono coincise con la chiusura di tutta una serie di musei e centri culturali che non hanno più ricevuto finanziamenti per il veto incrociato dei partiti nazionalisti in parlamento. I sacrifici, pagati in guerra col sangue e nel dopoguerra con ritardi mostruosi nel pagamento degli stipendi, di tanti uomini e donne per salvare il patrimonio culturale nazionale sono definitivamente naufragati e simbolo ne è la chiusura con due assi incrociate e inchiodate di molte porte di quelli che una volta erano musei. Per i nazionalisti – figli e figliocci di quelli che hanno bruciato i libri durante la guerra – questa è senz’altro una nuova vigliacca medaglia da appuntarsi al bavero della giacca, perché la cultura è uno degli elementi unitari e identitari basilari per permettere ai bosniaci di dichiararsi tali; per i cittadini normali si tratta di un’onta durissima da lavare, di una vergogna nazionale, di un calcio in faccia alla speranza di un futuro migliore per la quale in tanti hanno lottato e in molti sono anche morti. Questa è forse la vergogna più grande dei nazionalisti bosniaci, a parte il fatto che stanno devastando economicamente il Paese: stanno prosciugando le energie di tutti con vigliaccate d’ogni genere per perseguire i loro obiettivi di appropriazione, divisione e potere. E chi non se ne accorge e non lo denuncia, fa semplicemente il loro gioco.
Ma in tutto questo, non dimentichiamo che siamo terribilmente vicini, e che italiani e bosniaci non sono poi così differenti. La domanda finale allora è: in questo sfacelo bosniaco che sa di sfacelo italiano, e viceversa, quanto veramente è lontana l’Italia dell’ultimo ventennio da un nero futuro come quello che i nazionalisti stanno costruendo, tassello su tassello, per la Bosnia?