Per chi è stanco degli interminabili dibattiti sugli 80 euro di Renzi, delle lunghe dirette dalla clinica di Cesano Boscone alla ricerca di qualche foto dell’ex Cavaliere alle prese con gli anziani o delle sfuriate, a pagamento, di Beppe Grillo nelle piazze di mezz’Italia, c’è una buona notizia: la campagna elettorale per le europee 2014 è quasi finita.
Soltanto pochi giorni ci separano ormai dalle urne comunitarie. Al di là del solito teatrino politico-mediatico nostrano resta però da capire se vale o no la pena andare a votare per una tornata elettorale solitamente considerata ininfluente per le dinamiche politiche dei Paesi membri. Fatta eccezione per l’Italia, dove i Governi hanno bisogno di conferme anche dal voto dell’assemblea di condominio, in gran parte dell’unione le Elezioni europee sono percepite solo come un modo per sfogare la rabbia dell’elettorato che poi, alle elezioni nazionali, vota in modo del tutto diverso considerando il voto utile per il governo del Paese. Ironia a parte questa dinamica si verifica anche nel nostro Paese dove di solito le elezioni europee sono disertate dalla gran parte degli aventi diritto proprio perché considerate pressoché inutili. In effetti il Parlamento europeo, l’organo che saremo chiamati a rinnovare con il voto del 25 maggio, non ha mai avuto grandi poteri, almeno fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009.
Perché votare?
Il Parlamento europeo è l’organo legislativo dell’Unione che agisce, di concerto con il Consiglio europeo, per scrivere le leggi. Dal 2009, dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il suo contributo alle leggi europee è aumentato in maniera decisiva arrivando a determinare il 70% della legislazione comunitaria e, considerando che ha anche il potere di determinare lo stanziamento dei fondi europei, questa volta potrebbe non essere del tutto inutile decidere chi mandare in Europa. Un’altra novità importante che caratterizzerà il nuovo Parlamento sarà la possibilità di incidere sulla formazione della Commissione europea, ovvero dell’organo di governo esecutivo dell’UE. Dopo le elezioni del 25 maggio si inizierà a costituire la Commissione che di solito è formata da persone nominate dai vari governi nazionali, questa volta però la Commissione dovrà passare al vaglio del neoeletto Parlamento europeo che potrà approvare o meno la nomina dei singoli membri all’interno della stessa . A differenza di quanto avveniva nelle scorse legislature europee, da quest’anno il risultato delle elezioni dovrà essere determinante per formare la Commissione. Secondo molti questo vuol dire che il presidente del futuro governo dell’U.E. dovrà essere un rappresentante del partito che ha preso più voti alle elezioni del 22-25 maggio. A quanto pare i cittadini dell’Unione avranno, questa volta, un po’ di potere decisionale in più rispetto al passato tuttavia i partiti europei e i rispettivi candidati alla presidenza sembra siano ancora avvolti da una fitta coltre di nebbia, almeno in Italia. I futuri parlamentari saranno liberi di aderire o meno a un partito europeo dopo essere stati eletti e, se lo vorranno, potranno scegliere fra 7 gruppi: Partito popolare europeo (Ppe), Socialisti (S&d), Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa (Alde), Verdi europei – Alleanza libera europea (G/Efa), Conservatori e riformisti europei (Ecr), Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica (Gue/Ngl) e l’Europa della libertà e della democrazia (Efd). Fino ad oggi il Parlamento è sempre stato diretto dai due raggruppamenti più consistenti ovvero il Partito popolare europeo (di cui fanno parte sia la Merkel che Forza Italia) e il Partito socialista (gruppo ha cui ha di recente aderito il Pd). Questi due grandi raggruppamenti, eredi delle due principali famiglie politiche europee, sono sempre riusciti, fino ad oggi, a trovare un accordo in Parlamento e ad alternarsi alla presidenza della Commissione europea. Con l’entrata in vigore delle nuove norme e con l’avvento di nuove forze politiche gli equilibri, che fin qui hanno retto l’europarlamento, potrebbero cambiare. Purtroppo però, la campagna elettorale dei candidati alla presidenza Ue non sta avendo molta fortuna perché, fondamentalmente, non li conosce quasi nessuno. A parte il solito Schulz che in Italia abbiamo imparato a conoscere per i siparietti europei con Berlusconi e il giovane Tsipras, assurto a controverso salvatore della patria per la malconcia sinistra extraparlamentare nostrana, nessuno degli altri candidati è noto al pubblico italiano. Per chi fosse curioso di saperlo gli altri candidati sono Jean-Claude Juncker dei popolari, dell’ex premier belga Guy Verhofstadt (Alde) e della e la giovane tedesca Ska Keller dei verdi che per l’occasione si presenta in coppia con il francese José Bové.
L’Europa e la democrazia che (ancora) non c’è
Non resta dunque che attendere la chiusura dei seggi nella serata di domenica 25 maggio per scoprire quali saranno i nuovi equilibri europei. Comunque vada a finire si tratterà soltanto di un altro tassello di una costruzione che potrebbe richiedere ancora decenni: l’edificazione di un’Europa realmente democratica. Come dimostrano le voci, sempre più insistenti, di complotti e pressioni per condizionare i governi di Italia e Grecia durante la crisi dell’euro del 2011, l’Europa di oggi è ben lontana da questi traguardo. La risposta alla mancanza di democrazia non può essere però l’uscita dei singoli stati dall’Unione ma, piuttosto, l’accelerazione verso un obiettivo di non facile attuazione: la trasformazione dell’Ue in una federazione di Stati, con un potere centrale unico e forte, eletto dai cittadini. Pura fantascienza se si pensa, ad esempio, che il Parlamento europeo ha oggi ben due sedi e deve spostarsi, per legge, più volte all’anno da Bruxelles a Strasburgo perché la Francia ha posto il veto sull’abolizione della sede di Strasburgo. È evidente che in una situazione del genere, in cui ogni nazione può, da sola, bloccare i progetti di buon senso per i propri interessi particolaristici, le lobby economiche la fanno da padrone riuscendo a piegare l’Europa alla loro volontà, a discapito degli interessi dei cittadini.
Stati Uniti d’Europa : missione impossibile?
La recente storia, politico-economica, del Vecchio continente sarebbe ben diversa se esistesse un vero governo centrale, le cui disposizioni nelle materie più importanti come fiscalità, bilancio e politica estera, valessero su tutto il territorio e si imponessero sui singoli Stati e sui loro interessi localistici. Si tratterebbe di dar vita, in pratica, ai famosi Stati uniti d’Europa di cui ogni tanto si sente parlare. Il modello è ovviamente quello degli Stati Uniti d’America. Non tutti sanno che, subito dopo la dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776, gli Stati americani non diedero vita subito alla federazione che conosciamo oggi bensì ad si unirono in una confederazione di Stati autonomi. Al Congresso, ovvero all’organo di governo centrale, vennero delegati solo la difesa e la politica estera, tutte le altre materie rimasero appannaggio dei singoli Stati che avevano così legislazioni diverse a seconda dei territori. Se alcuni protagonisti politici del tempo erano gelosi dell’indipendenza del proprio Stato, molti altri compresero che il solo modo per far decollare gli U.S.A sul piano internazionale era dotarsi di un forte governo centrale in grado di conciliare gli interessi dei singoli Stati con quello generale della Nazione. Il dibattito che ne seguì fu molto acceso ma durò solo pochi anni, nel 1971 infatti fu varata la Costituzione che rimase “aperta” ai nuovi emendamenti che venero aggiunti nel tempo. L’Europa di oggi è, proprio come l’unione dei primi Stati americani, una confederazione formata da Paesi indipendenti ma, è questa è l’anomalia, che condividono la stessa moneta. Il passaggio successivo, senza il quale difficilmente l’UE potrà rilanciarsi, è passare al modello federativo caratterizzato da un organo centrale capace di prendere decisioni indipendenti dal parere dei singoli Stati, almeno in campi fondamentali come la politica estera e la fiscalità. Ma se gli Usa impiegarono pochi anni, dopo la rivoluzione, a trasformarsi da confederazione di Stati in federazione, per l’Europa il cammino si prospetta ben più lungo: la storia millenaria del Vecchio continente e delle sue identità nazionali porta con sé luci ed ombre, vecchi rancori mai sopiti e pregiudizi duri a morire. Ancora oggi i rapporti, spesso tutt’altro che facili, fra gli Stati dell’UE sono influenzati da questo retroterra storico culturale decisamente stratificato. Gli USA partirono quasi da zero dando vita a una nazione giovane che riuscì a asciarsi alle spalle l’eco delle lotte politiche, religiose e feudali che ancora oggi, a volte, condizionano noi europei nelle nostre dispute continentali.