Il presidente egiziano Mohammed Morsi, il primo e unico presidente islamico e non militare della storia dell’Egitto, è stato deposto mercoledì scorso dall’esercito egiziano che alle 19 lo ha tratto in arresto comunicandogli di non essere più il capo di Stato.
E’ questo l’epilogo della crisi iniziata in concomitanza con la vittoria di Morsi alle elezioni presidenziali dello scorso anno e terminata domenica 30 giugno con una grande mobilitazione, la più grande della storia del paese, organizzata dall’opposizione e promossa dal movimento “Tamarod” per ottenere la fine dell’era dei Fratelli musulmani al potere. Dopo infatti 80 anni di attesa, è durato solo un anno il sogno degli islamici al potere in Egitto, paese considerato centrale per il mondo arabo e musulmano.
Il nuovo corso dell’Egitto è stato deciso ancora una volta da un militare, il nuovo uomo forte Abdel Fattah el Sissi. Il generale, a capo delle forze armate, ha annunciato mercoledì sera con un comunicato alla nazione che il nuovo presidente pro tempore è il capo della Corte costituzionale, Adly Mansour, il quale formerà un nuovo governo di salvezza nazionale e fisserà la data per le nuove elezioni politiche e presidenziali. Secondo quanto ha spiegato l’editorialista del quotidiano “Asharq al Awsat”, Abdel Rahman Rashed, nel suo intervento “questa volta i Fratelli musulmani hanno perso un’occasione storica in Egitto che gli ricapiterà solo tra altri 80 anni. Ancora una volta il movimento è stato vittima dell’ala più oltranzista”. L’analista spiega infatti che a livello mondiale i Fratelli musulmani sono divisi tra falchi e colombe. “In questa crisi i falchi si sono imposti – ha aggiunto – convincendo Morsi a tenere duro fino alla fine, senza fare mai concessioni all’opposizione”. Questa analisi viene confermata anche da uno dei leader mondiali dei Fratelli musulmani, Rachid Ghannouchi, il quale ha rivelato di “aver invitato Morsi a cedere e a proclamare le elezioni anticipate. In caso di vittoria sarebbe stato inamovibile”.
Invece i Fratelli musulmani egiziani non hanno partecipato alla riunione con tutte le forze politiche organizzata da el Sissi mentre Morsi ha diffuso alla scadenza dell’ultimatum dei militari un comunicato nel quale li accusava di “aver commesso un errore schierandosi con una parte in campo” e ha chiesto che “la annunciata road map per il futuro non uscisse fuori dal quadro di legittimità costituzionale”. La parola “legittimità” usata per definire la sua presidenza è stata ripetuta ossessivamente nel suo ultimo messaggio per ben 65 volte. Ma a poco è servito considerato che il futuro del paese si basa ora sul piano che i militari hanno presentato agli egiziani.
Il primo punto prevede il congelamento dell’attuale costituzione, approvata da una maggioranza di costituenti scelti dai Fratelli musulmani e dagli altri gruppi islamici. Il secondo la nomina di un gruppo di esperti che dovranno redigere la nuova carta costituzionale, la quale dovrà contenere le richieste avanzate dalle diverse componenti del popolo egiziano. Si passerà poi all’approvazione della Costituzione mediante un referendum, dopo il via libera dell’università islamica di al Azhar.
E’ prevista la formazione di un governo transitorio che non sarà legato ad alcun partito politico e sarà presieduto da un esponente dei vertici militari. Successivamente, saranno indette elezioni presidenziali e parlamentari in base alle norme della nuova Costituzione approvata in questa fase transitoria.
Per timore che l’applicazione di questo programma scateni la rabbia degli islamici, i militari egiziani hanno predisposto un piano per mettere in sicurezza il paese. Si temevano, infatti, violenti scontri tra i militanti islamici dei Fratelli musulmani e quelli dell’opposizione. Scontri che nelle ore successive all’arresto di Morsi hanno provocato 14 morti ma che non si sono estesi fino ai giorni successivi. Questo perché i militari hanno messo sotto controllo tutti i depositi di armi che potevano essere assaltati dai militanti islamici. E’ scattato inoltre il piano che prevedeva la possibilità di mettere agli arresti domiciliari i capi dei gruppi islamici che si sono rifiutati di accettare la road map, così come sono stati bloccati i canali di finanziamento dei Fratelli musulmani. Secondo quanto riferisce una fonte bene informata al quotidiano egiziano “al Ahram”, è stato ordinato ai militari di usare il pugno duro contro chi resisterà al loro piano e di metterlo agli arresti domiciliari.
I militari hanno subito previsto che la road map avrebbe goduto di un forte sostegno internazionale, così come si prevedeva che i manifestanti avrebbero accolto favorevolmente le scelte dei militari. Importanti paesi del mondo arabo, come Arabia Saudita, Marocco e Kuwait, hanno inviato messaggi di apprezzamento per il nuovo corso egiziano. Sostegno è giunto anche dal Qatar, principale sponsor dei Fratelli musulmani, che in una nota del nuovo emiro Tamim ha fatto sapere che avrebbe rispettato la volontà del popolo egiziano. Analoga la posizione dell’Iran così come quella della Lega Araba. Unica voce fuori dal coro sono stati i dirigenti del partito islamico di Ennahda tunisino, i quali hanno parlato di golpe.
I temi usati dagli islamici tunisini sono stati gli stessi usati mercoledì scorso dai Fratelli musulmani in Egitto. In questo quadro il ministro dell’Interno egiziano, Mohammed Ibrahim, ha ordinato agli ufficiali della polizia di arrestare alcuni capi dei Fratelli musulmani e di altri gruppi politici islamici salafiti con l’accusa di aver istigato in questi giorni alla violenza e allo scontro tra fronti contrapposti. Ibrahim insieme al capo delle forze armate Abdel Fattah el Sissi non aveva partecipato all’ultima riunione del Consiglio dei ministri convocata dal premier islamico Hesham Kandil. Tra le persone arrestate figurano: Hazem Salah Abu Ismayl, ex candidato per le presidenziali escluso dalle elezioni, Tareq Zamer, presidente del partito di Costruzione e Sviluppo, Mamdouh Ismayl, vice presidente del partito della Tradizione, Safwat Hijazi, predicatore salafita, Mohammed al Amda, ex deputato dei Fratelli musulmani e Khaled Abdullah, presentatore del canale televisivo “al Nas”.
Il timore è che i gruppi islamici possano far scoppiare la guerra civile nel paese per difendere Morsi, ormai agli arresti in una caserma dell’esercito insieme ai suoi collaboratori e ai vertici del suo partito. Questo perché è stato di 37 morti e mille feriti il bilancio delle vittime degli scontri tra i suoi sostenitori e i militanti dell’opposizione in Egitto nei giorni precedenti al golpe dei militari. Buona parte delle vittime, 22 morti, sono quelle registrate negli scontri avvenuti di fronte alla sede dell’università del Cairo, dove gruppi di oppositori hanno attaccato i militanti dei Fratelli musulmani che si erano radunati davanti all’ateneo.