Il termine viene utilizzato nell’ultimo periodo per descrivere la “trasmissione” dei pericoli derivanti dalle tensioni sui debiti sovrani tra un paese e l’altro.
Il meccanismo di propagazione del rischio di fallimento di uno Stato è fondato sullo studio dei conti pubblici nazionali, sottoposti al continuo monitoraggio degli analisti finanziari di agenzie di rating e grandi istituti bancari. L’obiettivo di queste figure è di anticipare gli scenari futuri, nel tentativo di trovare un equilibrio tra volumi di investimento (quantità di titoli acquistati) presso un determinato paese e capacità di rimborso prevista durante un certo periodo di tempo. Le aspettative così formate determinano i tassi d’interesse, derivanti sia dalle aste di titoli sia dal mercato secondario, ovvero dallo scambio di titoli già emessi.
Nell’area Euro, tuttavia, esistono altri fattori che influenzano questo processo: la moneta unica e la libera circolazione dei capitali hanno portato alla piena integrazione dei mercati finanziari, per cui i possessori di titoli risiedono in paesi differenti. Quando il rischio aumenta in un paese, come accaduto in Grecia, questo si propaga alle banche che ne possiedono i bond, in tal caso principalmente europee, poiché un eventuale fallimento ne riduce la liquidità. L’assunto fondamentale è che uno Stato, in caso di default bancario, è costretto ad intervenire per salvare le banche, non potendo permettere il tracollo dell’intero sistema. Per fare ciò un governo deve indebitarsi, peggiorando la propria posizione finanziaria: il caso più recente è quello irlandese, dove la nazionalizzazione delle banche ha fatto quadruplicare il debito pubblico. Tenendo conto di tali ipotesi, i mercati si muovono per coprirsi da rischi eventuali, chiedendo tassi d’interesse maggiori sui titoli dei paesi più indebitati, anche quando questi attuano politiche di aggiustamento dei conti pubblici.
L’effetto contagio, attivato dunque da previsioni su scenari futuri, può essere contrastato attraverso l’offerta di una copertura dei titoli a rischio. Negli Stati Uniti questo ruolo è svolto dalla banca centrale (Federal Reserve), che agisce da prestatore di ultima istanza: quando i tassi di mercato crescono troppo e cala la domanda, la FED acquista titoli al fine di riportare l’equilibrio. Tale funzione è svolta invece solo in parte dalla BCE, in quanto contrastante con l’obiettivo primario del controllo dell’inflazione. Alternativamente si può predisporre un fondo di garanzia sui titoli, quale l’ESM messo a punto in Europa, da attivare in caso di necessità.(luigi borrelli)