Si annusava forte e chiaro in giro, ma tutti continuavano a ostentare sicurezza. Era dal 2011 che se ne parlava e qualcuno era persino arrivato a sostenere: “Ragazzi, forse stampiamo troppo e male ed è ora di ridurre la quantità di libri che immettiamo ogni anno sul mercato e di far schizzare in alto la qualità”. E invece niente. Poi è arrivata la crisi dei giornali.
In Spagna – dove il 30 per cento dei giornalisti rischia di restare a spasso – prima che da noi. Ma ormai anche qui in Italia – come paventato dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) – i gruppi editoriali chiudono, i ricavi pubblicitari crollano e le testate minori boccheggiano e muoiono. Se ne accorgono bene gli editori di libri, subissati da offerte di spazi pubblicitari sui giornali. Ma se si vendono sempre meno giornali, che senso ha spendere per acquistarvi spazi pubblicitari? E poi, con quali soldi? Perché anche l’editoria libraria sta conoscendo una crisi non indifferente. Cominciata, anche questa, nel 2011 e ormai matura, tremendamente matura, come raccontano i dati. Dati ufficiosi, per carità, che non girano se non “nell’ambiente”. Ma siccome nell’ambiente ci vivo, mi fa “piacere” tra molte virgolette darveli. Si parla, ebbene, di una contrazione del mercato del libro – nella prima metà del 2012 – di oltre il 10% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nomi non se ne possono fare perché i dati non hanno il crisma dell’ufficialità, ma i grandi gruppi accusano perdite che oscillano tra il 12 e il 16%, con alcune case editrici storiche che stanno perdendo un terzo e oltre rispetto al 2011: 35% e più!
Il punto è che per 18-24 mesi ci siamo tutti cullati nella speranza che il libro fosse diventato il “bene rifugio” degli italiani, come reazione alla crisi. Per un anno e mezzo circa lo è stato, come hanno dimostrato soprattutto gli ottimi dati del 2010, ma ormai l’effetto è passato e la crisi è arrivata, come una mazzata, anche sul libro. E si tratta di cifre da far piangere, non solo i piccoli, per una volta. La grande differenza è che in periodi di crisi i grandi (oltre ad avere un accesso facilitato al credito) licenziano e si salvano, seppure contraendo la propria quota di mercato; i piccoli invece chiudono e basta. Questo può dar luogo a una spirale depressiva non indifferente sul settore, perché una crisi così grave è sinonimo di tanti posti di lavoro da tagliare in tutta la filiera, dalle cartiere fino alle librerie. Con i colli, come sempre, soprattutto dei più giovani a finire sotto la lama.
Viene da chiedere dove siano i soldi promessi dal governo e dai politici per lo sviluppo.
E viene da chiedersi perché, una volta di più, la Germania sia così lontana dall’Italia, nonostante in linea d’aria i chilometri che ci separano siano così pochi…