Una casa editrice deve avere una minima struttura amministrativa, come qualsiasi azienda che si rispetti. Questo vuol dire avere un amministratore retribuito e uno studio di consulenza, quanto meno.
Lo studio di consulenza si occupa di seguire gli aspetti fiscali, di controllare le gestione dei conti e dei relativi libri, di mandare a regime i pagamenti e d’altro ancora. Per far questo, deve essere retribuito. L’amministratore, soprattutto in una piccola casa editrice, è colui o colei che si fa carico non solo della responsabilità in sede civile e penale dell’azienda e del suo operato ma anche del lavoro quotidiano di rendicontazione, di registrazione delle fatture, di effettuazione dei pagamenti, di gestione informatica di magazzino, acquisti e vendite e così via dicendo.
Per poter risparmiare tempo e grane – poiché il Fisco negli anni ha preso con chi paga regolarmente le imposte un atteggiamento inquisitorio e aggressivo ingiustificabile, che invece dovrebbe essere adottato con i delinquenti che le tasse non le pagano – ogni azienda deve dotarsi, appena può farlo, di un sistema elettronico di rendicontazione, che da un lato permette di lavorare con molto più ordine e meno pericoli, dall’altro ha un costo (unico) d’acquisto, un costo di formazione di chi lo usa, un costo periodico, di solito annuo, d’aggiornamento e d’intervento tecnico in caso di necessità.
Tutti questi cosi devono essere caricati, evidentemente, sui libri – visto che una casa editrice quelli fa – il che determina come conseguenza inevitabile un incremento del prezzo di copertina. Parliamo tuttavia, a conti fatti, di centesimi in più di introiti a libro, del tutto insufficienti a far fronte a un carico simile di costi. La conseguenza è che, in una piccola azienda editoriale (ma ormai anche in alcune medie) si assiste alla concentrazione di sempre più mansioni in una sola persona. Questo vuol dire non solo stress e responsabilità in più per il “fortunato” di turno, ma anche riduzione dei posti di lavoro disponibili nel settore.
Quando mi capita di insegnare in un master o di fare interventi pubblici, consiglio sempre agli aspiranti lavoratori del settore di non limitarsi a specializzarsi – ogni giorno arrivano in redazione decine di curricula di ragazze e ragazzi che sognano di diventare correttori di bozze – ma di raggiungere “più specializzazioni”. Letteralmente: più specializzazioni, ovvero saper fare ad alto livello tante cose diverse, distintamente o insieme.
Oggi un’azienda editoriale vuole al suo interno persone attive, dinamiche, costose il giusto e fedeli, capaci di reggere in mano più lembi di una coperta sempre più corta. Oramai la piccola azienda editoriale tipo – e felice – ha non più di tre, massimo quattro persone attive al suo interno. Tra queste ci devono essere amministratore, esattore, responsabile della distribuzione, direttore editoriale, editor, addetto stampa, correttore di bozze, grafico, magazziniere, spedizioniere, amministratore di sistema, amministratore del sito Web e altro ancora, eventualmente anche uomo o donna delle pulizie. E tutto questo, ripeto, lo devono fare tre, massimo quattro persone. A volte due. Nerbo, linfa e sostegno di una piccola azienda che, con altri cinque milioni circa di aziende simili, tiene insieme il sistema Italia. Guarda caso, si tratta anche delle aziende più vessate, perché con meno protezioni e meno sostegni politici. È giusto tutto questo, in un Paese che si (auto)definisce civile?