Questa storia non la trovate su nessun giornale italiano. Non ve la racconterà nessuna trasmissione televisiva di commento o approfondimento e non è stata riportata da nemmeno uno di quei centinaia di migliaia di siti web d’informazione, di blog, di social e di tutte quelle melmose paludi di pseudoinformazione che fanno la gioia di quelle legioni d’imbecilli di cui parlava Umberto Eco qualche tempo fa in un’intervista pubblicata da La Stampa.
Nessuno l’ha raccontata non perché nasconda chissà quale inconfessabile intreccio di interessi, ma semplicemente perché per raccontarla bisogna prima capire cosa è successo. E un’informazione ormai piegata a immagine e somiglianza delle legioni d’imbecilli non riesce ad andare oltre i pensierini, e la capacità di pensiero necessaria a comprendere fenomeni articolati è ormai fuori portata.
Peccato, perché come vedrete, se avrete la pazienza di leggere, su una vicenda del genere, emblematica, si potrebbe costruire un dibattito sui mali dell’Italia.
Nel 1997 la compagnia di assicurazioni Edera viene messa in liquidazione coatta amministrativa. Una sorta di fallimento… obbligatorio e controllato. E’ l’ultimo atto di una vicenda che vede contrapposti gli imprenditori titolari della compagnia al ministero dell’Industria. I proprietari dell’Edera vorrebbero semplicemente mettere in liquidazione la società avendo rinunciato ad esercitare l’attività assicurativa, il ministero afferma che non è possibile e impone la procedura coatta nominando un liquidatore, l’avvocato Francesco Dosi (poi sostituito nel 2013 dall’avvocato Michele Costa), e trasferendo alla liquidazione coatta tutti i beni che erano di proprietà della società.
Nasce così la Edera Assicurazioni in Liquidazione Coatta Amministrativa che ha il compito di formare uno stato passivo, un bilancio di liquidazione, pagare i debiti – tra i quali moltissimi risarcimenti da sinistri stradali – e chiudere tutte le posizioni pendenti con consulenti, avvocati e chiunque abbia lavorato, negli anni, per l’Edera.
Ma l’amministratore delegato dell’Edera Spa, Adriano Piacentini, si rivolge al tribunale di Roma per chiedere l’annullamento del decreto ministeriale di liquidazione coatta, ritenendo che sia illegittimo per una serie di ragioni giuridiche.
Nel 1999 ha così inizio una storia parallela, fatta di cause, processi, sentenze, che trasforma la liquidazione coatta amministrativa dell’Edera in una sorta di festa di non compleanno, come quella del Cappellaio Matto in Alice nel paese delle meraviglie. Fino ad arrivare all’ultima sentenza di Cassazione, depositata ad agosto 2014 (che trovate allegata a questo articolo e che potete scaricare), con la quale si accerta definitivamente che la liquidazione coatta amministrativa dell’Edera è… inesistente.
Nel corso di 18 anni però è successo di tutto: il liquidatore e i suoi collaboratori sono stati pagati, è stato formato uno stato passivo e si sono svolti giudizi per stabilire chi dovesse essere ammesso a questo stato passivo, e dunque sperare di riscuotere i crediti maturati, e chi no. Decine e decine di avvocati in tutta Italia hanno lavorato…
Insomma, per dare un’idea della posta in gioco, basti dire che lo stato passivo dell’Edera ammonta a circa 300 milioni di euro.
Ora però, dopo quasi vent’anni, si scopre che… siamo su scherzi a parte. E dopo l’ultima sentenza della Cassazione l’inesistente paese delle meraviglie dell’Edera in liquidazione coatta amministrativa dovrà depositare un bilancio di chiusura. E per tentare di salvare il salvabile sono in corso, come comunica ufficialmente il commissario liquidatore Michele Costa in una nota riservata diretta a uno dei tanti creditori, trattative con la Consap, la Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici, per fare in modo che tutti i crediti che saranno inseriti in questo benedetto bilancio di chiusura possano essere gestiti dalla Consap per tentare di mettere la parola fine a questa farsa.
In pratica la Consap dovrebbe completare il lavoro della liquidazione coatta inesistente facendo finta che… sia esistita. Dovrebbe cioè dare corpo a un fantasma, mettendo in pratica, finalmente, le indicazioni che per 18 anni sono state elaborate da chi non esiste più. Una soluzione un po’ paradossale: l’inesistente diventa esistente con un vestito nuovo, ma apparentemente l’unica che consenta di non dover davvero ricominciare tutto da capo.
Poi però si aprirà il capitolo del risarcimento danni che potrebbe spettare agli azionisti della vecchia Edera Assicurazioni Spa collocata in liquidazione coatta senza che vi fossero i presupposti. Un capitolo che è la stessa Cassazione a indicare come possibile.
La sentenza 17524 del 2014, della prima sezione civile della Cassazione è interessante – oltre che divertente, nel senso di surreale – perché ricostruisce un disastro giuridico che si è snodato per 18 anni di processi.
L’inesistenza della liquidazione era già stata dichiarata dalla corte d’appello di Roma nel 2008 e ribadita in una prima sentenza della Cassazione del 2011. Cosa che, per quanto ci fossero ancora ulteriori ricorsi in piedi, avrebbe dovuto indurre i liquidatori almeno alla prudenza nel prosieguo della gestione della LCA.
Già i giudici di merito dissero che il decreto ministeriale che disponeva la LCA era stato adottato in carenza di poteri. La cassazione si è limitata ad affermare, per due volte, che quel punto era stato accertato ed era passato in giudicato.
Tutto è cominciato perché il liquidatore aveva chiesto alla signora Augusta Zeppieri, azionista della “vecchia” Edera, di pagare l’affitto arretrato di un appartamento a Roma, in via Castro pretorio, che era di proprietà della compagnia e dunque era passato alla liquidazione coatta amministrativa. La signora, preliminarmente, ha contestato la legittimazione del liquidatore e – ancora a monte – la legittimità del decreto di LCA e di nomina.
Fin da quel momento i giudici hanno dato ragione alla signora Zeppieri per quanto riguarda la questione dell’illegittimità del decreto ministeriale di liquidazione e non si è fatto altro che andare su e giù per cause e ricorsi per sentirsi ribadire che la questione era assistita da un “giudicato esterno”, ossia da un accertamento sul punto diventato definitivo.
Ora il punto è: perché sono passati 18 anni? Perché la liquidazione coatta amministrativa non ha preso atto della questione senza continuare a ricorrere e controricorrere? Perché non ha chiuso questa storia quando ormai era chiaro che sarebbe finita così? Sarebbe stato un buon modo per fare l’interesse dei creditori.
A qualcuno potrebbe venire il sospetto che ci fossero anche altri interessi. Sta di fatto che ora bisognerà vedere cosa farà la Consap e una vicenda che in un Paese normale si sarebbe chiusa in un paio d’anni, dopo 18 anni impiegherà almeno altri cinque o sei anni per arrivare a conclusione.
Un Paese normale…
Cassazione, sezione prima civile, sentenza 17524, 1 agosto 2014