Le complicazioni emerse per l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica rispecchiano in pieno il caos che ormai regna sovrano nel nostro Paese. La situazione, a ben vedere, è quantomeno grottesca ed i sentimenti degli italiani si dividono tra ilarità, sarcasmo e preoccupazione per un futuro estremamente incerto.
Nel frattempo il mondo va avanti e le sfide da affrontare si ingigantiscano giorno dopo giorno: l’impressione, al di là del balletto di nomi spesso improponibili, è che siano ben pochi a preoccuparsi delle responsabilità che il prossimo Presidente dovrà assumersi.
Negli ultimi anni abbiamo scoperto che il ruolo di questa figura istituzionale non si riduce alla semplice rappresentanza, ma può addirittura imporre un cambio di governo quando la situazione si fa critica. Napolitano non è certo stato un Presidente passivo, essendo stato chiamato a gestire la fase probabilmente più complicata per l’Italia dal dopoguerra ad oggi. Sono state bocciate leggi, approvate riforme importanti, fino al punto di sostituire un Presidente del Consiglio in carica che non era stato nemmeno sfiduciato dal Parlamento, oltretutto nominando un esecutivo composto esclusivamente da non eletti. L’ultima difficoltà, forse la più grande e pericolosa, è emersa dopo l’esito del voto di febbraio, per cui la formazione di un nuovo governo pare un miraggio. Il filo rosso che unisce le vicende degli ultimi anni è formato sostanzialmente da due componenti, indissolubilmente legate tra loro, che pesano e peseranno come un macigno sul successore di Napolitano: i rapporti con l’Europa e la condizione economica del Paese.
Il dialogo con Bruxelles e con i governanti europei è un punto imprescindibile dell’agenda italiana, soprattutto nel brevissimo periodo, ovvero quando le massime cariche dello Stato saranno finalmente rappresentate. Le questioni aperte in tal senso sono diverse: in Europa si attende di conoscere quale sarà l’orientamento del prossimo Presidente della Repubblica, ancor prima di capire se e quando ci sarà un governo. In condizioni normali, l’evento non avrebbe una risonanza così consistente, perché ad occuparsi di queste faccende normalmente è l’esecutivo, che di fatto negozia, interpreta e mette in pratica gli accordi internazionali. Nel caso specifico, invece, l’attesa per la formazione di un governo rischia di prolungarsi in modo indefinito fino alla possibilità di nuove elezioni, il cui esito potrebbe rivelarsi particolarmente avverso per gli interessi di alcuni grandi Stati della comunità. Il Presidente della Repubblica diventa dunque un interlocutore primario, in funzione del ruolo di garanzia che svolge nei confronti degli impegni presi, per cui si fa leva sul potere d’indirizzo non avendo a disposizione quello decisionale.
Il prossimo Presidente dovrà sicuramente adoperarsi per mitigare le pulsioni antieuropee che pervadono la nostra società, problema di cui l’Italia non è certo l’unico paese a soffrire. In tal senso, le strade che possono essere intraprese sono due. Se la linea “distruttrice”, composta da coloro che vorrebbero tornare ad un nazionalismo del tutto anacronistico, dovesse ottenere un consenso importante nel paese, il Presidente si troverebbe in una posizione estremamente scomoda. Nei prossimi sette anni, infatti, non è poi così assurdo pensare che possano emergere movimenti e partiti che spingano per un allontanamento dai principali Trattati dell’UE e perfino dalla moneta unica, magari attraverso un referendum. Per chi è chiamato a rappresentare il Paese sulla scena internazionale, non sarà facile mantenere il necessario equilibrio ed allo stato attuale non è possibile interpretare le conseguenze imprevedibili di posizioni estreme. La seconda possibilità riguarda l’incanalamento delle critiche rivolte a Bruxelles, sacrosante e giustificate dai fatti, verso un percorso di profondo rinnovamento della convivenza comunitaria. L’Italia potrebbe ancora giocare un ruolo di primo piano per cambiare regole, meccanismi ed istituzioni in cui i cittadini non ripongono più fiducia, ma occorre decidere una volta per tutte che il nostro futuro è in Europa e non altrove.
Le dinamiche sul fronte europeo dipendono chiaramente dalla performance economica dell’Italia nei prossimi anni, in quanto solo il ritorno alla crescita ed all’occupazione può riportare il clima di relativa tranquillità necessario per affrontare l’argomento con serenità. Il nuovo Presidente si troverà in mano un Paese da ricostruire, ripartendo dalle macerie frutto di anni di scelte sbagliate e congiuntura negativa. I poteri conferiti al Capo dello Stato non consentono certo di caricare sulle sue spalle gli sviluppi di politica economica, ma le funzioni di indirizzo e controllo possono essere altrettanto importanti. Richiamare l’attenzione del Governo e delle Camere sui temi dell’economia, costringendo i politici a cercare un dialogo tra loro e con la società civile, costituisce una prerogativa più importante di quanto sembri. In termini pratici, il prossimo Presidente dovrà occuparsi di temi delicati, quali il pagamento dei debiti della P.A. verso le imprese, il potenziamento degli investimenti e le liberalizzazioni: fare, insomma, quello che non è riuscito del tutto ai precedenti residenti del Quirinale.
A fronte della situazione economica estremamente delicata, la vera chiave di volta è rappresentata dalla questione occupazionale, causa principe del disagio politico, in quanto gli italiani chiedono prospettive migliori ad una classe politica che troppo spesso ha chiuso gli occhi. Riportare al centro il lavoro significa valutare ogni riforma, ogni intervento, ogni scelta politica sulla base degli effetti occupazionali, che devono diventare la priorità. Il Presidente che verrà dovrà cercare di invertire l’avvitamento spaventoso verso una società più povera e più rassegnata, dove chi ha la possibilità o le capacità fugge e quasi mai ritorna, perché i giovani aspirano a qualcosa in più di 800 euro al mese. La carica più importante dello Stato deve assumersi la responsabilità di imporre una revisione delle ultime riforme sul tema del lavoro, che non sono state affatto risolutive, pretendendo un dialogo maggiore tra le parti in causa, ascoltando le ragioni sia delle imprese che dei sindacati.
Per riuscire nell’impresa di riunire e risollevare questo Paese, il nuovo Presidente dovrà essere deciso e sicuro di poter contare su un ampio consenso da parte dei cittadini. Le potenzialità per risorgere ci sono e spetta al Capo dello Stato trovare la formula giusta per esprimerle al meglio. Il momento storico, infatti, richiede una figura adeguata, dal momento in cui non si profila certamente un settennato tranquillo. Gli italiani, nonostante le divisioni ed i conflitti sempre più accesi, possono contare sul fatto che tutti i Presidenti vogliono essere ricordati per aver riportato serenità, mentre nessuno vuole diventare il Presidente della catastrofe.